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giunse più dì innanzi, e fe vista d'essere stata al bagno, e rivestissi al modo feminile, e fece fare l'apparecchio grande, e coprire tutte le strade di zendado, e fe vestire molte brigate d'armeggiatori. E quando messer Giannetto e messere Ansaldo giunsero, tutti i baroni e la corte gli andarono incontra, gridando: viva il signore, viva il signore. E come e' giunsero nella terra, la donna corse ad abbracciare messere Ansaldo, e finse esser un poco crucciata con messer Giannetto, a cui voleva meglio che a se. Fecesi la festa grande di giostrare, di armeggiare, di danzare è di cantare per tutti i baroni e le donne e donzelle che v'erano. Veggendo messer Giannetto che la moglie non gli faceva così buon viso com' ella soleva, andossene in camera, e chiamolla, e disse: che hai tu? e volsela abbracciare. Disse la donna: non ti bisogna fare queste carezze, ch' io so bene che a Vinegia tu hai ritrovate le tue manze antiche. Messer Giannetto si cominciò a scusare. Disse la donna: ov'è l'anello ch' io ti diedi? Rispose messer Giannetto: ciò ch' io mi pensai, me n'è incontrato, e dissi bene che tu te ne penseresti male. Ma io ti giuro per la fe ch' io porto a Dio e a te, che quello anello io lo donai a quel giudice che mi diè vinta la quistione. Disse la donna: io ti giuro per la fe ch' io porto a Dio e a te, che tu lo donasti a una femina, e io lo so, e non ti vergogni di giurarlo. Soggiunse messer Giannetto: io prego Iddio che mi disfaccia del mondo, s' io non

ti dico il vero, e più ch' io lo dissi col giudice insieme, quando egli me lo chiese. Disse la donna: tu vi ti potevi anco rimanere, e qua mandare messere Ansaldo, e tu goderti con le tue manze, che odo che tutte piangevano quando tu ti partisti. Messer Giannetto cominciò a lagrimare, e a darsi assai tribulazione, dicendo: tu fai sacramento di quel che non è vero, e non potrebbe essere. Dove la donna veggendolo lagrimare, parve che le fosse dato d'un coltello nel cuore, e subito corse ad abbracciarlo, facendo le maggiori risa del mondo; e mostrògli l'anello, e dissegli ogni cosa, com' egli aveva detto al giudice, e come ella era stata quel giudice, e in che modo glielo diede. Onde messer Giannetto di questo si fece la maggior maraviglia del mondo; e veggendo ch' egli era pur vero, ne cominciò a fare gran festa. E uscito fuor di camera lo disse con alcuno de' suoi baroni e compagni, e per questo crebbe e moltiplicò l' amore fra loro due. Dapoi messer Giannetto chiamò quella cameriera che gli aveva insegnato la sera che non beesse, e diella per moglie a messere Ansaldo; e così stettero lungo tempo in allegrezza e festa, mentre che durò la lor vita.

BINDO ARCHITETTO.

NOVELLA.

NELLA nobilissima città di Vinegia fu già un Doge, il quale era uomo magnanimo, savio e ricco, assentito e prudente comunemente in ogni cosa, che aveva nome messer Valeriano di messer Vannozzo Accettani. Ed alla Chiesa maggiore di San Marco di Vinegia aveva un campanile, il quale era il più bello e il più ricco, e la maggior dignità che avesse Vinegia a quel tempo; e detto campanile stava per cadere per certi difetti ch' erano ne' fondamenti. Il per che messer lo Doge fece cercare per tutta Italia, e metter bando, che qualunque maestro volesse torre a conciare il detto campanile, venisse a lui, e ch' egli avrebbe que' denari ch' egli sapesse chiedere e domandare. Dove un valente maestro Fiorentino, il quale aveva nome Bindo, essendo a Fiorenza, e udendo come il campanile stava, s' imaginò d'andare a questa impresa, e mossesi da Fiorenza con uno suo figliuolo, e con una sua donna, e andossene a Vinegia; e veduto il campanile s' imaginò d'acconciarlo, e andossene al Doge e disse: signore, io son venuto qui per acconciarvi il campanil vostro; di che il Doge fece a costui grandissimo onore, e dopo molte parole disse: maestro mio, io vi prego che voi cominciate il più tosto che si può questo lavoro, sì ch' io vi

vegga. Disse il maestro: signor mio, e' sarà fatto; e subito diede ordine a lavorare, e con molta diligenza e in poco tempo acconciò questo campanile in modo e in forma, ch' egli era più bello che prima. Ove questo piacque molto al Doge, e sì gli donò que' danari, che il maestro chiese, e poi lo fece cittadino di Vinegia, e diegli una ricca provigione; poscia gli disse: io voglio che voi mi facciate un palagio, il quale abbia una camera, nella quale stia tutto il tesoro, e tutto il fornimento del Comune di Vinegia. Dove il maestro subito mise in ordine a fare il detto palagio, e fece una camera fra l'altre più bella e me' situata, dove il detto tesoro avesse a stare; e vi commise per ingegno artificialmente una pietra, la quale passava dentro e fuori, imaginandosi di potere entrare nella detta camera a suo piacere; e di questa entrata non sapeva persona del mondo, se non egli. Fatto che fu il palagio, il Doge fece mettere in questa camera tutto il forni`mento, e drappi di damasco lavorati d' oro, e capoletti e pancali e cioppe, e altri fornimenti e oro e argento assai. E questa si chiamava la Turpea del Doge e del Comune di Vinegia, e stava serrata sotto cinque chiavi, e le quattro tenevano i quattro maggiori cittadini di Vinegia, i quali erano diputati sopra ciò, ed erano chiamati i camerlinghi sopra la guardia del tesoro' di Vinegia, e la quinta chiave teneva il Doge; sì che la detta camera non si poteva aprire, chè conveniva che vi fossero tutti e cinque, cioè costoro che tenevano le chiavi.

Ora

standosi questo Bindo con la famiglia sua a Vinegia, essendo fatto cittadino, cominciò a spendere e tenere ricca vita; e questo suo figliuolo, che aveva nome Ricciardo, si diede a spendere disordinatamente, dove in ispazio di tempo venne a mancar loro la roba per le soverchie spese. Onde il padre chiamò una notte il figliuolo, e tolse una scaletta e alcun ferro fatto a ciò, e portò un poco di calcina, e andarono alla buca, la quale il detto maestro aveva fatta artificialmente a questa camera; e quivi pose la scala, e traendone quella pietra, entrò in camera, e trassene una bella coppa d'oro, ch' era in uno armario, e poi se n' uscì fuora, e racconciò la pietra com' ella doveva stare. E tornati a casa spezzarono la detta coppa, e a pezzo a pezzo la mandarono a vendere a certe città di Lombardia, e a questo modo mantenevano la disordinata vita, ch' eglino avevano cominciata. Ora avvenne che arrivando un Cardinale a Vinegia al Doge, volendogli fare onore, fu mestiere che facesse aprire questa camera, per lo fornimento che aveva dentro, cioè argento e capoletti e altre cose. Sì che aperta questa camera, e cavandone fuori le dette cose, vì si trovò meno la coppa; di che tra questi massai ne fu grandissimo romore, e furono al Doge, dicendogli come si trovava meno questa coppa. Il Doge si maravigliò e disse loro: fra voi è questo fatto. E dopo molte parole comandò loro, che non ne dicessero nè facessero niente, infino a tanto che il Cardinale, che veniva, fosse partito; e così

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