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Sassoni, Franchi, Lotaringi, Bavaresi, Suevi, Borgognoni tanto sprezziamo i Romani, che se trasportati dal corruccio vogliamo caricare d'obbrobbrio i nostri nemici, ci basta di chiamarli Romani, giacchè sotto questo nome solo comprendiamo quanto v'ha di basso e di codardo, ogni avarizia, lussuria, menzogna, in somma ogni qualunque lordura.<

Due popoli vicini ed intraprendenti quanto l'erano i Beneventani e i Napoletani, non poteano a meno d'inimicarsi bentosto. Diffatti Sicardo, principe di Benevento, non men di quello che facesse Sicone suo padre, e successore di Grimoaldo II. da lui ucciso, mosse aspra guerra ai Napoletani. Andrea console di questi, non avendo altro ripiego per salvarsi, mandò in Sicilia a far venire una grossa flotta di Saracini ajuto infido e formidabile a quel medesimo che sene valea. Allora Sicardo intimorito diede ascolto ad un trattato di pace, e restituì tutti i prigionieri ad Andrea. Ma non si tosto furono partiti verso la Sicilia i Saraceni, che Sicardo ruppe la pace fatta, e più che mai si diede a perseguitare il popolo di Napoli. Racconta l'anonimo Salernitano che la rottura procedette dall' avere Andrea differito di pagare a Sicardo i tributi ą tenor delle precedenti convenzioni. Però infuriato Sicardo nel mese di Maggio dell' anno 836, si portò con tutte le sue forze all' assedio di Napoli, diè per tre mesi il guasto al paese, e ne asportò i corpi de' santi e gli ornamenti delle chiese. Era già a mal partito il popolo della città, spezialmente per mancanza di viveri, quando si pensò alla maniera di placare il nemico. Spedirono dunque un monaco di buona fama, il quale arrivato davanti alla tenda di Sicardo subito ch'egli spuntò, s'inginocchiò piangen

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do ai di lui piedi con chiedere misericordia per gli suoi concittadini, e fargli credere, ch'essi non avrebbono difficoltà ad arrendersi. Intenerito Sicardo, ordinò a Roffredo, suo favorito, di entrare nella città per vedere, se meritava fede il religioso. Ammesso colui diede una girata per Napoli, ed avendo osservato nella piazza una picciola montagna di grano, ne dimandò il perchè. Gli risposero: Avendo le nostre case piene di frumento, quel che ci avanzava, l'abbiam qui gettato in piazza.« Ma quella montagnuola non era che di sabbia, sulla cui superficie aveano fatta una coperta di grano, il quale già cominciava a rinascere. In questa maniera restò deluso Roffredo, il quale regalato innoltre dai Napoletani d'alcuni fiaschi creduti di vino, ma pieni di soldi d'oro, con significare a Sicardo la gran quantità di grano da lui osservato nella città, il trasse a contentarsi d'una capitolazione, in cui i Napoletani salvarono la lor libertà, ma con obbligarsi al puntual pagamento del tributo al principe di Benevento.

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Da Napoli solea dipendere la vicina città di Amalfi, intorno alla cui origine gli abitanti stessi raccontavano quanto siegue. A' tempi di Costantino il grande, quando egli trasportò a Bizanzio la sede dell' impero, due navi che dovean seguirlo, dalle burrasche furon gettate sul lido di Ragusi, dove, ricevute dagli abitanti alcune terre, stettero del tempo assai, finchè angariati da' Ragusani deliberarono di sottrarsi a tale schiavitù, ed impadronitisi di parecchi legni ritornarono in Italia. Stabilironsi da principio a Melfi, indi ad Eboli nella vicinanza di Salerno, ma in ambedue questi luoghi ebbero a soffrire le medesime persecuzioni, che già lor avean fatto rin

crescere il soggiorno di Ragusi. Alcuni poi di loro, entrati in mare per trafficare, approdarono un giorno in un sito chiamato alle Scale ed abitato da poveri pescatori. Nulladimeno ne vennero graziosamente accolti, e vi si fermarono alquanto, finchè ben esaminata ogni cosa coll' intenzione di cercar quivi un asilo per tutti i loro compatriotti, ritornarono ad Eboli. A costoro poi, volendo assicurarsi di quanto venia riferito da que' primi, parve di spedirvi i più autorevoli capi del lor comune, i quali anch'essi ne tornaron soddisfatti, e pieni di giubbilo dissero agli altri: >>Abbiam ritrovato un luogo sicurissimo, da alte rupi difeso dalla parte della terra, aperto solo verso il mare, e molto ameno. Su, fratelli, abbandoniamo questo sciagurato paese, e fuggendo il rio servaggio, ricoveriamci, dove non avremo da temere nemico veruno." Senza frapporvi indugio quegli arditi marinaj nascostamente s'imbarcarono, e colle donne, coi figli, e con quanto potettero asportare seco, navigarono alle Scale, e fondatavi una città, le diedero il nome d'Amalfi, che tosto andò crescendo, talchè fin dal 596 si trova fatta menzione d'un vescovo amalfitano.

Intesi al commercio, ed alla pescagione,. vissero quivi tranquilli sotto la protezione di Napoli, finchè la loro quiete fu disturbata dalla strana divozione di Sicardo principe di Benevento. Alcuni Amalfitani, infastiditi del patrio suolo, eransi stabiliti a Salerno, e ricolmati di favori da quell' astuto Longobardo, con ogni maniera di lusinghe andavano istigando i lor parenti ad abbandonar similmente le sterili loro balze, e a godersi insieme con essi gli agi di Salerno. Ma quelli non avendo accettato

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tale invito, il principe in altro modo gli assoggettò al suo dominio. Andava egli cercando dappertutto delle reliquie de' santi, onde ornarne la sua residenza, e sapendo che gli Amalfitani avvisati di simil disegno aveano da Minori trasportato nelle proprie mura le ossa di Santa Trifomene loro protettrice, sorprese la città e senza trovarvi gran resistenza s'impadroni e delle sacre reliquie e degli abitanti medesimi, i quali tutti menò seco, e per via di matrimonj e di favorevoli leggi s'adoperò a fare un popolo solo di essi e de' Salernitani. Insospettito poi del fratello Siconolfo, lo fece: chierico, e costrettolo a recitare il vangelo in chiesa, carico di catene lo mandò a Taranto, dove fu rinchiuso in una cisterna. Non durò però guari che un nobile per nome Nannigo sdegnato dell' oltraggio che fatto avea ad una gentildonna, colla spada sfoderata lo investì nel suo padiglione, e quando il principe tutto tremante gli chiese misericordia, fieramente gridando: >>Così non mi perdoni Iddio i peccati miei, s'io ti perdonerò la vita« – lo empiè di ferite. Allora i Beneventani elessero principe Radelchiso, tesoriere dell' ucciso: ma priachè gli venisse fatto di prender possesso dell' intiero ducato, gli Amalfitani sempre memori della patria desolata, afferrato il momento che i Salernitani erano sparsi pei loro poderi a far la raccolta, si levarono a romore dicendo: È spento colui, che dopo di averci strappati dal suolo natio, ci trattò pur sì benignamente; verrà un altro, a noi ignoto, ci opprimerà, ci torrà le figlie e daralle a' servi suoi; su dunque, tentiamo di liberarci.< Fattisi dunque animo, spogliarono i santuarj delle chiese, diedero il sacco alle case, ed appiccato il fuoco in varj siti della città,

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carichi d'un ricco bottino con grande giubbilo si tornarono alle paterne magioni senz' esser molestati da que' di Salerno. Radelchiso intanto aveva eśi-' gliato (840) a Nocera un nobile a lui sospetto, e Home Dauferio, il quale anelando alla vendetta, segretamente fece intendere a Salernitani quanto vituperoso lor fosse il restare soggetti a Benevento, mentre pure abitavano una città, che in qualsivoglia riguardo ben potea gareggiare con quella. »Ora, dicea, se vi sta a cuore l'onore e il vantaggio proprio, perchè non cercate di sprigionare l'infelice Siconolfo, onde poi proclamario principe vostro ?< Risposero quei di Salerno: »Ben volentieri il faremmo, ma senza l'ajuto degli Amalfitani non sarà riuscibile siffatta impresa; forsechè uniti a quelli po tremmo liberarlo." Spediron quindi ad Amalfi una lettera che dicea: »Perdonati vi sieno gl' incendj i saccheggi e tutte le offese, che già ne faceste. Una sola cosa però vi chieggiamo, ed è, che v'ingegniate con noi a ristabilir ne' suoi diritti il legittimo nostro principe Siconolfo. «Non fu punto rigettata codesta preghiera da quei d'Amalfi, i 'quali' allestita una nave e scelti dall' uno e dall' altro popolo i più scaltri gl' inviarono a Taranto, dove giunti girarono per le contrade facendo mostra di -) vendere vasi di terra cotta ed altre merci, e di tempo in tempo, non essendovi ancora osterie pubbliche, cominciarono a domandare, chi mai volesse albergarli? Capitati che furono dirimpetto alle caraceri radoppiaron le grida, finchè i carcerieri mossi come a pietà di quella povera gente lor risposerő: Sentite, galantuomini! abbiamo qui una stanza spazzata; venite pure a pernottarci, é dateci poi quello che vi piacerà E voi, soggiunse quell' astuta bri

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