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PARALIPOMENI

DELLA

BATRACOMIOMACHIA

CANTO PRIMO

Poi che da' granchi a rintegrar venuti
Delle ranocchie le fugate squadre,

Che non gli aveano ancor mai conosciuti,
Come volle colui che a tutti è padre,
Del topo vincitor fûro abbattuti

Gli ordini, e vôlte invan l'opre leggiadre,
Sparse l'aste pel campo e le berrette
E le code topesche e le basette;
Sanguinosi fuggian per ogni villa
I topi galoppando in su la sera,
Tal che veduto avresti anzi la squilla
Tutta farsi di lor la piaggia nera;
Quale spesso in parete, ove più brilla
Del sol d'autunno la dorata sfera,
Vedi un nugol di mosche atro, importuno,
Il bel raggio del ciel velare a bruno.
Come l'oste papal cui l'alemanno
Colli il Franco a ferir guidava in volto,
Da Faenza, onde pria videro il panno
Delle insegue francesi all'aria sciolto,
Mosso il tallon, dopo infinito affanno,
Prima il fiato in Ancona ebbe raccolto;
Cui precedeva in fervide, volanti

O come dianzi la fiamminga gente,
Che Napoli infelice avea schernita,
Viste l'armi d'Olanda, immantinente
La via ricominciò ch'avea fornita,
Nè fermò prima il piè, che finalmente
Giunse inbovata la francese aíta;
Tale i topi al destin, di valle in valle,
Per più di cento miglia offrir le spalle.
Passata era la notte, e il dì secondo
Già l'aria incominciava a farsi oscura,
Quando un guerrier chiamato il Miratondo
A fuggir si trovò per un' altura;

Ed o fosse ardimento, ovver ch' al mondo
Vinta dalla stanchezza è la paura,
Fermossi; e di spiar vago per uso,
Primo del gener suo rivolse il muso.

E ritto in su due piè, con gli occhi intenti, Mirando quanto si potea lontano;

Di qua, di là, da tutti quattro i venti,
Cercò l'acqua e la terra, il monte e il piano,
Spïò le selve, i laghi e le correnti,

Le distese campagne e l'oceáno;

Nè vide altro stranier, se non farfalle
E molte vespe errar giù per la valle.
Granchi non vide già, nè granchiolini,
Nè d'armi ostili indizio in alcun lato.
Soli di verso il campo i vespertini
Fiati venian movendo i rami e il prato,
Soavemente sussurrando, e i crini

Fra gli orecchi molcendo al buon soldato.
Era il ciel senza nubi, e rubiconda

Rinvigorir sentissi, ed all' aspetto
Di si queta beltà l'alma riprese
Il Miratondo. E poi che con effetto,
Quattro volte a girar per lo paese
Le pupille tornando, ogni sospetto
Intempestivo e vano esser comprese,
Osò gridare a' suoi compagni eroi:
Si gran fede prestava agli occhi suoi.
Non con tanta allegrezza i diecimila
Cui la propria virtù d'Europa ai liti
Riconducea, dall' armi e dalle fila
Del re persian per tanta terra usciti,
La voce udîr, che via di fila in fila
S'accrescea, di color che pria saliti
Onde il mar si copria, qual chi mirare
Crede suo scampo, gridâr, mare, mare.

Con quanta i topi omai ridotti al fine
Per fatica e per temà, udiro il grido
Del buono esplorator; cui le marine
Caverne rimuggir con tutto il lido:
Ch'era d'intorno intorno ogni confine
Ove il guardo aggiungea, tranquillo e fido;
Che raccôrsi e far alto, e che dal monte
Di novo convenia mostrar la fronte.

Altri in sul poggio, ed altri appiè dell' erta, Convenner da più bande i fuggitivi,

Cui la tema, in un dì, per via deserta,
Mille piagge avea môstro e mille rivi;
Smarriti ancora, e con la mente incerta,
E dal corso spossati e semivivi;
E incominciâr tra loro a far consiglio

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