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SONETTO II.

Rotta è l'alta Colonna, e'l verde Lauro,

Che facean ombra al mio stanco pensiero: Perdut' ho quel che ritrovar non spero

Dal Borea a l' Austro o dal mar Indo al Mauro.

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Tolto m'hai, morte, il mio doppio tesauro
Che mi fea viver lieto e gire altero:
E ristorar no può terra nè impero
Nè gemma oriental nè forza d'auro.

Ma se consentimento è di destino;

Che poss' io più se no aver l'alma trista,
Umidi gli occhj sempre e 'l viso chino?

O nostra vita ch'è sì bella in vista,
Com' perde agevolmente in un mattino
Quel che 'n molt' anni a gran pena's' acquista !

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Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare?
Pasata e la stagion: perduto hai l'arme,
Di ch' io tremava: omai che puoi tu farme?

CANZONE II.

Mor, se vuoi ch' io torni al giogo antico, Come par che tu mostri; un'altra prova Maravigliosa e nova

Per domar me convienti vincer pria:

Il mio amato tesoro in terra trova

Che m'è nascosto, ond' io son si mendico ; E'l cor saggio pudico

Ove suol albergar la vita mia:

E s'egli è ver che tua potenza sia

Nel ciel sì grande, come si ragiona
E ne l'abisso; (perchè qui fra noi
Quel che tu vali e puoi,

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Credo che'l senta ogni gentil persona)
Ritogli a morte quel ch'ella n'ha tolto,
E ripon le tue insegne nel bel volto.
Riponi entro 'l bel viso il vivo lume
Ch'era mia scorta; e la soave fiamma
Ch' ancor, lasso, m'infiamma

Essendo spenta; or che fea dunque ardendo ?
E' non si vide mai cervo nè damma

Con tal desio cercar fonte nè fiume;
Qual io il dolce costume

Ond' ho già molto amaro e più n'attendo
Se ben me stesso e mia vaghezza intendo:
Che mi fa vaneggiar sol del pensiero
E gir in parte ove la strada manca;
E con la mente stanca

Cosa seguir che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno:
Che signoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi sentir di quell' aura gentile
Di fuor, sì come dentro ancor si sente;
La qual' era possente

Cantando d'acquetar gli sdegni e l'ire;
Di serenar la tempestosa mente

E sgombrar d'ogni nebbia oscura e vile,
Ed alzava il mio stile

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Sovra di se, dov' or non poria gire.
Agguaglia la speranza col desire;

E poi che l'alma è in sua ragion più forte, Rendi a gli occhj a gli orecchj il proprio obbietto; Senza 'l qual imperfetto

È lor oprar, e'l mio viver è morte

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Indarno or sopra me tua forza adopre;
Mentre 'l mio primo amor terra ricopre.

Fa ch' io riveggia il bel guardo ch'un sole
Fu sopra'l ghiaccio ond' io solea gir carco.
Fa ch' io ti trovi al varco

Onde senza tornar passò'l mio core.
Prendi i dorati strali e prendi l'arco;
E facciamisi udir sì come suole
Col suon de le parole

Ne le quali io'mparai che cosa è amore
Movi la lingua ov'erano a tutt' ore
Disposti gli ami ov'io fui preso, e l'esca
Ch'i' bramo sempre: e i tuoi lacci nascondi
Fra i capei crespi e biondi:

Che 'l mio voler altrove non s'invesca.
Spargi con le tue man le chiome al vento:
Ivi mi lega, e puomi far contento.

Dal laccio d'or non sia mai chi mi scioglia
Negletto ad arte e 'nnanellato ed irto;
Ne da l'ardente spirto

De la sua vista dolcemente acerba ;

La qual di e notte più che lauro o mirto

Tenea in me verde l'amorosa voglia;
Quando si veste e spoglia

Di fronde il bosco e la campagna d'erba.
Ma poi che morte è stata si superba,
Che spezzò'l nodo ond' io temea scampare ;
Nè trovar puoi, quantunque gira il mondo,
Di che ordischi 'l secondo;

Che giova, amor, tuo' ingegni ritentare ?
Passata è la stagion; perduto hai l'arme
Di ch' io tremava; omai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhj onde l'accese
Saette uscivan d'invisibil foco,

E ragion temean poco;

Che contra'l ciel non val difesa umana:
Il pensar e'l tacer; il riso e 'l gioco ;
L'abito onesto e'l ragionar cortese ;
Le parole ch' intese

Avrian fatto gentil d'alma villana ;
L'angelica sembianza umile e piana
Ch'or quinci or quindi udia tanto lodarsi ;
El sedere e lo star che spesso altrui
Poser in dubbio a cui

Dovesse il pregio di più laude darsi.
Con quest' arme vincevi ogni cor duro:
Or se' tu disarmato; i'son securo.

Gli animi ch' al tuo regno il cielo inchina
Leghi ora in uno ed or in altro modo:
Ma me sol ad un node

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