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POETI ITALIANI

CONTEMPORANEI

MAGGIORI E MINORI,

PRECEDUTI

da un Discorso preliminare intorno a Giuseppe Parini e il suo secolo,
SCRITTO DA CESARE CANTÙ,

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BAUDRY, LIBRERIA EUROPEA,

No 3, QUAI MALAQUAIS, PRÈS LE PONT DES ARTS;

STASSIN ET XAVIER, 9, RUE DU COQ;

AMYOT, RUE DE LA PAIX; TRUCHY BOULEVARD DES ITALIENS; THEOPHILE BARROIS
QUAI VOLTAIRE; BROCKHAUS ET AVENARIUS, RUE RICHELIEU; ROLANDI,

DULAU, BARTHES ET LOWELL, W. JEFFS, LONDRES "

LEOPOLD MICHELSEN LEIPZIG.

1843.

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E IL SUO SECOLO

PROEMIO

Nel parlare di Giuseppe Parini, on intendo assumermi freddo lavoro da filologo, rivelando il bello di sua poesia, la gagliarda giustezza de' concetti, la squisita sobrietà del gusto, l'armoniosa varietà del verso, il dilicato colorire, l'opportuno tacere, l'imitazione magistrale. Chi ha intelletto del bello ne apra i libri, e basta: pei diversi riuscirebbe cosi inutile la mia fatica, come il dimostrare all' iterico quanto la rosa è bella. Piuttosto, aiutando secondo le mie facoltà l'incammino che ha preso la letteratura abbracciandosi al progressivo incivilimento, volgerò il discorso a mostrare in Parini il poeta della civiltà, che colla parola giovò potentemente il suo paese svellendo gli errori, correggendo mali costumi, insegnando i buoni, ergendo un altare al merito, alla verità. Ed ora che la sua patria, non paga di volgere il ricco censo comune e privato a procacciarsi, ogni giorno più, comodi ed abbellimenti materiali, si sdebita d'un antico dovere coll' erigere alfine un pubblico monumento al cantore del Giorno, potrebb' essere alcuno il quale, reputando la poesia arte di mero diletto, o giudicasse questi onori sconvenienti all' austero secolo nostro che d'ogni cosa domanda a che giovi; o li confondesse con quelli sconsideratamente prodigati ad altre rinomanze cui la moda arde gl' incensi, ma che rapide come l'odore degl' incensi, sono destinate a passare, perchè non istampate coll'impronta della sociale utilità. Non sembri dunque opera vana a' cittadini miei se verrò cercando i meriti civili del Parini, e quant' egli sia degno di pubblici onori per questo, che le opere sue, non solamente sono squisiti esempi di letteratura, ma veramente azioni di virtuoso cittadino.

:

Toccherò dei casi e degli uomini tra cui visse, perchè male può l' ingegno giudicarsi se nol si consideri ne' suoi tempi e nelle sue circostanze : toccherò del male che v'era toccherò dei grandi miglioramenti che s'incamminavano: parlando dell' uomo che, credendo sommo dovere l'annunziar la verità e giovare al prossimo colle lettere, non curò le gloriose ire de' pedanti e de' maligni, perpetui nemici di chi porta scritto in fronte la parola Avanti, non mancherò della consueta franchezza al confronto d'un poeta del secolo passato, il quale conobbe e sì bene adempì que' doveri che il secolo nostro alle lettere impone, forse troverò di che far vergognare e, così il Cielo volesse! correggere alcuno, che nato col secolo nostro, chiude gli occhi ai passi di questo, per conservarsi ancora un letterato de' tempi passati: spiacerò a più d'uno :

Non ci parve meglio esordire il nostro volume che con questo frammento di Cesare Cantù, ove non solo si ragiona del Parini, ma toccansi i meriti ed i difetti di alcuni fra gli autori compresi nell' ultima parte della Biblioteca poetica del Buttura ed in questa che n'è la continuazione. Il Cantù pubblicò, fin dal 1833, questo brano come principio d'un lungo studio storico ed estetico sul secolo XVIII, che dovea servir di riscontro a quello sul secolo xvii, fatto ne' suoi Ragionamenti sulla Storia Lombarda, per commento ai Promessi Sposi. Ma per non sua volontà la continuazione dovette rimanere ignota al pubblico, (L'Editore.)

a

ma non ho mai chiesto i suffragi di chi s'offende del vero, nè di chi rinnega o fiaccamente professa la fede de' progressi sociali.

IN QUALE STATO FOSSER LE LETTERE A' TEMPI DEL PARINI.

Da chi vuol lodare la poesia, sento ripetere che i primi legislatori furono poeti, i quali dettarono i civili ordinamenti in verso per molcere gli animi coll' armonia, o, come poeticamente si disse, per ammansare al suono della cetra le fiere ed edificare le città. Questa però, o fallo, non è sentenza esatta. Non già per vestirle col lenocinio del diletto, vennero le prime leggi dettate in verso que' rozzi uomini primitivi, tutti senso, non doveano possedere tanta estetica dilicatezza, da andare presi alla squisitezza del ritmo. Bensì furono compilate in metri perchè dovendosi, in difetto di scrittura, mandarle alla memoria, e più agevolmente vi si imprimessero, e più fedelmente si conservassero; giacchè il mutamento d'una sola parola veniva tosto avvisato dalla lesione del numero poetico. In questo ufficio la poesia fu posta vicino alla culla dell' incivilimento, e sempre lo assistette ne' suoi incrementi. Cercate in fatto i carmi de' secoli più remoti : sono inni agli Dei, sono morali verità, sono lodi di eroi e di belle ed imitabili imprese. E quando, rinnovatasi la barbarie, tra il caos del medio evo cozzavano discordi gli elementi della civiltà aspettando una serie di casi che desse loro fecondità ed ordine nuovo, la poesia che, atterrita dal barbarico ululato, avea quasi perduto la voce, se mandava pure alcun vagito era per lodare Iddio ed i santi suoi, od al più scolpire qualche fioco lamento sull'urna d'un defunto. Come alcun raggio di luce trapelò fra la notte col favore della libertà, volsero i rozzi cantori quella poesia a vantare segnalate o gentili imprese delle patrie loro, e giovarono la società in questo, che colle canzoni occupando piacevolmente gli animi, ammollirono la ferocia dei duri mortali. Ma che erano tutti que' minestrelli e trovadori e giullari, que' cronisti in verso, che erano a petto di colui, che gigante balzò innanzi al suo secolo, voglio dire Dante Alighieri? Niuno meglio di lui intese l'alto fine della poesia, o ve la seppe dirigere più valorosamente. E deh l'avessero tolto ad imitare i tanti poeti suoi successori! ma pur troppo, essendo sottentrato quel che parve ai più un gran lume d' incivilimento, ed era nel fatto una decorata barbarie, perchè mancava di quell'elemento senza cui non v'è civiltà piena e durevole, gli scrittori sopravvissuti alla patria, rimossi dalla pubblica vita, senz'altre lotte che quelle fecciose de' vituperii, si diedero a meditazioni e ricerche solitarie; la letteratura non fu un'azione, ma uno studio : e intesa a copiare autori latini e greci, anzichè gli uomini e le cose, non fu stampata d'alcuna impronta nazionale.

Lo so ben io che, diseredati i Comuni, fra le guerre di Tedeschi e Francesi, fra i guasti d'amici infedeli e di spietati nemici, sotto la servitù forestiera, attraverso le replicate pestilenze, in faccia ai roghi dell'Inquisizione, so ben io ch'era difficile intuonare e conservare le canzoni depositarie delle speranze, delle glorie, degli sdegni del paese, sicchè parlassero tanto forte da vincere il tumulto delle armi ed il fragor delle catene. I poeti, vedendo i mali della patria, anzichè osare almeno compiangerli, ne torsero gli occhi spensieratamente : fu il cantar loro una sonora vanità: un trastullarsi in fiacche e transitorie cantilene, preparate con una continua cura di evitare il pericolo di sentire, di far sentire fortemente. Onde l'Italia, neppur confortata dal pianto de' suoi figli, li sentì verseggiare più languidi e più molli, quando essa più soffriva. Chi ben ama, chi ben sente, chi ben fa, vegga quanto sia a congratularsi della gloria

che tali poeti procacciarono ingentilendo, come si vuol dire, i costumi dello stolido e scapestrato medio evo. Noi compiangeremo che le lettere, e la poesia specialmente, si separassero dalla civiltà.

Nel quale divorzio duravano miseramente allor quando comparve Giuseppe Parini. Erano, è vero, cessati i delirii dello sguaiato secento, quando gl'ingegni, impediti di pensare, volsero tutto l'acume a quella foga di concetti e di metafore, che per un secolo insozzò il nostro paese : ma la scuola sostituita a quella non drizzava gran fatto al meglio. Perocchè sdegnando la semplicità de' primi maestri, e facendo eco alle villanie onde il Bettinelli erasi studiato lordare di fango lo splendido manto dell' Alighieri, aveano tolto a prodigare parole e frasi; affettare una sciagurata facilità, procurare ai versi, non il nerbo vero delle immagini, ma l'artificiale delle figure, dei tropi, delle ampolle1 : anche ne' migliori, supremo della bellezza reputavasi una parassita eleganza; quasi unico campo della poesia il frivolo; perpetuamente diviso il bello dal vero: del resto un timido sgomento della bassezza delle parole2; circonlocuzioni lambiccate e slombate leziosità: descrizioni triviali e indecorose : volgarità

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3

« Quest è il comune scoglio ove urtano coloro i quali, troppo scrupolosamente scrivendo, non peusano, che, per quanto aspra e volgare sia una voce, s' ingentilisce e nobile diventa per l'altezza del suo significato.» PARINI, contro il Bandiera.

Il Bettinelli, descrivendo un' eruzione del Vesuvio, si ferma sui topi che snidano. Il Rezzonico comincia un poema sul Sistema de' cieli dall' abil coppiero che agita e mesce

e lo finisce col pranzo:

Col dentato versatile stromento

La mattutina d'oltremar bevanda
E in lucida la versa eletta tazza
Del camuso Cinese arduo lavoro.
Fervida s'alza la disciolta droga,
E di fragranza liquida e di spume
Ricca sovra il capace orlo colmeggia.

Ve' come intorno a lei cadendo il raggio, ecc.;

Già del bianco mantil vestito il desco
Grato fumeggia di vivande : invito,
Più che non l'epa dal digiuno asciutta,

Fa del valletto vigile la cura, ecc.

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