E il viver macro ad altre leggi addisse; Quando gl' infausti giorni Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa ? Serena adduce al non previsto passo Al misero desio nulla contesa O tenebroso ingegno. A voi, fra quante Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende. E tu dal mar cui nostro sangue irriga, Candida luna, sorgi, E l'inquïeta notte e la funesta Tu si placida sei? Tu la nascente Lieti vedesti, e i memorandi allori; Sotto barbaro piede Ritornerà quella solinga sede. Ecco tra nudi sassi o in verde raino E la fera e l' augello Del consueto obblio gravido il petto, Sorti del mondo: e come prima il telto Quel desterà le valli, e per le balze Agiterà delle minori belve. Oh casi oh gener vano! abbietta parte Siam delle cose; e non le tinte glebe, Non gli ululati spechi Turbò nostra sciagura, Nè scolorò le stelle umana cura. Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi Regi, o la terra indegna, E non la notte moribondo appello ; Precipitano i tempi; e mal s'affida L'onor d'egregie menti e la suprema Tratti l'ignota spoglia; E l'aura il nome e la memoria accoglia. VII. ALLA PRIMAVERA, O DELLE FAVOLE ANTICHE. Perchè i celesti danni Ristori il sole, e perchè l'aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta Delle nubi la grave ombra s' avvalla ; Credano il petto inerme Gli augelli al vento, e la diurna luce Novo d'amor desio, nova speranza Ne' penetrati boschi e fra le sciolte Pruine induca alle commosse belve; Forse alle stanche e nel dolor sepolte Umane menti riede La bella età, cui la sciagura e l'atra Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Primavera odorata, inspiri e tenti Vivi tu; vivi, o santa Natura? vivi e il dissueto orecchio Della materna voce il suono accoglie ? Furo i liquidi fonti. Arcane danze Le sitibonde agnelle, arguto carme Udi lungo le ripe; e tremar l'onda Scendea ne' caldi flutti, e dall' immonda Il niveo lato e le verginee braccia. Vissero i boschi un dì. Conscie le molli Fur dell' umana gente, allor che ignuda Te per le piagge e i colli, Ciprigna luce, alla deserta notte Con gli occhi intenti il viator seguendo, Te compagna alla via, te de' mortali Pensosa immaginò. Che se gl' impuri Cittadini consorzi e le fatali Ire fuggendo e l'onte, Gl' ispidi, tronchi al petto altri nell' ime Viva fiamma agitar l' esangui vene, Dafne e la mesta Filli, o di Climene Ma di ninfa abitò misero spirto, Etra insegnava. E te d'umani eventi Musico augel che tra chiomato bosco Ozio de' campi, all' aer muto e fosco, Il gener tuo; quelle tue varié note Ahi ahi, poscia che vote Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono |