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Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,

Sudar le genti e palpitår, vedendo
Mossi alle nostre offese

Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,

Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono

Che tu pòrgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.

Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Pròle cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice

D'alcun dolor; beata

Se te d'ogni dolor morte risana.

prodotta dal passato timore, pel quale anche colui che prima aborriva la vita si scosse e paventò la morte ecc. »; e cioè: « non è questo un piacere reale, positivo; ma vano, negativo: come quello che tutto consiste nella cessazione di un affanno e di un timore ».

37. lungo tormento. Dice lungo, avendo riguardo alla impressione di chi lo soffre: paiono sempre lunghi i momenti del dolore, anche se, come nel caso presente, esso non dura molto.

39. Sudàr... e palpitàr: per la paura e per l'affanno. Anche Virgilio, pur descrivendo un temporale (Georg. 1, 330): mortalia corda Per gentes humilis stravit pavor.

40. alle nostre offese, a offenderci. 42. cortese. È ironicamente detto invece di maligna, crudele: e un'amara dolorosa ironia signoreggia tutta questa strofa.

43-45. Son questi ecc. Intendi dunque: I tuoi doni, i diletti che procuri agli uomini, son tutti cosiffatti; e cioè come il piacere che si prova nella quiete dopo la tempesta. 45. Uscir di pena ecc.: E però fra noi uomini è diletto l' uscire di pena; il piacere umano consiste nella cessazione del dolore. Anche altrove il Leopardi manifesta la medesima idea; per esempio, nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie: « la cessazione di qualunque dolore o disagio è piacere per se medesima ».

47-50. il duolo ecc. Dopo aver detto che i piaceri umani sono negativi, e cioè soltanto una cessazione del dolore; ora aggiunge che

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cara

50-55. Umana Prole ecc. Conclude dicendo che la sorte degli uomini non potrebbe esser peggiore: essi debbono stimarsi felici, se possano avere una momentanea requie da alcuno dei tanti dolori onde sono afflitti; addirittura beati, se la morte venga a sanarli da ogni dolore per sempre. agli eterni. Si osservi come nella prima lezione il poeta avesse qui, poco opportunamente, interrotto la ironia. — respirar: aver qualche respiro, qualche sollievo. - felice... alcun ecc. beata... ogni ecc. Nota la gra dazione ascendente. risana. Nel Dialogo di Plotino e di Porfirio, l'autore dice, per bocca di Porfirio, che « la natura ci destino per medicina di tutti i mali la morte »; e altrove: « [La ragione] afferma per certissimo che la morte, non che sia veramente un male, come detta la impressione primitiva; anzi è il solo rimedio valevole ai nostri mali, la cosa più desiderabile agli uomini, e la migliore ». E nel Dialogo di Timandro e di Eleandro, per bocca di quest'ultimo: «Io sono...sicuro di non liberarmi dalla infelicità, prima ch'io muoia ». Prole cara ecc. Var. [F. '31] Prole degna di pianto!

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La donzelletta vien dalla campagna,

In sul calar del sole,

Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viòle,

5 Onde, siccome suole,

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Ornare ella si appresta

Dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine

Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai di della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella

Solea danzar la sera intra di quei
Ch' ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,

Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giú da' colli e da' tetti,

Al biancheggiar della recente luna.

*Fu pubblicato la prima volta nella edizione fiorentina del 1831; composto il 29 settembre 1829 (cfr. ANTONA Traversi, Il catalogo dei mss. inediti di G. L. ecc., Città di Castello, 1889).

Metrica. Strofe libere, con rime al mezzo. 1. donzelletta: contadinella. Vedine altro esempio in Vita solitaria, 59.

5. Onde delle quali.

7. festa. Mentre gli altri endecasillabi con rima al mezzo risultano di un quinario e di un settenario (cfr. i versi 30, 37), questo si rompe opportunamente in un settenario e un quinario; cosi che i versi 5-7 suonano come un agile tetrastico di canzonetta popolare a ballo, che aiuta mirahilmente a rappresentarci in immagine la fresca e snella fanciulla.

9. a filar ecc. Petrarca (Son. Già fiam

meggiava ecc.): Levata era a filar la vecchierella.

10. Incontro là ecc.: con la faccia rivolta alla parte, dove il sole cadendo si dilegua, E par che dica Che la beata gioventú vien meno.

11. novellando, raccontando. del suo buon tempo, della sua giovanezza; la quale età è cosi determinata anche nelle Ricordanze, 134.

14-15. quei Ch' ebbe compagni ecc.: i suoi compagni di gioventú: i suoi coetanei.

16-19. Già tutta l'aria ecc. È un altro momento della descrizione: il sole, prima in sul calare, è ora già tramontato, e tutta l'aria si fa bruna.

17-19. Torna azzurro ecc. Intendi: Il cielo, che appena tramontato il sole si era fatto serene, di un celeste chiaro, si fa no

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20. squilla: campana. Cfr. Il passero solitario, 29 e la nota.

28-30. E intanto riede ecc. È immagine derivata dalla petrarchesca (Canz. Nella stagion ecc.):

Come 'l sol volge le 'nfiammate rote
Per dar luogo alia notte, onde discende
Dagli altissimi monti maggior l'ombra,
L'avaro zappador l'arme riprende,.
E con parole e con alpestri note
Ogni gravezza del suo petto sgombra;
E poi la mensa ingombra
Di povere vivande ecc.

-E seco pensa ecc.: e fra sé pensa con
desiderio alla domenica, come al giorno
nel quale potrà riposare dalle usate fati-
che. pensa. Si noti la rima al mozzo.

31. Poi quando ecc. Terzo momento della descrizione: è già notte fatta, e tutto è involto in una oscurità silenziosa.

31-32. ogni altra face: ogni lucerna, fuorché quella del legnaiuolo, come dirà

appresso.

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tutto l'altro: tutto, fuorché il martello e la sega del legnaiuolo. Nell'uno e nell' altro caso, hai una prolepsi. 35. alla lucerna: al lume di lucerna. Cfr. Le ricordanze, 115.

36. s'adopra, si studia.

37. Di fornir l'opra: finire il lavoro. Petrarca (Son. S'Amore o Morte ecc.): Ma però che mi manca a fornir l'opra Alquanto delle fila benedette. Si noti la rima al mezzo. - anzi, avanti.

41-42. ed al travaglio ecc.: e ciascuno col pensiero farà ritorno, si volgerà con desiderio, al lavoro di tutti i giorni. Potrebbe a bella prima affacciarsi una ben diversa spiegazione: « e ciascuno penserà con rammarico alle fatiche del domani »; e cosi appunto, se ben mi ricorda, mostrò d'intendere questo luogo Paolo Heyse, che ha dato alla Germania una bella traduzione poetica dei canti leopardiani. Ma è interpretazione non sostenibile. Il Leopardi vuol dar la misura della triste noia di quello oro inoporose, e dice esser tanta e tale cho ciascuno desidererà di tornar presto all'usato travaglio. La frase in suo pensier farà ritorno corrisponde all'altra E seco pensa ecc. del v. 30; e como quella

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Garzoncello scherzoso,

Cotesta età fiorita

È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,

Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave
Stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

ha implicito un moto di desiderio. travaglio, lavoro, fatica. Travaglio e travagliare, nel significato di lavoro e lavorare, son termini francesi; ma che s'incontrano già nei buoni scrittori antichi. Cosi il Petrarca (Sest. A qualunque animale ecc.): Tempo da travagliare è quanto è 'l giorno.

43. Garzoncello: fanciullo, come dice poco appresso al v. 48.

44. Cotesta età ecc.: la fanciullezza.
49. Stagion: età; come altrove.

50. Altro dirti non vo': per non amareggiarti. Ma a noi ha detto abbastanza a farci intendere tutto il suo pensiero; che è questo: «Come la presente tua età, fan

ciullo mio, somiglia al lieto sabato, cosí la festa della tua vita, e cioè quella età nella quale si appuntano ora le tue belle speranze, somiglierà alla trista e noiosa domenica: tu, fatto uomo, non vedrai ridursi ad effetto nessuna delle vaghe immaginazioni che ora concepisci, non godrai nessuno di quei beni che ora t'imprometti ».

50-51. ma la tua festa Ch'anco tardi ecc. Intendi: ma non ti sia grave, doloroso, che quella che ora immagini come la festa della tua vita, tardi ancora a venire; e cioè: non desiderare che presto finisca la fanciullezza, e presto cominci l'età ferma, virile.

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*Fu pubblicato la prima volta nella edizione fiorentina del 1831; composto tra il 22 ottobre 1829 e il 9 aprile 1830 (cfr. ANTONA TRAVERSI cat. cit.). Anche nella ediz. del Mestica conservò il luogo assegnatogli già dall'autore, tra le Ricordanze e la Quiete dopo la tempesta. Fu inspirato al poeta da uno scritto comparso il sett. del 1826 nel Journal des Savants « Il Barone di Meyendorff, Voyage d'Orembourg a Boukhara, fait en 1870 »; e particolarmente dalle seguenti parole, che il Leopardi stesso riporta nella nota appósta a questo canto: « Plusieurs d'entre eux (parla di una delle nazioni er

ranti dell' Asia) passent la nuit assis sur une pierre à regarder la lune, et à improviser des paroles assez tristes sur des airs qui ne le sont pas moins ». Nel pastore, come già in Consalvo, in Bruto, in Saffo, il poeta adombra sé stesso; e per mezzo di lui manifesta quasi intero il suo pensiero, cioè che tutto nel mondo è vanità e miseria. E se il canto, per la sua profonda filosofia, che mal s'addice alla semplicità della persona indotta a parlare, manca generalmente di proprietà e convenienza; considerato in sé, e cioè come espressione dell'animo del poeta, è dei bellissimi, e dei

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Sorgi la sera, e vai,

Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga

Di riandare i sempiterni calli?

Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga

Di mirar queste valli ?

Somiglia alla tua vita

La vita del pastore.

Sorge in sul primo albore

Move la greggia oltre pel campo, e vede

Greggi, fontane ed erbe;

Poi stanco si riposa in su la sera:

Altro mai non ispera.

Dimmi, o luna: a che vale

Al pastor la sua vita,

La vostra vita a voi? dimmi: ove tende

Questo vagar mio breve,

Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,

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11-14. Perfetta la rispondenza tra i termini confrontati: Sorgi la sera = Sorge in sul primo albore; e vai = Move la greggia oltre pel campo; Contemplando i deserti = e vede Greggi, fontane ed erbe; indi ti posi Poi stanco si riposa ecc. Anche il Petrarca, benché con diverso sentimento, in una poesia che avremo occasione di richiamare fra poco (Canz. Nella stagion che 'l ciel ecc.), ci descrive il pastore che, calati i raggi del sole, si drizza in piedi, e lasciando l'erba e le fontane e i faggi Move la schiera sua soavemente, per ridursi

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alla casetta o spelonca, ove senza pensier
s' adagia e dorme. Greggi, altri greggi.
15. Altro ecc. E non spera mai che un
caso qualsivoglia intervenga a variare la
sua monotona esistenza.
Ma priva di de-
siderî e speranze la vita, quando non sia
dolore, è noia; e questo pastore, che pur
non ha avuto fin qui cagione di pianto,
come ci dirà appresso, è già stanco di vi-
vere una vita sempre conforme a sé mede-
sima. Lo devi aver già compreso dal sen-
timento che anima le domande rivolte alla
luna nei v. 5-8, alle quali appunto que-
sto verso viene nella comparazione a per-
fettamente corrispondere. Var. [F. '31] Al-
tro pur.

16. vale, giova.

18. La vostra vita a voi. Usa il plurale, perché intende parlare anche degli altri corpi celesti.

18-19. Qual mèta ha questo mio breve peregrinaggio sulla terra, e il tuo corso perpetuo ?

21-38. Il pastore s' è dunque chiesto a che valga la sua vita; e ove tenda il vagar suo breve. In questa strofa ei dà più specialmente risposta alla seconda domanda; dimostrando come la vita dell' uomo, una corsa affannosa, non abbia altra mèta che la morte, « Abisso orrido immenso, Ov' ei precipitando il tutto obblia ». Nella strofa seguente darà risposta alla prima domanda.

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