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rivolse, e nelle opere degli antichi poeti più non si fece a ricercare che quanto di sensibile vi era, cioè la forma e la bellezza esteriore. Ma ben presto si accorsero le menti che il Sensismo non era capace di sciogliere alcuno dei grandi problemi, intorno ai quali si affaticò in ogni tempo il pensiero dell' umanità, e fuori della materia cercarono la spiegazione di quelli per due vie diverse, l'una delle quali conduce al riposo dello spirito nel vero rivelato, l'altra guida al dubbio e allo sconforto dell'intelligenza, che dispera di trovare quell' unico oggetto in cui possa acquetarsi, la verità cioè, che ne è la propria essenza. E tali due vie percorse anch'essa la poesia, e ne uscirono due scuole, l'una ispirata dalla religione, l'altra dallo scetticismo e dal dolore.

A quest'ultima appartiene Giacomo Leopardi; benchè per l'altezza dell'ingegno suo possa dirsi piuttosto una grande individualità solitaria, che pure in sè riunendo il pensiero di una gran parte dell' età sua, s'innalza gigantescamente sovr' essa e pare che rappresenti sè medesimo soltanto e riempia le anime di terrore nello stesso tempo e di meraviglia coll'audace sfida, ch'egli lancia in faccia all'umanità ed ai sogni più cari di quella. La quale

individualità, che è carattere proprio di tutti gli intelletti che sono in alto grado forniti di lirica potenza, e che prendono le ispirazioni loro dall' interno commovimento e le cose esteriori significano soltanto con quell' impronta, che dall'individuale loro pensiero hanno presa, più che in ogni altro si ravvisa nel Leopardi, che visse una vita tutta sua particolare, e vide la Società e l'esistenza sotto un aspetto diverso da quello che agli altri sogliono rappresentarsi. Il perchè è necessario, che della sua vita noi diciamo alcuna cosa per quella parte almeno, che potè concorrere a formare in lui il pensatore e il poeta.

Nacque egli a Recanati nelle Marche il 1798 dal conte Monaldo Leopardi e dalla marchesa Adelaide Antici e fu educato nella casa paterna da maestri, che gl' insegnarono le umane lettere e la filosofia. Il secondo di questi lo accompagnò fino all'età di 14 anni; ma egli toccato appena il decimo erasi accorto, che l'insegnamento, che gli veniva dato da altri, non bastava a saziare l'animo suo e cominciò a cercare da sè medesimo quel pascolo della mente, che più gli conveniva. Trovandosi per buona ventura in casa una ricca biblioteca, si

stanza agli studi, imparando, senza aiuto di maestri, la lingua francese, la spagnuola e l'inglese non solo, ma ancora l' ebraica, per cui eccitò la maraviglia di alcuni dotti ebrei an conitani, coi quali prese a disputare, e la greca, della quale invaghitosi smisuratamente, spese sette anni continui in istudi filologici e giunse al segno di non temere il paragone non pure dei filologici italiani, chè per disgrazia nostra non sarebbe gran vanto; ma ancora dei più insigni fra i dotti delle più colte nazioni di Europa. In mezzo a queste sue occupazioni intorno alle lingue antiche ed alle straniere letterature, egli non dimenticava il bellissimo idioma della sua patria, del quale apprendeva nei classici il difficile magistero e a cui si addestrava con traduzioni prosastiche e poetiche de' più bei brani degli antichi maestri, venendo con essi a gara di perfezione, e congiungendo nel suo stile la semplicità greca col fare ingenuo, che tanto le somiglia, de'nostri scrittori del trecento, schivando per la finezza del suo gusto la pedantesca imitazione che altri ne fecero, e convertendole in sangue e sugo tutto suo particolare. Nè questo amore potentissimo della filologia valse a spegnere in

sia; chè anzi egli sentiva grandissimo in sè il bisogno della poesia, di questo primo fiore che sboccia dalle. meridionali intelligenze ad annunziare i frutti che esse un giorno saranno per produrre; a significare la veemenza del quale bisogno è d'uopo, che si riferiscano alcune parole, ch'egli fece a questo proposito in una sua lettera a Pietro Giordani che il giovava de' suoi consigli, ed amandolo tenerissimamente da lontano gli serviva di guida nelle sue letterarie fatiche. « Da che, gli scriveva il suo Giacomo, ho cominciato a conoscere un poco il bello, a me quel calore e quel desiderio ardentissimo di tradurre e far mio quello che leggo, non han dato altri che i poeti, e quella smania violentissima di comporre non altri che la natura e le passioni; ma in modo forte ed elevato, facendomi quasi ingigantire l'anima in tutte le sue parti, e dire fra me: Questa è poesia; e per esprimere quello, che io sento, ci vogliono versi e non prosa; e darmi a far versi. Non mi concede ella di leggere ora Omero, Virgilio, Dante e gli altri sommi? Io non so se potrei astenermene, perchè leggendoli provo un diletto da non esprimere con parole, e spessissimo mi

tutt'altro, sentire qualche verso di autor classico, che qualcuno della mia famiglia mi recita a caso, palpitare immantinente e vedermi forzato di tener dietro a questa poesia.

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Ma sette anni continui spesi in tali studi filologici e in un entusiastico amore della sapienza, della poesia e della gloria logoravano miseramente quel corpo, che la natura più matrigna che madre, gli aveva dato debolissimo ed incapace di corrispondere all'infaticabile attività della sua mente, e colpito di grave infermità negli occhi, che lo privò quasi dell'uso di quelli per un anno intero, più non potendo studiare nei libri, nè dare sfogo al bollente ingegno collo scrivere, si diede a cercargliene un altro nell'interiore meditazione e comincio ad innamorarsi della filosofia, la quale più non abbandonò fin che visse, ed alla quale chiese, ma invano, la spiegazione del grande mistero dell' umanità e della natura.

Tornato alle predilette occupazioni, quanto più la sua mente acquistava di ricchezza e di forza, tanto più sentiva l' angustia dei limiti, in cui fino a quel tempo era stato rinchiuso, desiderava di vedere uomini e cose, di godere la vita, ch'egli nei suoi sogni d'infanzia si era

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