Di che ordischi 'l secondo ; Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare? Di ch'io tremava: omai che puoi tu farme? L'arme tue furon gli occhi, onde l'accese Saette uscivan d' invisibil foco, E ragion temean poco; Che contra 'l ciel non val difesa umana : Avrian fatto gentil d'alma villana ; Devesse il pregio di più laude darsi . Gli Animi, ch'al tuo regno il cielo inchina, Legar potei; che 'l ciel di più non volse . Me legò innanzi, e te prima disciolse? ; Dio, che si tosto al mondo ti ritolse, Amor, della tua man nove ferute. Indarno tendi l'arco; a voto scocchi: Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi. Morte m'ha sciolto, Amor, d'ogni tua legge: Quella, che fu mia donna, al Cielo è gita, Lasciando trista, e libera mia vita. SONETTO III. Tento Amor i invescarlo di nuovo, ma la morte nè ruppe 'l nodo, e lo rese libero. L'ardente nodo, ov'io fui, d'ora in ora Contando anni ventuno interi, preso, Morte disciolse: nè giammai tal peso Provai; nè credo, ch' uom di dolor mora. Non volendomi Amor perder ancora, E se non fosse esperienza molta arso, De' primi affanni, i' sarei preso, ed Tanto più, quanto son men verde legno. Morte m'ha liberato un' altra volta; E rotto 'l nodo; e 'l foco ha spento e sparso; Contra la qual non val forza, nè 'ngegno. SONETTO IV. Morta Laura, il passato, il presente, il futuro, tutto gli è di tormento, e di pena. La vita fugge, e non s'arresta un'ora; E la morte vien dietro a gran giornate; E 'l rimembrar, e l'aspettar m'accora Tornami avanti, s'alcun dolce mai Ebbe 'l cor tristo; e poi dall' altra parte Veggio, fortuna in porto; e stanco omai Il mio nocchier; e rotte arbore, e sarte; SONETTO V. Invita la sua anima ad alzarsi a Dio, ed abbandonar le vanità di quaggiù. Che fai? che pensi? che pur dietro guardi Nel tempo, che tornar non pote omai, Le soavi parole, e i dolci sguardi, Ch' ad un ad un descritti, e dipint' hai, Deh non rinnovellar quel, che n'ancide; Cerchiamo 'l Ciel, se qui nulla ne piace; |