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Parean vivendo lor menti divise,
· Morendo ricongiunte; e seco il padre
Era, e'l suo seme che sotterra il mise.
Vespasian poi a le spalle quadre

Il riconobbi, a guisa d'uom che ponta
Con Tito suo de l'opre alte e leggiadre.
Domizian non v'era: ond'ira ed onta
Avea; ma la famiglia che per varco
D'adozione al grande imperio monta,
Trajano, ed Adriano, Antonio, e Marco,
Che facea d'adottar ancora il meglio;
Al fin Teodosio di ben far non parco:
Questo fu di virtù l'ultimo speglio;
In quell'ordine dico; e dopo lui
Cominciò il mondo forte a farsi veglio.
Poco in disparte accorto ancor mi fui
D'alquanti in cui regnò virtù non poca;
Ma ricoperta fu de l'ombra altrui.
Ivi era quel che i fondamenti loca

D'Alba Lunga in quel monte pellegrino: Ed Ati, e Numitor, e Silvio e Proca: E Capi'l vecchio, e'l nuovo Re Latino; Agrippa, ei duo ch'eterno nome denno Al Tevero ed al bel colle Aventino. Non m'accorgea, ma fummi fatto un cenno, E quasi in un mirar dubbio notturno Vidi quei ch' ebber men forza e più senno,

Primi Italici Regi; ivi Saturno,

Pice, Fauno, Giano, e poi non lunge Pensosi vidi andar Camilla, e Turno. E perchè gloria in ogni parte aggiunge; Vidi oltra un rivo il gran Cartaginese La cui memoria ancor Italia punge. L'un occhio avea lasciato in mio paese, Stagnando al freddo tempo il fiume Tosco, Sì ch' egli era a vederlo strano arnése Sopra un grande elefante un duce losco. Guardaigli intorno; e vidi'l Re Filippo Similemente da l''un lato fosco. Vidi'l Lacedemonio ivi Xantippo,

Ch' a gente ingrata fece il bel servigio: E d'un medesmo nido uscir Gilippo. Vidi color ch'andaro al regno Stigio, Ercole, Enca, Teseo, ed Ulisse, Per lassar qui di fama tal vestigio. Ettor col padre, quel che troppo visse; Dardano, e Tros, ed Eroi altri vidi Chiari per se, ma più per chi ne scrisse, Diomede, Achille, e i grandi Atridi; Duo Ajaci; e Tidéo, e Polinice, Nemici prima, amici poi si fidi :

E la brigata ardita ed infelice

Che cadde a Tebe: e quell' altra ch'a Troja
Fece assai, credo; ma di più si dice.

Pentesilea, ch'a' Greco fè gran noja:
Ippolita, ed Oritia, che regnaro

Là presso al mar dov'entra la Dannoja. E vidi Ciro più di sangue avaro,

Che Crasso d'oro; e l'un e l'altro n' ebbe Tanto, ch'al fine a ciascun parve amaro. Filopomene, a cui nulla sarebbe

Nova arte in guerra: e chi di fede abbonda, Re Massinissa, in cui sempre ella crebbe. Leonida, e il Tebano Epaminonda,

Milciade, e Temistocle, che i Persi Cacciar di Grecia vinti in terra e'n onda. Vidi David cantar celesti versi,

E Giuda Macabeo, e Giosuè ;

A cui'l sole e la luna immobil fersi.
Alessandro, ch' al mondo briga diẻ;
Or l'oceano tentava, e potea farlo;
Morte vi s'interpose, onde nol fè.
Poi a la fin Artù Re vidi, e Carlo,

波波

2

CANZONE DEL DETTO.

Q

Uel ch' ha nostra natura in se più degno
Di qua dal ben per cui l'umana essenza
Da gli animali in parte si distingue,
Cioè l'intellettiva conoscenza ;

Mi pare un bello un valoroso sdegno,
Quando gran fiamma di malizia estingue :
Che già non mille adamantine lingue
Con le voci d'acciar sonanti e forti
Poriano assai lodar quel di ch'io parlo
Nè io vengo a innalzarlo,

Ma a dirne alquanto a gl' intelletti accorti.
Dico che mille morti

Son picciol pregio a tal gioja, e sì nova;
Si pochi oggi sen' trova:

Chi credea ben che fosse morto il seme;
Ed e' si stava in se raccolto insieme.
Tutto pensoso un spirito gentile
Pieno del sdegno ch' io giva cercando,
Si stava ascoso si celatamente,

Ch'i' dicea fra me stesso: oimè quando

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Avrà mai fin quest' aspro tempo e vile?
Son di virtù si le faville spente?
Vedea l'oppressa e miserabil gente

Giunta a l'estremo, e non vedea il soccorso
Quinci o quindi apparir da qualche parte.
Così Saturno, e Marte

Chiuso avea 'l passo, ond' era tardo il corso, Ch'a lo spietato morso

Del tirannico dente empio e feroce,

Ch assai più punge e coce

Che morte od altro rio; ponesse 'l freno, E riducesse il bel tempo sereno .

Libertà, dolce e desiato bene,

Mal conosciuto a chi talor nol perde;
Quanto gradita al buon mondo esser dei!
Da te la vita vien fiorita e verde;
Per te stato giojoso mi mantiene,
Ch'ir mi fa somigliante a gli altri Dei:
Senza te lungamente non vorrei
Ricchezze onor e ciò ch'uom più desia,
Ma teco ogni tugurio acqueta l'alma.
Ahi grave e crudel salma,

Che n' avei stanchi per si lunga via,
Come non giunsi io pria

Che ti levassi da le nostre spalle ?
Si faticoso è 'l calle ?

Per cui gran fama di virtù s' acquista,
Ch'egli spaventa altrui sol de la vista.

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