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Ma Dante non fu a questa guerra del Mugello; chè, quell'ajuto di Bartolomeo della Scala alla lega Bianca Ghibellina, c'è memoria fosse mandato per opera di Dante ambasciadore a Verona. Era opera conforme ai carichi, al mestiere diplomatico di Dante prima dell'esilio; onde non è da meravigliare gli fosse or commessa dagli esuli. E quindi si vede l'occasione ch' ebbe Dante d'andare a Ve

la quale altrimenti nè si spiega nè si può intendere. La città di Verona, ove giugneva Dante, era da gran tempo come la capitale del Ghibellinismo in Lombardia. Non ch'ella non si fosse nel secolo precedente congiunta con altre città, traendole anzi seco alla gran lega Lombarda contra Federigo Barbarossa: ma, dopo la pace di Costanza, avendo all'anno 1200 preso per podestà Ezzelino da Romano, II del nome, e soprannomato il Monaco; un guerriero d'antica famiglia tedesca già potente in quelle contrade, e stato uno de' capi della lega, poi perdonato e diventato imperiale; Verona d'allora in poi, salvi i casi delle parti, era sempre rimasta sotto quella famiglia straniera e ghibellina. Questi Da Romano, uomini e donne, furono gente famosa per li loro delitti, ognuno secondo il sesso suo. Famosissima fu una delle figlie di quell'Ezzelino il Monaco, detta Cunizza; maritata prima a Rizzardo da San Bonifazio, poscia amante vissuta con Sordello il famoso Trovatore, poi con Bonio un cavaliere Trivigiano con cui corse ventura in varie parti d'Europa, poi moglie di un conte di Braganza, e finalmente di un terzo marito in Verona, e venuta a finire i suoi di in Toscana ond' era la madre sua. E così è, che costei già vecchia e forse pentita, potè essere conosciuta da Dante e da Beatrice in puerizia. È congettura molto approvabile dell'autor del Veltro, e che ci può spiegare come Dante ponesse tal donna al terzo cielo del Paradiso:

1 Pelli, p. 123,

Ed ecco un altro di quegli splendori
Ver' me si fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.

Gli occhi di Beatrice ch' eran fermi
Sovra me, come pria di caro assenso
Al mio desio certificato fêrmi:

Deh metti al mio voler tosto compenso
Beato spirto, dissi, e fammi pruova
Ch'io possa in te rifletter quel ch' io penso.
Onde la luce che m'era ancor nuova,
Del suo profondo, ond' ella pría cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
In quella parte della terra prava

Italica, che siede intra Rialto

E le fontane di Brenta e di Piava,
Si leva un colle e non sorge molt' alto,
Là onde scese già una facella,

Che fece alla contrada grande assalto.
D'una radice nacqui ed io ed ella;
Cunizza fui chiamata, e qui rifulgo
Perchè mi vinse il lume d'esta stella.
Ma lietamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte, e non mi noia,
Che forse parria forte al vostro vulgo.
PARAD. IX. 13-36.

Certo, i versi 14 e 15 pajono confermare la congettura d'una famigliarità antica e d'una dolce rimembranza di Dante, e il 24 accennare che anche Beatrice nella comune puerizia fosse stata cara alla vecchia Cunizza; e ciò scuserebbe vie meglio Dante, per esserci debitamente cari coloro che amarono i cari nostri. Il colle, il castello poi ivi accennato è Romano, nido di quegli avoltoi settentrionali. E la facella fatale a quelle contrade è il fratello di Cunizza, Ezzelino terzo, il più famoso ed ultimo di quella schiatta; il quale dopo il padre tiranneggiò Verona e parecchie altre città di Lombardia orientale fino al 16 settembre 1259, che incamminato coll'esercito a Milano, fu accerchiato da tutti i Guelfi, anzi da tutti i potenti d'ogni parte di Lombardia sollevati contro la sua potenza e crudeltà, e ferito e preso, morì in breve, imprecato da tutti. Dante che, 4 Leo., St. d'Ital., II. 172, 232, 272.

1

quando non era sviato dagli affetti privati, giudicava secondo l'opinione pubblica, mette costui nell' Inferno fra i tiranni, ma il fa senza altrimenti morderlo:

E quella fronte ch' ha il pel così nero,

È Azzolino.

INF. XII. 109-110.

Ma Verona, avvezza a signoria, avendo subito dopo la morte d' Ezzelino, preso a podestà uno de' nemici di lui, Mastino della Scala, questi ora in tal carico, ora in quello di capitano del popolo, era pure rimaso signore e ghibellino, finchè fu ucciso nel 1279. Allora accorse Alberto fratello di lui e podestà di Padova; e vinti gli avversarii della famiglia, prese il luogo dell' estinto, fecesi egli capitano del popolo, e fece a modo suo i podestà. Ma confermando all'intorno l'antica potenza ghibellina di Verona, la resse addentro con modi opposti a quelli degli Ezzelini; e morendo l'anno 1301, lasciò grande già, e per quel tempo virtuoso, il nome degli Scaligeri ai tre figliuoli suoi; Bartolomeo che gli succedette nel capitanato, Alboino, e Cane che poi fu detto il Grande, ma allora era fanciullo di nove anni. Bartolomeo, poi, visse e signoreggiò fino al 7 marzo 1304.

Se adunque si voglia, come mi pare si debba, tener conto di quella memoria, che ad istigazione di Dante ambasciadore fu dagli Scaligeri mandato ajuto all' Ordelaffi ed alla lega Bianca ghibellina per la guerra di Mugello al principio del 1303, chiaro è che ciò fu durante il capitanato di Bartolomeo; e che questi è il Gran Lombardo nomato nella sublime poesia con che incomincia la predizione dell'esilio fatta a Dante da Cacciaguida:

1

4 Il gran Lombardo è uno dei punti più controversi dai Commentatori, essendovene che tengono per ognuno dei tre fratelli. Ma s'elimina Cane dall'età di lui, e dal distinguersi ne' versi 76 e seguenti esso Cane dal gran Lombardo. E s'elimina Alboino dal vituperio di poca nobiltà a lui dato da Dante nel Convito: non che Dante non si ricreda talvolta; ma ei soleva ricredersi dal bene al male, per ingiurie ricevute dagli amici; non mai dal male al bene, perchè non era di sua natura mettersi in caso di ricever beneficii da chi l'avesse ingiuriato una volta; ed essendo

Qual si parti Ippolito da Atene
Per la spietata e perfida noverca,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Questo si vuole e questo già si cerca;
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa1
Là dove Cristo tutto dì si merca.
La colpa seguirà la parte offensa
In grido, come suol; ma la vendetta
Fia testimonio al ver che la dispensa."
Tu lascerai ogni cosa diletta

Più caramente; e questo è quello strale
Che l'arco dell' esilio pria saetta.

Tu proverai siccome sa di sale

Lo pane altrui, e come è duro calle
Lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle

Sarà la compagnia malvagia e scempia
Con la qual tu cadrai in questa valle,
Che tutta ingrata, tutta matta ed empia 3
Si farà contra te; ma poco appresso
Ella, non tu, n' avrà rotta la tempia.
Di sua bestialitade il suo processo
Farà la prova, sì ch'a te fia bello
L'averti fatto parte per te stesso.
Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello
Sarà la cortesia del Gran Lombardo
Che in sulla Scala porta il santo uccello;
Che in te avrà sl benigno riguardo,

Che del fare e del chieder tra voi due

Fia prima quel che tra gli altri è più tardo.
Con lui vedrai colui che impresso fue,

il Paradiso, e così i versi qui riferiti, scritti all' ultimo della vita di Dante, io al peno credere che vi piaggiasse così chi egli avea vituperato in un' opera anteriore. De'tre Scaligeri trovati da Dante in Verona all'anno 1303, due sono qui lodati, uno ta ciuto: è più probabile che il taciuto qui, fosse quello vituperato altrove. Anzi, così s'intende perchè qui fosse taciuto. E finalmente, il commento attribuito a Pietro figlio di Dante ed abitator di Verona, dice chiaramente, che l'ospite di suo padre fu Bartolomeo (Ed. Minerva, T. III, p. 439).

1 Bonifazio VIII.

2 Forse le calamità di Firenze, la morte di Corso Donati negli anni seguenti; forse la morte di Bonifazio VIII.

3 Le due terzine seguenti non mi pajono assolutamente potersi riferire a que sto tempo dell'esilio, nè all'impresa di Mugello, durante la quale Dante, non che far parte per sè stesso, era ambasciadore e promotor d'ajuti per la sua parte. Vedremo più giù a che si riferisca tale intercalazione; la quale poi non dee far meraviglia di niuna maniera, la poesia non essendo annali, e non dovendosi pretendere nè desiderare da quella la precisione di questi.

4 Can Grande.

Nascendo, sì di questa stella forte,
Che notabili fien l'opere sue.
Non se ne sono ancor le genti accorte
Per la novella età, che pur nove anni
Son queste ruote intorno di lui torte.
Ma pria ec.

PARAD. XVII. 46-82.

La gratitudine mostrata qui da Dante a Bartolomeo, e i nomi di rifugio e d'ostello dati alla sua dimora in Verona, mi sembrano poi indubitatamente accennare, che tal dimora ei la vi fece, non solo da ambasciadore, ma ancor da esule, rifugiato ed ospite; e quindi, che dopo la breve campagna e la dispersione de' Bianchi in Mugello, Dante rimase in Verona. Che vi riprendesse i suoi varii lavori, il Convito forse e 'l Vulgare Eloquio, io 'l crederei; ma non avendoli terminati allora certamente quali ci restano, ne parleremo più giù. Ancora, quanto ivi dimorasse resta incerto; certo, che non guari più d'un aǹno, posciachè a giugno 1304 troveremo memoria di lui altrove. La prossimità di tal data a quella della morte di Bartolomeo addì 7 marzo del medesimo anno, può lasciar credere che Alboino fratello di lui, succedutogli nella signoria, non si mostrasse a Dante così cortese ospite; e che perciò Dante allor si partisse di Verona; perciò vituperasse poi Alboino nel Convito; perciò, quando scrisse i versi surriferiti, molti anni dopo, in corte a Can Grande, nominasse questo solo con Bartolomeo, e sdegnosamente tacesse d'Alboino. "

1

Un'altra reminiscenza del soggiorno di Dante in Verona, e dell'aver quinci peregrinato su per Val d'Adige fino a Trento, trovasi nell' Inferno. Nel quale scendendo Dante e Virgilio dal sesto al settimo cerchio, ei fa di tal dirupata discesa il paragone seguente:

L'autor del Veltro fa andar Dante a Bologna dopo Verona. Certo, può essere; chè Bologna è così di passaggio, che andando e tornando di Toscana a Lombardia, ci si passa naturalmente: ma non ce n'è altro documento, che l' indetermi natissimo luogo citato già del Villani, p. 508.

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