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grafia, che ad essi in quell'esemplare pareva, ed era, dura, manchevole, soverchia, confusa, varia, incostante, e finalmente senza molta ragione. Il che essendo comun difetto di quell'età, stimarono che poco differente fosse quella dell' Autore.1 Però nel Decamerone, e in tutte le opere d'antichi scrittori, e nel loro Vocabolario gli Accademici della Crusca recarono le molte regole in una ed è: Che la scrittura segua la pronunzia, e che da essa non s'allontani un minimo che.'-Come sì fatta legge guastasse di necessità l'evidenza, e la prosodia, e contaminasse di plebeismi l'indole signorile della lingua letteraria degli Italiani, e di quanti e quali mostri poetici abbiano gli Accademici popolato il poema di Dante, ho già detto più di proposito in un Discorso su le fortune del Testo della Divina Commedia; e gli uomini non impazienti a queste necessarie minuzie giudicheranno. Ed ora, quantunque a me sembri vergogna e sia noja il ridire le stesse cose in due luoghi, mi gioverò d'alcune sentenze di quel libretto a mostrare che gli Accademici non potevano far servire la pronunzia ignotissima del tempo del Boccaccio se non a quell'unica ch'essi usavano e udivano a' loro giorni. E come mai potevano immaginare che i Fiorentini del secolo XVI proferissero parole ed accenti e dittonghi come i loro antenati nel secolo XIV? La scrittura delle parole s'altera di secolo in secolo, anzi di generazione in generazione; onde molti, senza troppo pericolo d'ingannarsi, distinguono l'età de' codici dalle forme diversissime de'caratteri. E nondimeno chi scrive, e molto più chi ricopia è guidato dall'occhio che è men capriccioso assai dell'orecchio, dal quale ogni idioma d'anno in anno è modificato ne' suoni della voce assai più che ne'segni della

1 Avvertimenti su la lingua del Decam., vol. I, lib. III, c. 4. 2 Pref. al Vocabol. della Crusca, sez. VIII.

3 Qui l'Autore ne richiama agli ultimi tre §§ del Discorso sul testo della Divina Commedia, ch' ei stava pubblicando a Londra, presso il medesimo Editore, l'anno istesso che pubblicava questo sul Decamerone; da noi stampato qui subito appresso. (L'Ed.)

scrittura. Le differenze delle figure dell'alfabeto scritto, stando permanenti nelle carte, riescono visibili a' posteri; ma le modulazioni e articolazioni delle sillabe e delle parole si vanno rimutando impercettibilmente in guisa che chi le pronunzia le cangia e non se n'accorge. A'grammatici Fiorentini, per appurare l'antica pronunzia, bisognava udire parlare l'ombre de' morti. Ma se gli arcavoli rivivessero a conversare co❜loro discendenti in qualunque città della terra, penerebbero a intendersi fra di loro; tanto le pronunzie si mutano: e a dir vero, il più o il meno della varietà fra tutte lingue non dipende se non se dalle maggiori o minori diversità delle pronunzie fra gli uomini. Che se la lingua letteraria de'popoli s' avesse sempre da scrivere secondo la pronunzia della lingua parlata, l'ortografia anderebbe trasformata ogni secolo, e nessuna lingua avrebbe fermi principj, nè sicure apparenze. Vero è, che il Mannelli e tutti i copisti letterati e idioti contemporanei del Boccaccio, ed esso Boccaccio, e gli autografi del Petrarca posero l'Accademia della Crusca a durissime strette. Perchè volendo essa prescrivere i libri antichi e il nuovo dialetto Fiorentino a tutta l'Italia come unici esempj e regolatori della lingua letteraria, era necessitata o di alterare la ortografia antica de'libri a farla calzare alla moderna pronunzia del popolo, e fondar sovra questa ogni legge- o di lasciare puntualmente agli antichi quella loro incertissima ortografia: e qual fondamento restava più a posare le leggi? Gli Accademici s'appigliarono al primo partito; e ricavando l'ortografia dalla pronunzia popolare de' loro giorni, l'applicarono al Boccaccio, e agli autori antichi, ne' quali vi rimase. Bensì ne' libri scritti dopo il secolo XVI fu rinnovata fin anche da' Fiorentini secondo gli usi diversi, che andavano correndo, e non fu mai generale nè certa. Il che forse non sarebbe avvenuto, se gli Accademici, anzi che desumerla da un dialetto e da un'età sola, l'avessero investigata nella storia di tutte le lingue, e nelle origini e nell'indole dell'Italiana.

Ma intanto che beatissimi del ricoverato Mannelli studiavano per la loro edizione, non s'avvedevano che Lutero e Melantone e Calvino ne gli impedivano. Lutero, che da giovane era stato iniziato forse in tutti i misteri de' claustrali, li rivelava con virulenza tanto più formidabile quant'era più giustificata da' fatti. I principj teologici di Melantone dettati con metodo più insinuante, erano tradotti e disseminati nelle città della Lombardia.1 Calvino era stato a dimora, sott'altro nome, nella corte di Ferrara; convertì la Duchessa e alcuni altri alle nuove opinioni; e il suo Catechismo correva in Italiano fra le mani di molti. Ma perchè la nuova teologia riesciva inintelligibile al pari e forse più dell'antica, i suoi promotori la dichiaravano per via di esempj suggeriti dalla vita ecclesiastica. Ma de' preti in dignità niuno poteva far motto senza pericolo: onde ogni frate fu l'irco delle iniquità d'Israele. I figliuoli bastardi de' papi d' allora, e i loro nipoti imparentati a' monarchi d'Europa avevano principati in Italia; i loro sicarj li vendicavano anche negli altri Stati ; e chiunque avesse disputato della divinità delle bolle pontificie che gli assolvevano d'ogni delitto, sarebbe stato reo di sacrilegio. Bensì de' miseri frati non fu mai fino a que' tempi pericoloso di dire il vero ed il falso. Le loro tristizie essendo più note al popolo, e spesso ridicole, prestavano argomenti efficaci agli innovatori i quali, accusandoli di tutte le iniquità, additavano i loro complici più potenti, senza bisogno di nominarli. Ho accennato com' erano disprezzati nel regno di Leone X: poscia i nipoti di Clemente VII, mascherati da monache, venivano introdotti da frati a pernottare ne'monasteri di donne.* In quasi tutte le commedie, che erano per lo più imitazioni

Principi della Teologia di Ippofilo da Terra Negra. Miscell. Lipsien. Nova, vol. I.

2 Muratori, Antich. Estensi, tom. II, c. 13.

3 Varchi, Stor. Fior., lib. XVI, sul fine.
4 Segni: - Varchi, Stor. Fior., passim.

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delle Latine, il personaggio del Lenone fu assegnato ad un frate e però a fronte degli altri il Boccaccio « come la pecora morde, e non come il cane. » Ad ogni modo i claustrali erano i servi i più vili insieme, e più necessari della Chiesa Romana; e i motteggi contr' essi cominciavano a trapassare da' teatri e da' romanzi alle chiese. I predicatori erano derisi sul pulpito; le donne, a confonderli d'ignoranza, citavano gli Evangelj e i Profeti; i frati intimavano di non voler più predicare, e accusavano d'eresia le città; 2 la Chiesa decretò l'anatema contr'ogni libro dove gli ecclesiastici d'ogni abito e regola fossero proverbiati; e gli Accademici Fiorentini, non che ristampare il Decamerone, appena potevano leggerlo senza l'indulto del confessore.

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Il diritto canonico dell' anatema è originale della religione; e dal dì che san Paolo redarguì san Pietro ed altri Apostoli perchè non facevano come ei predicava, diventò imprescrittibile a tutte le comunioni Cristiane; e tutte per avventura s'avrebbero da chiamare Paoliane. Qui, mentre scrivo, intendo come la Congregazione de' Metodisti, non potendo altro, compera libri nelle vendite all'incanto, e gli abbrucia." Ad ogni modo, sino a mezzo il secolo XVI le scomuniche e le pene capitali a' libri e a' loro scrittori non s' applicavano che per colpe vere, apposte, o probabili di eresia; e le sentenze erano più o meno severe, secondo gli uomini e i tempi. L'opera del Pomponazzi su l'immortalità dell' anima, benchè efficacissima ad illustrare la filosofia d' Epicuro, ed arsa per pubblico decreto da' Veneziani, fu dal Padre Inquisitore nel pontificato di Leone X assolta d'ogni censura;

4 Giorn. VI. Nov. 3.

2 Tiraboschi, Stor. Lett., tom. VII, lib. I, cap. 4.

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3 Sed licet nos, aut Angelus de coelo evangelizet vobis, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit. Paul. ad Gal., c. I, 8. Ad Gal., cap. II, 11–14.

Times, (giornale inglese) april 4th, 1825.

6 Pompon. Apolog. Bonon., 1518.

e certe chiose del Sadoleto a un' Epistola di san Paolo, tutto che censurate dall'Inquisitore, erano ribenedette da Paolo III.1 Questi esempj innumerabili e giornalieri cessarono da che la riforma de' Protestanti provocò la riforma cattolica che rimase meno apparente, benchè forse maggiore e certamente più stabile. I Protestanti la derivarono dalla libertà di interpretare gli oracoli dello Spirito Santo con l'ajuto dell' umana ragione; e i Cattolici non ammettevano interpretazioni se non le ispirate alla Chiesa da Dio, rappresentato dai Papi. Quale delle due dottrine provvedesse meglio alla religione, non so: forse ogni religione troppo scandagliata dalla umana ragione cessa d'esser fede; e ogni fede inculcata, senza il consentimento della ragione, degenera in cieca superstizione. Ma quanto alla letteratura, la libertà di coscienza preparava in molti paesi la libertà civile e di pensare, e di scrivere; mentre in Italia l'obbedienza passiva alla religione accrebbe la politica tirannia, e l'avvilimento e la lunga servitù degl' ingegni. La riforma de' Protestanti mirava principalmente a' dogmi; e la Cattolica unicamente alla disciplina: e però anche le opinioni intorno alla vita e a' costumi degli ecclesiastici furono represse come tendenti a nuove eresie. Il Concilio di Trento vide che i popoli incominciando in Germania a dolersi che i frati fossero bottegaj d'indulgenze, si ridussero a rinnegare il sacramento della confessione, il celibato degli ecclesiastici, e il Papa. Adunque fu provveduto, che per qualunque allusione in vituperio del Clero, i libri si registrassero nell' Indice de' proibiti; e che il leggerli o il serbarli, senza dispensa di Vescovi, fosse peccato insieme e delitto da punirsi in virtù dell' anatema. Le leggi canoniche furono d'indi in poi interpretate e applicate da' tribunali civili presieduti da' Padri inquisitori della regola di san Domenico;

1 Lettere di Principi e a Principi ec., vol. III, a Marc' Antonio Micheli, decemb. 1555.

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