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alquanto fuori di strada, e insieme di non aver tradotto se non pochi passi, e assai debolmente, di quella lettera del Petrarca, lunghissima ed eloquente, nella quale ei congiunge con mirabile felicità i sovrumani conforti della religione cristiana alla virile filosofia degli antichi. Ma nè pure il Petrarca guardava sempre in faccia la morte con occhio tranquillo; e se non gli venne fatto di liberare la mente dell'amico suo da' sogni superstiziosi, è da incolparne l'umana natura tenacissima de' semi sparsivi dalla nonna e dalla balia, che rigermogliano nel cuore de' vecchj a guisa di spine. Il Boccaccio sopravvisse più di dodici anni al pronostico, travagliandosi ad impetrare perdono da' frati, contro de' quali diresti ch'egli abbia scritto le più argute delle Novelle. Morì nel 1375 d'anni sessantadue, e lasciò tutti i suoi libri e manoscritti al suo confessore. · Anchora lascio che tutti i miei libri sieno dati e conceduti ad ogni suo piacere al venerabile mio maestro Martino dellordine di Frati Heremitani di Sancto Agostino e del convento di Sancto Spirito di Firenze li quali esso debba e p.......... (forse possa) tenere ad uso suo mentre vive, sì veramente che il decto maestro Martino sia tenuto e debba pregare idio per lanima mia e oltre far copia ad qualunque persona li volesse di quegli libri li quali...... composti.1 Or può egli credersi che il Decamerone fosse fra que' libri composti da lui, e lasciati al suo confessore per uso del convento, e sotto condizione di lasciarne pigliar copia a chi la chiedesse? Questa sua volontà tutta scritta di sua mano fu pubblicata guasta dal tempo in una edizione procurata dagli Accademici della Cru

epistola tua, quam dum legerem, stupor ingens cum ingenti moerore certabat. Uterque abiit dum legissem. Quibus enim oculis, nisi humentibus, tuarum lacrymarum tuique tam vicini obitus mentionem legere potui, verum nescius omnino, solisque inhians verbis? Ubi demum in rem ipsam internos flexi oculos, defixique, mutatus illico animi status, et stuporem seposuit et moerorem etc. »

1 Decam. dei Deputati, della ediz. de' Giunti, 1573.

sca. Credono ch' ei l' avesse apparecchiata molt' anni innanzi il testamento latino rogato verso il tempo della sua morte, e dove la stessa clausula trovasi letteralmente tradotta, e un'altra nuova, la quale prova, a mio credere, oltre ogni dubbio che l'autore aveva più tempo innanzi aboliti gli autografi del Decamerone. Niuno forse, dopo Aristofane, ricavò tanto amaramente il ridicolo dalla sfacciataggine degli oratori ignoranti e dalla credulità d'ignoranti ascoltatori quanto il Boccaccio con la pazza predica di Frate Cipolla, dopo ch' ei pellegrinò in tutti i paesi che sono e non sono nel globo terracqueo a trovare reliquie di Santi, e farle adorare per danari a Certaldo.! E nondimeno, il Boccaccio morendo diceva,— d'avere da gran tempo cercato per sante reliquie in diverse parti del mondo,'e le lasciava alla divozione del popolo in un convento di frati.

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E non per tanto, senz'altro appoggio se non se l'unico delle lor congetture, il Salviati e i Deputati alla correzione del Decamerone si fondarono a emendare la lezione del testo su l'opinione, che il Boccaccio avesse lasciato due copie di propria mano, ma varie, e dalle quali essi stimarono originate le varianti de' codici. 3 Molte ad ogni modo di quelle varianti sono ascritte alla ignoranza degli amanuensi, e molte altre alla grazia nativa dell' idioma Fiorentino, che la grammatica de'non Toscani scambia per meri sgrammaticamenti. Or a me pare che tanto le une quanto le altre derivassero dalla poca cura che il Boccaccio, essendosi pentito dell'opera sua, si pigliò a ripulirla qua e là, ed a ricorreggere le copie ca

4 Giorn. VI, Nov. 10.

2 Item reliquit, et dari voluit et assignari Monasterio fratrum S. Marie de Sepulchro del Poggetto, sive dalle Campora extra muros civitatis Florentie, omnes et singulas Reliquias sanctas quas dictus D. Joannes magno tempore, et cum magno labore, procuravit habere de diversis mundi partibus. Testamento del Boccaccio presso il Manni, Illustr., pag. 115.

3 Ediz. Giunti, 1573.

vate dagli amici suoi, e dalle quali poi moltiplicarono i susseguenti esemplari. Ad ogni modo quanti oggi ne restano, e quanti i critici nel secolo XVI avevano sotto a' lor occhi, furono scritti nel secolo xv, da tre soli in fuori — l'uno trovato nella libreria degli Estensi; e il Muratori lo crede del secolo dell' autore; ma non ha data certa―l'altro posseduto da un gentiluomo Fiorentino, fu ricopiato nel 1396; e quand'anche la data non fosse apocrifa, è tuttavia posteriore di vent'anni e più alla morte dell' autore il terzo, e l'unico a cui l'uomo possa fidarsi, fu scritto nel 1384 dal Mannelli figlioccio del Boccaccio; ma rimase codice occulto ed inutile per lunghissimo tempo. Il Mannelli ebbe di certo sott'occhio un testo ch' ei teneva per autentico insieme e inesatto; ma non che descriverlo, non ne palesa l'origine, e appena lo accenna qua e là con la postilla sic textus. E s'ei pur l' ebbe mai dal Boccaccio, ei non domandò, o non ottenné la correzione di molti sbagli ch'egli liberamente appone all'autore. Ricopiando con la diligenza scrupolosa di un amanuense, e con l' acume di un critico, ei di rado, se pur mai, s'assume a correggere; bensì nota laconicamente ne' margini, deficiebat, e suggerisce la parola probabile al senso; tal'altra volta nota, superfluum, e spesso par che rimproveri all'autore `la sintassi intralciata o sconnessa: constructo in zoccoli, Messer Giovanni. — Alle volte nota la poca verosimiglianza del fatto: -Messer Giovanni, questo non cred' io, nè anche tu. E buffà, ch' io nol credo.-Due novelle incominciano con le stesse sentenze e parole; e il Mannelli scrive:- Nota che questo medesimo prolago usa l'autore di sopra nella decima novella decta da Pampinea, il che pare vitioso molto.1-Or l'autore non avrebbe egli ripulito le sue Novelle di queste e simili macchie a pochi tratti di penna, se gli scrupoli di coscienza, sì manifesti verso la fine dell' età sua, non ve lo avessero sconfortato? Diresti

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4 Giorn. I, nov. X: Gior. VI, nov. I.

bensì che il Mannelli patisse mal volentieri che l'amico suo si fosse rappacificato co' frati; e dove ei li trova derisi o malarrivati, ei nota ne' margini. E pe' chierici. E pure pe' frati. E pur nota il ver de'frati. Nota pe' frati bugiardi. Nota pe'frati astiosi che tutte le donne vorrebbon per loro. Abate ingordo tu non l'avrai. Frati miei dolciati, se avete scudi sien da voi imbracciati, ch' or bisogno n'avete. Amen, e anche peggio:- e via così dalla prima all'ultima carta del codice. E forse capitò in potere di alcuni divoti; da che non è da trovarlo ricordato mai per quasi due secoli.

Frattanto, benchè niuno mai sospettasse che l'autore avesse abolito gli autografi del Decamerone, ogni critico disperò di vederli, da che quel convento dove i manoscritti del Boccaccio rimanevano per legato, fu nell'anno 1471 incenerito dal fuoco. Inoltre, verso la fine di quel secolo il popolo Fiorentino fu persuaso da fra Girolamo Savonarola a fare una piramide altissima con quante pitture e statue antiche e moderne, ed arpe e liuti e stromenti d'ogni manièra potè raccogliere per le case, e codici e libri latini e italiani, specialmente le opere del Boccaccio; e per celebrare divotamente l'ultimo giorno del carnevale arsero la piramide su quella piazza, dove nella primavera seguente al loro malfortunato predicatore toccò d'essere bruciato vivo, e le sue ceneri gittate nell' Arno.

Ma innanzi l'incendio del convento, l' arte della stampa avea già incominciato a moltiplicare gli esemplari del Deca'merone. Chi fra' libri rari d'un Cardinale lodò un esemplare stampato nel 1439, o sognava o adulava;2 bensì parecchi sono tuttavia da vedersi usciti nel 1470. A questo anno il Fabricio assegna una edizione Fiorentina, ed altri allo stesso. anno una Veneta. Non so a quale delle due gl'intendenti ab

4 Nardi, Stor. Fior., lib. II, an. 1496, 1497.
* Manni, Illustr. del Dec., pag. 637, ediz. Fior.

biano conferito il nome di principe; bensì e a queste, e alle tredici posteriori registrate da'Fiorentini fino alla celebre del 1527, fu poscia imputato lo strazio della lingua delle Novelle. 1 Or da che furono primamente stampate nella loro città, quando tutti i manoscritti del Boccaccio pur esistevano, ed ogni uomo in vigore del testamento poteva cavarne copia, è da dire, o che il Decamerone non fosse fra que' libri che que'primi editori non si dessero pensiero di accomodare la stampa agli originali.

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Se non che passavano alloramai cent'anni da che la gara crescente di scrivere in latino, e gli studj indefessi su gli autori Greci e Romani, avevano lasciato irrugginire la lingua viva chiamata, quasi per disprezzo, volgare. Nè perchè Lorenzo de' Medici e gli amici suoi si studiassero di ricoltivarla, potevano fare che il primo e più severo comandamento de' padri a' figliuoli in Firenze e de' maestri a' discepoli non fosse: Che eglino nè per bene, nè per male, non leggessero cose volgari. —Ognuno sa come Pietro Bembo veneziano fu primo a ridurre la lingua a regole; ma più che le regole giovarono d'allora in poi a ripulirla le opere di molti scrittori per tutta Italia. Ma quantunque ei pronunziasse, che l'essere nato Fiorentino a ben volere Fiorentino scrivere non fosse di molto vantaggio, nè alcuno s'opponesse per anche a viso aperto alle sue parole, tenute tuttavia per oracoli; tutti a ogni modo se ne giovavano come d'oracoli, e le contorcevano a favorire le loro opinioni. Però i Fiorentini contesero che, stando letteralmente alla sentenza del Bembo, s'aveva da scrivere Fiorentino; dal che veniva la direttissima conseguenza che l' Italia aveva dialetti molti parlati, ed uno solo atto ad essere scritto, e non possedeva in comune lingua veruna. Insorse d'allora in poi,

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4 Manni, Illustr., pag. 640.

2 Varchi, Ercolano, tom. II, pag. 196, ediz. Mil.
Della Volg. Lingua, lib. I, 12.

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