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intrapresa contro gl'imperadori greci Botoniate ed Alessio Comneno, non soccorse Gregorio, finchè sembrava inevitabile omai la di lui rovina.

Arrigo bramoso di opprimere l'implacabil nemico cald in Italia. Informato di ciò Gregorio disse a' suoi: >Disprezzo la costui boria, e quantunque noi siam privi d'ajuto, il venir suo non punto ci sgomenta.< Arrigo dapprima ebbe a combattere in Lombardia la contessa Matilda »figlia di S. Pietro, la quale sicura nelle molte sue rocche fortissime, nulla si curava di vedere da lui devastati ed arsi i luoghi aperti, e poscia con danari e genti andava ognor soccorrendo l'infelice suo amico. Avendo il re preso Firenze e varie altre città, si accampò dinnanzi a Roma durante tre anni di seguito, sempre però costretto a svernare altrove per rifar i suoi eserciti poco avvezzi a quel clima micidiale, mentre Guiberto antipapa co' suoi Italiami si sosteneva a Tivoli. Stette Gregorio saldissimo nel suo proposito, e da niuna calamità lasciavasi atterrire, dicendo: »Non hai da trionfar della chiesa, di me bensì, se vuoi, trionfa.« Nel terzo anno poi (1084) quando Arrigo con maggiori forze stringea la città, e il popolo impaziente di sì lunghi affanni già cominciava a mormorare, e a supplicare il papa d'impietosirsi della miseria sua, egli si ricoverò nel castel sant' Angelo co' suoi più fidi, de' quali dir solea: >>Siccome il timore scoraggisce i codardi, talchè l'uno fugge più vilmente dell' altro, così tra i prodi il viril petto infiamma sempre l'uno a mostrar più valore degli altri, e a più ardentemente gettarsi in mezzo al periglio. Il primo ad entrare in Roma fu Goffredo di Buglione; gli tenne dietro Arrigo, e nel dì seguente fece accettare dal popolo il suo antipapa Guiberto, e con

secrarlo nella domenica delle palme. Venuto poi il gior no santo di pasqua, Guiberto ed Arrigo s'incamminarono alla volta di san Pietro, ma si trovò una squadra di gente fedele al papa, che volle impedire il loro passaggio, ed uccise o ferì quaranta di quelli d'Arrigo. Con tutto ciò nella basilica Vaticana ricevette dalle mani dell' antipapa la corona imperiale. Trionfò in quel giorno Arrigo, non sapendo ancora, come sul finir della faticosa sua vita verrebbe tradito dal proprio figlio, sbalzato dal trono, costretto a chieder la limosina, abbandonato nella morte da tutti, disotterrato poscia, e per cinque anni privato della sepoltura.

Gregorio intanto, testimone della insolenza de' nemici suoi, e di continuo esposto al pericolo di cader nelle lor mani, incontanente scrisse e spedi messi al duca Roberto Guiscardo, ricordandogli l'obbligo, le promesse, e la congiuntura pressante di recargli soccorso. Questo bastò, perchè quegli si mettesse prontamente in viaggio alla volta di Roma. Informato di tale spedizione Desiderio, abbate di Monte Casino, ne mandò segretamente l'avviso a Grogorio, e con ugual segretezza anche ad Arrigo, acciocchè costui prendesse la risoluzione, che infatti giudicò la più opportuna. Benchè tutto il popolo sembrasse essere per lui, e l'ajutasse ad assediar Gregorio, pure fidandosi poco d'una città, che nella comune opinione passava per venale, avara, e senza fede, determinò di abbandonarla. Veniva Roberto con sei mila cavalli e trenta mila fanti, ed oltre a ciò il solo suo nome valeva un mezzo esercito ; laonde Arrigo tre giorni avanti il di lui arrivo fece una ornata allocuzione a tutti i Romani con espor

la necessità di recarsi per suoi affari in Lombardia pregandoli di aver cura della città e promettendo di far per loro grandi cose in ritornando; dopo di ch si parti alla volta di Toscana, Nello stesso giorno che Arrigo entrava in Siena, comparve Roberto dinnanzi a Roma, che dapprima gli serrò le porte in faccia. Ma nato un tumulto tra i partigiani dell' imperadore, e quelli di Gregorio, questi gli apersero la porta Flaminia, per la quale sul far della notte combattendo entrò, gridando »fuoco egli stesso, ripetendo sempre il terribil nome di Guiscardo, ed incitando i suoi, fra cui vi eran pur moltissimi Saracini, a dare il sacco alla città. Allora si commisero orrendi eccessi d'ogni maniera; s'appiccò il fuoco in tre luoghi diversi, e restarono arsi molti tempj palagi. Così durante tre giorni Roberto inferociva mutilando, o vendendo per ischiavi i prigionieri finchè il popolo vinto bensì, ma non domató, piglio di bel nuovo le armi, mentre i Normanni stavano assisi al desco, onde Roberto dopo un aspro combattimento stimò bene di sgombrar la città assieme con Gregorio. S'incamminarono essi verso Monte Casino, dove Roberto offri a S. Benedetto una piccola parte della preda Romana, e Gregorio recatosi a Salerno, quivi rinnovò l'anatema contro l'eresiarca Guiberto, Arrigo e tutti i loro fautori, il che avea già fatto, mentre l'imperadore ancor si trovava a Roma. In appresso poco ormai occupandosi del mondo, sennon quando intendeva le vittorie, che Matilda andava riportando sovra gli imperiali, in mezzo a pie contemplazioni egli aspettava il vicino fine del viver suo. Ammalatosi poi gravemente nel mese di Maggio del 1085, radunò intorno al suo letto i prelati che l'aveano

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accompagnato, lor indicò tre personaggi degni di succedergli, Desiderio abbate di Monte Casino, Ottone vescovo d'Ostia, e Ugo arcivescoyo di Lione; diede l'assoluzione a tutti coloro, contro i quali avea pronunziato la scomunica, a riserva di due soli, ed erano Arrigo e Guiberto. Furon queste dipoi le ultime sue parole: »Amai la giustizia, e odiai la iniquità; perciò muojo nell' esilio.«

CAPITOLO VII.

Boberto Guiscardo e Buggiero di Altavilla.

Fin dal 1017 quaranta aventurieri Normanni all' oc

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casione di un pellegrinaggio fatto a Monte Gargano eran venuti a stabilirsi in Puglia, dove or come soldati or come masnadieri combattendo e contro i Gréci e contro i Longobardi, come più conveniva alla loro ingordigia, erano giunti ad avere in feudo lạ contea d'Aversa da Sergio, maestro de' militi di Napoli, il quale credea con ciò di assicurarsi da' Longobardi (1038). Ma non già a Rainulfo ed a' suoi era riservata la gloria di dar nuova forma a questa parte ove dominar dovea un' altra schiatta ancor

d'Italia, più prode e vaga di temerarie imprese. Un barone Normanno cioè per nome Taucredi d'Altavilla avea cinque figli del primo letto, i quali, per evitare ogni contesa coi sette del secondo, risolsero di abbandonare la patria per farsi altrove uno stato (1021). Diffatti dopo vent'anni di scorrerie a Guglielmo Braccio

di ferro, a Drogone ed Unfredi, che già si appellayan conti di Puglia, riuscì di fondare a Melfi una specie di principato (1040). Ma più celebre assai di costoro divenne in seguito Roberto, detto Guiscardo, ossia lo scaltro, primo figlio della seconda moglie di Tancredi, il quale si recò in Italia nel 1052, e già l'anno seguente fu vincitore di papa Leone IX. da lui fatto prigioniere a Civitella. Sei anni dopo, Ruggiero, il minore di tutti que' fratelli, venne anch'esso ad unirsi a Roberto, che poco dipoi pigliò il titolo di duca di Puglia e di Calabria, delle quali province investito l'avea papa Nicolao II. arrogandosi con ciò un diritto arbitrario del tutto.

Subitochè giunse Ruggiero, giovine bellissimo e audace, Roberto con sessanta cavalieri lo mandò in Calabria, dove accampatosi in cima d'un monte, vivea di ladroneccio, ed inviava al fratello quel che gli sopravanzava del bottino. Ma benchè per altro usassé Roberto di far larghissimi doni a' suoi compagni d'arme, anteponendo gli ajuti d'uomini prodi a tutte le ricchezze di questo mondo, nulladimeno per secreta gelosia si mise a trattare assai grettamente il suo cadetto. Nacquero perciò diverse zuffe tra loro, durante le quali Ruggiero ridotto agli estremi, sovente di notte tempo accompagnato da un solo scudiero usciva della sua rocca per rubare cavalli e bestiame. Più volte si riconciliarono insieme que' feroci fratelli, e vennero a nuove inimicizie, finchè chiamato dalle discordie, che agitavano i Saraceni di Sicilia divisa allora in cinque piccoli principati, Ruggiero formò il disegno di conquistare quell' isola. Giudicava egli, al dir del suo storico Goffredo Malaterra, vantaggio e del corpo e dell' anima il richiamare al culto del veraće

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