Eternamente chiuderà. Ciò detto Con un sospiro, all' adorata destra Le fredde labbra supplicando affisse. Stette sospesa e pensierosa in atto La bellissima donna; e fiso il guardo, Di mille vezzi sfavillante, in quello Tenea dell'infelice ove l'estrema Lacrima rilucea. Nè dielle il core Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio Rinacerbir col niego; anzi la vinse Misericordia dei ben noti ardori. E quel volto celeste, e quella bocca, Già tanto desiata, e per molt' anni Argomento di sogno e di sospiro, Dolcemente apprezzando al volto afflitto E scolorato dal mortale affanno, Più baci e più, tutta benigna e in vista D'alta pietà, su le convulse labbra Del trepido, rapito amante impresse. Che divenisti allor? quali appariro Vita, morte, sventura agli occhi tuoi, Fuggitivo Consalvo? Egli la mano, Ch'ancor tenea, della diletta Elvira Postasi al cor, che gli ultimi battea Palpiti della morte e dell' amore. Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono In su la terra ancor; ben quelle labbra Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo! Ahi vision d'estinto, o sogno, o cosa Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira, Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi Non ti fu l'amor mio per alcun tempo;
Ma ruppe alfin la morte il nodo antico Alla sua lingua. Poichè certi i segni Sentendo di quel di che l'uom discioglie, Lei, già mossa partir, presa per mano, E quella man bianchissima stringendo, Disse tu parti, e l'ora omai ti sforza: Elvira, addio. Non ti vedrò, ch'io creda Un'altra volta. Or dunque addio. Ti rendo Qual maggior grazia mai delle tue cure Dar possa il labbro mio. Premio daratti Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende. Impallidia la bella, e il petto anelo Udendo le si fea: chè sempre stringe All' uomo il cor dogliosamente, ancora Ch'estraneo sia, chi si diparte, e dice, Addio per sempre. E contraddir voleva, Dissimulando l'appressar del fato, Al moribondo. Ma il suo dir prevenne Quegli, e soggiunse: desiata, e molto, Come sai, ripregata a me discende, Non temuta, la morte; e lieto apparmi Questo feral mio di. Pesami, è vero, Che te perdo per sempre. Oimè per sempre Parto da te. Mi si divide il core
In questo dir. Più non vedrò quegli occhi, Nè la tua voce udrò! Dimmi: ma pria Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio Non vorrai tu donarmi? Un bacio solo In tutto il viver mio? Grazia ch'ei chiegga Non si nega a chi muor. Nè già vantarmi Potrò del dono, io semispento, a cui
Eternamente chiuderà. Ciò detto Con un sospiro, all' adorata destra Le fredde labbra supplicando affisse. Stette sospesa e pensierosa in atto La bellissima donna; e fiso il guardo, Di mille vezzi sfavillante, in quello Tenea dell'infelice ove l'estrema Lacrima rilucea. Nè dielle il core Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio Rinacerbir col niego; anzi la vinse Misericordia dei ben noti ardori. E quel volto celeste, e quella bocca, Già tanto desiata, e per molt' anni Argomento di sogno e di sospiro, Dolcemente apprezzando al volto afflitto E scolorato dal mortale affanno, Più baci e più, tutta benigna e in vista D'alta pietà, su le convulse labbra Del trepido, rapito amante impresse. Che divenisti allor? quali appariro Vita, morte, sventura agli occhi tuoi, Fuggitivo Consalvo? Egli la mano, Ch'ancor tenea, della diletta Elvira Postasi al cor, che gli ultimi battea Palpiti della morte e dell' amore. Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono In su la terra ancor; ben quelle labbra Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo! Ahi vision d'estinto, o sogno, o cosa Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira, Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi Non ti fu l'amor mio per alcun tempo;
Non a te, non altrui; che non si cela Vero amore alla terra. Assai palese Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi, Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre Muto sarebbe l'infinito affetto
Che governa il cor mio, se non l'avesse Fatto ardito il morir. Morrò contento Del mio destino omai, nè più mi dolgo Ch'aprii le luci al di. Non vissi indarno, Poscia che quella bocca alla mia bocca Premer fu dato. Anzi felice estimo
La sorte mia. Due cose belle ha il mondo: Amore e morte. All'una il ciel mi guida In sul fior dell'età; nell' altro, assai Fortunato mi tengo. Ah, se una volta, Solo una volta il lungo amor quieto E pago avessi tu, fôra la terra Fatta quindi per sempre un paradiso Ai cangiati occhi miei. Fin da vecchiezza, L'abborrita vecchiezza, avrei sofferto Con riposato cor: che a sostentarla Bastato sempre il rimembrar sarebbe D'un solo istante, e il dir: felice io fui Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto Esser beato non consente il cielo A natura terrena. Amar tanť oltre Non è dato con gioia. E ben per patto In poter del carnefice ai flagelli, Alle ruote, alle faci ito volando Sarei dalle tue braccia; e ben disceso Nel paventato sempiterno scempio.
Gl'immortali beato, a cui tu schiuda Il sorriso d'amor! felice appresso
Chi per te sparga con la vita il sangue! Lice, lice al mortal, non è già sogno Come stimai gran tempo, ahi lice in terra Provar felicità. Ciò seppi il giorno
Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte Questo m' accadde. E non però quel giorno Con certo cor giammai, fra tante ambasce, Quel fiero giorno biasimar sostenni.
Or tu vivi beato, e il mondo abbella, Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno Non l'amerà quant' io t'amai. Non nasce Un altrettale amor. Quanto, deh quanto Dal misero Consalvo in sì gran tempo Chiamata fosti, e lamentata, e pianta ! Come al nome d'Elvira, in cor gelando, Impallidir; come tremar son uso All' amaro calcar della tua soglia, A quella voce angelica, all'aspetto Di quella fronte, io ch'al morir non tremo! Ma la lena e la vita or vengon meno Agli accenti d'amor. Passato è il tempo, Nè questo di rimemorar m' è dato. Elvira, addio. Con la vital favilla La tua diletta immagine si parte Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave Non ti fu quest'affetto, al mio ferétro Dimani all'annottar manda un sospiro.
Tacque: nè molto andò, che a fui col suono Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo
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