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Godi, Fiorenza, poichè se' sì grande,
Che per mare e per terra batti l' ali,

E per lo 'nferno il tuo nome si spande.

Le sue uscite contro i Grandi del mondo parranno anche più temerarie. Quantunque dopo il suo esilio foss' egli Ghibellino e del partito degl' Imperatori, non cessa però di mostrar loro il suo risentimento pel loro ritardo a venire a liberar l'Italia ed alzarvi di nuovo il trono dei Cesari con magnificenza del nome romano. Predice all' Imperatore Alberto la sua tragica morte qual castigo del cielo, per aver trasandato un affare di tanta importanza. Questa predizione fatta dopo che il fatto era accaduto (1308) non è però men convenevole, poichè il viaggio di Dante nell' altro mondo si suppone essere stato fatto nel 1300. Per questa medesima negligenza, l' Imperatore Ridolfo d' Habsbourg è escluso per un certo dato tempo dal Furgatorio, e condannato ad errare all' intorno, lo che tanto allontana per lui il tempo d' entrare in Paradiso. (Purg. vi. e vii.)

Questo risorgimento dell' antica Roma fu il vano sogno de' Poeti di quel secolo. Il Petrarca

adottollo anche con più veemenza che non avea fatto Dante, fino ad entrar ne' disegni del fanatico Tribuno Cola di Rienzo, il quale tentò tale illustre e ridicola impresa, e fu con essa precipitato da quel Campidoglio, dal quale la sua rediviva Roma doveva una seconda volta dar legalle nazioni.

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Ma se il nostro Poeta mostrasi stizzoso verso gl' Imperatori, lo sfogo dell' ira sua contro i Re di Francia, e contro i principi della terza razza di quei Re, è ancor più crudele. Ugo Capeto di tal razza lagnasi nel Purgatorio d' esser il ceppo d'un albero che produce frutti così cattivi, ed infesta il mondo Cristiano colla pestilente ombra sua, e d'essere il padre dei Luigi e dei Filippi. (Purg. xx. 43.)

I' fui radice della mala pianta
Che la terra cristiana tutta aduggia

Sì, che buon frutto rado se ne schianta.

Egli stesso si calunnia dicendo, (Purg. xx,

Figliuol fui d'un beccajo di Parigi;

52.)

e tratta tutti i suoi discendenti d'usurpatori, di bugiardi, di ladri, d' ingannatori.

Riprende

Carlo d'Angiò Conte di Provenza e Re di Sicilia d'aver invaso il Ponthieu, la Normandia e la Guascogna, e d'avere, per espiare le sue estorsioni, immolato Corradino, e mandato San Tommaso in Paradiso, d' averlo, cioè, fatto, avvelenare. Non tratta più umanamente Carlo Secondo, Re di Sicilia, figlio del precedente, nè Carlo di Valois fratello di Filippo il Bello, altramente detto Carlo Senzaterra, autore del bando e di tutti i disastri di Dante. Ei dàgli il nome di Giuda, e chiama Filippo, Nuovo Pilato, non meno per aver questi tenuto prigioniero il Vicario di Cristo per tre giorni in Anagni, quanto per le di lui crudeltà commesse contro i Cavalieri Templiari, e per aver depredato i beni della Chiesa. In un altro luogo, in cambio di Re di Francia, lo chiama mal di Francia. (Purg. vii, 109.

Questa è certamente una fortissima Filippica: ma l'audacia di Dante cresce quanto più ella lo espone al pericolo, ed a misura che il rispetto ed il timore sembrerebbe che dovessero più ritenerlo. Quest' audacia giunge al colmo quand' egli parla degli Ordini religiosi, contro la Chiesa e contro i ministri di essa e qui la corruzione

del culto, la dissolutezza de' costumi, ed i più strepitosi abusi d'ogni specie gli porgono una materia abbondevolissima.

San Benedetto parlando in Paradiso della fondazione di Montecasino, dice che la sua Abbazía s'è cangiata in spelonca, e le cocolle de' suoi monaci, in sacchi di cattiva farina. (Par. xxii, 76.

Le mura che soleano esser badia,
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria.

I nostri predicatori, dic' egli altrove, senza far motto dell' Evangelo, s' occupano di frivole dispute e pascono le loro gregge di vento. Spacciano delle buffonaggini per far rider la plebe, e quindi alzan su il lor cappuccio come se avesser fatto le maraviglie. Ma se i loro ascoltatori potessero scorgere l'uccello (cioè, il diavolo) che sotto il lor cappuccio si annida, ben vedrebbero quanto pazza cosa sia il credere ai perdoni, alle indulgenze, alle assoluzioni che quei ciarlatani dan loro per viver essi stessi allegramente ed a loro spese, e per impinguare il Porco di

Sant' Antonio, o de' monaci più sozzi ancora de' medesimi porci (22).

Giudicherassi della sua venerazione pel Clero da questo solo tratto. Tutti quelli ch'ei fa punir nell' Inferno pel peccato di Sodoma sono di quest' ordine. (Inf. xv. 106.)

In somma sappi che tutti fur cherci (23)
E letterati grandi e di gran fama

D'un medesmo peccato al mondo lerci.

Nel lor numero avvi Andrea Mozzi, ch'è il più

(22) Nel Decameron del Boccacio si trova il medesimo ritratto de' Frati, ed anche l' istesso uccello sotto le loro cappe. “De' quali se quanto si conve"nisse fosse licito a me di mostrare, tosto dichiare"rei a molti semplici quello che nelle loro cappe larghissime tengono nascosto." (Gior. iv. nov. 2. e Gior. iii. nov. 7.)

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(23) Quand' anche s' interpetrasse la parola cherico per letterato sarebbe a un di presso la medesima cosa, poichè in quei tempi i letterati erano tutti, o quasi tutti ecclesiastici. Oltre di ciò il Boccaccio taccia apertamente i prelati ed il roman Clero del medesimo vizio. (Dec. Gior. i. nov. 2.)

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