E sparger fuga e fulminar col brando Così fatti pensieri Quando fien, come fûr, palesi al volgo, Contra l'empia natura Strinse i mortali in social catena Da verace saper, l'onesto e il retto E giustizia e pietade altra radice Così star suole in piede Quale star può quel c'ha in error la sede. Sovente in queste piagge, Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Seggo la notte; e su la mesta landa, In purissimo azzurro Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo vôto seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch'a lor sembrano un punto, E sono immense in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Globo ove l'uomo è nulla, Nobil natura è quella Gli occhi mortali incontra Al comun fato, e che con franca lingua, Confessa il mal che ci fu dato in sorte, Quella che grande e forte Mostra sè nel soffrir, nè gli odi e l'ire D'ogni altro danno, accresce Alle miserie sue, l'uomo incolpando Siccom'è il vero, ed ordinata in pria Tutti fra sè confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia Con vero amor, porgendo Valida e pronta ed aspettando aita Della guerra comune. Ed alle offese Stolto crede così, qual fôra in campo Incalzar degli assalti, Gl'inimici obliando, acerbe gare E sparger fuga e fulminar col brando Così fatti pensieri Quando fien, come fûr, palesi al volgo, Contra l'empia natura Strinse i mortali in social catena Fia ricondotto in parte Da verace saper, l'onesto e il retto E giustizia e pietade altra radice Così star suole in piede Quale star può quel c'ha in error la sede. Che, desolate, a bruno Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Seggo la notte; e su la mesta landa, In purissimo azzurro Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle Il mare, e tutto di scintille in giro Per lo vôto seren brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch'a lor sembrano un punto, E sono immense in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L'uomo non pur, ma questo Globo ove l'uomo è nulla, Quegli ancor più senz'alcun fin remoti Nodi quasi di stelle, Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo E non la terra sol, ma tutte in uno, Del numero infinite e della mole, Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle O sono ignote, o così paion come Essi alla terra, un punto Di luce nebulosa; al pensier mio Dell'uomo? E rimembrando Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte, Credi tu data al Tutto, e quante volte Sembra tutte avanzar; qual moto allora, Come d'arbor cadendo un picciol pomo, Maturità senz' altra forza atterra, D'un popol di formiche i dolci alberghi Con gran lavoro, e l'opre, E le ricchezze ch' adunate a prova In un punto; così d'alto piombando, Scagliata al ciel profondo Di ceneri, di pomici e di sassi Di liquefatti massi E di metalli e d'infocata arena Scendendo immensa piena, Le cittadi che il mar là su l'estremo Lido aspergea, confuse E infranse e ricoperse In pochi istanti: onde su quelle or pasce Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello Dell' uom più stima o cura Ch'alla formica: e se più rara in quello Che nell' altra è la strage, Non avvien ciò d'altronde Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde. Ben mille ed ottocento |