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L' INCARNAZIONE.

Di ORTENSIA DI GUGLIELMO di Fabriano. Mori

nel 137....

Oltre questa e la seguente Poetessa, vissero a quei tempi anche altre illustri rimatrici, come Leonora de' Conti della Genga, Livia di Chiavello, ambedue di Fabriano; Lisabetta Trebbiani, Giovanna Bianchetti Bolognese, e Ricciarda Selvaggi, amata da Cino da Pistoia.

SONETTO.

VORREI talor dell' intelletto mio

Tanto sopra me stessa alzar le penne,
Che potessi veder quanto sostenne
Per amor nostro il gran figliuol di Dio;

Come pieno di zelo ardente e pio,

Send' egli offeso, a chieder pace venne,
Come e qual fren con noi tanto lo tenne;
E come sulla croce alfin morío.

Ma vinta alfin dalla grandezza immensa,
Dell' audace desio ripiego l' ali,

E dico: oh grande Amor, chi ti comprende!

Quanto ti seguo più tanto più sali;

Ti fai maggior quanto più in te si pensa:
Te intende sol chi sa che non t' intende.

A DIO.

Perchè il Papa, che sedeva in Avignone, ritorni a Roma.

SONETTO.

Ecco, Signor, la greggia tua d' intorno

Cinta di Lupi a divorarla intenti;
Ecco tutti gli onor d' Italia spenti
Poichè fa altrove il gran Pastor soggiorno.

Deh! quando fia quell' aspettato giorno
Ch' ei venga per levar tanti lamenti,
A riveder gli abbandonati armenti,
Che attendon sospirando il suo ritorno!

Movil tu, Signor mio pietoso e sacro,

E

Ch' altri non è che 'l suo bisogno intenda Meglio, o più veggia il suo dolore atroce.

prego sol che quell' amor t' accenda,

Qual, per fargli un celeste almo lavacro,
Versar ti fece il proprio sangue in croce.

PROPOSTA al Sonetto del Petrarca, che incomincia, "La gola, il sonno, e l' oziose piume" attribuito quasi univerfalmente a GIUSTINA LEVI PEROTTI di Sassoferrato, che fiorì oltre la metà del Secolo XIV.

Io vorrei

SONETTO.

pur drizzar queste mie piume
Colà, signor, dove il desio m' invita,
E dopo morte rimanere in vita
Col chiaro di virtute inclito lume:

Ma 'l volgo inerte che dal rio costume
Vinto ha d' ogni suo ben la via smarrita,
Come degna di biasmo ognor m' addita,
Ch' ir tenti d' Elicona al sacro fiume.

All'ago, al fuso più che al lauro o al mirto,
Come se qui non sia la gloria mia,

Vuol ch' abbia sempre questa mente intesa.

Dimmi tu ormai, chè per più dritta via
Al Parnaso ten vai, nobile spirto,
Dovrò dunque lasciar sì degna impresa?

LA PRIMAVERA.

DI FAZIO, ossia BONIFAZIO DEGLI UBERTI di Firenze. Mori circa il 1360. Compose anco una specie di Poema Geografico intitolato il Dittamendo, ossia Dicta Mundi.

CANZONE.

IO guardo infra l' erbette

per

li prati,

E veggio isvalíar di più colori
Rose, viole, e fiori,

Per la virtù del Ciel, che fuor li tira:
E son coperti i poggi, ove ch' io guati,
D'un verde, che rallegra i vaghi cori:
E con suavi odori

Giunge l'orezo, che per l' aer spira:
E qual prende, e qual mira

Le rose, che son nate in sulla spina :
E così par, che Amor per tutto rida.
Il disio, che mi guida,

Però di consumarmi il cor non fina,
Nè sarà mai, se non vegg' io quel viso,
Dal qual stato più tempo io son diviso.
Veggio gli uccelli a due a due volare,

E l'un l'altro seguir fra gli arboscelli,
Con far nidi novelli,

Trattando con vaghezza lor natura:
E sento ogni boschetto risonare

De' dolci canti lor, che son sì belli,
Che vivi spiritelli

Paion d' Amor creati alla verdura.
Fuggita è la paura

Del tempo, che fu lor cotanto greve:
E così par ciascun viver cotento:
Ma io lasso! tormento,

E mi distruggo come al sol la neve,
Perchè lontan mi truovo dalla luce,
Che ogni sommo piacer da se conduce.
Simil con simil per le folte selve

Si truovano i serpenti a suon di fischi,
E i crudi basilischi

Seguon l'un l'altro con benigno aspetto:
E i gran dragoni, e l' altre fere belve,
Che sono a riguardar sì pien di rischi,
D'amor sì punti, e mischi

D'un natural piacer prendon diletto.
E così par costretto

Ogni animal, che in sulla terra è scorto,
In questo allegro tempo a seguir gioia:
Sol io ho tanta noia,

Che mille volte il dì son vivo, e morto,
Secondo che mi sono o buoni o rei

I subiti pensier, ch' io fo per lei. Surgono chiare, e fresche le fontane, L'acqua spargendo giù per la campagna, Che rinfrescando bagna

Tutte l'erbette e gli arbori, che truova:
Ei pesci, che rinchiusi per le tane,
Fuggendo del gran verno la magagna,
A schiera, ed a compagna

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