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converrammi ricominciare a fare capital nuovo; ma se Dio mi fa grazia che mai io abbia più nulla, io non gli ficcherò per le buche, nè ad alcuna persona, se fosse mio padre, gli fiderò o darò in serbanza. Iuccio, udendo costui, pensò se si potesse rattaccare in su' cento che gli parea avere perduti, e dice: questi fiorini cento, che hanno i parenti tuoi, se tu gli potessi avere e darmegli, io m' ingegnerei d' accattare gli altri cento, acciocchè la investita andasse innanzi; e questo facendo, potrebbe molto ben essere che innanzi che fosse molto, tu te ne troveresti dugento in borsa. Dice il cieco: Iuccio mio, se io volessi appalesare i fiorini cento de' parenti miei, io me ne richiamerei, e sarebbemi fatto ragione; ma io non gli voglio far palesi, perchè io averei perduto le limosine, come si sapesse. E pertanto io gli fo perduti, se già Iddio non gli spirasse; sì che da me non isperare alcuna cosa, poichè la fortuna ha così disposto. Comechè io rimanga, io per me, veggendo la tua buona disposizione, la quale era di farmi ricco, reputo d' averlo ricevuto, e d' avere in borsa fiorini dugento, come se tu l'avessi fatto, perocchè da te non è mancato. Una cosa farò, che io farò fare l'arte a un mio amico, se nulla mi potesse dire di chi fosse stato; e se ventura ce ne venisse, io tornerò da te; fatti con Dio, chè io non ci voglio dormire. Dice Iuccio: or ecco va, e ingegnati con ogni modo, se puoi rinvenire e riavere il tuo; e se ti venisse ben fatto,

tu sai dov' io sto, se niente ti bisogna; datti pace il più che tu puoi, e vatti con Dio. E così finì l'investita del cacio cavallo, e della carne insalata, la qual non si fece; e 'l cieco raddoppiò il suo, e tra se stesso se ne sollazzò un buon tempo, dicendo: per santa Lucia, che Iuccio è stato più cieco di me. E ben dicea il vero, ch' egli avea preso l'alluminato alla lenza, aescando cento fiorini per riavere gli altri. E non è perciò da maravigliare, perocchè i ciechi sono di molto più sottile intendimento che gli altri; chè la luce il più delle volte, mirando or una cosa e or un' altra, occupa l'intelletto dentro; e di questo si potrebbono fare molte prove, e massimamente una piccola ne conterò. E' saranno due che favelleranno insieme; quando l'uno è a mezzo il ragionamento, passerà una donna, o un' altra cosa, quelli, guardando, resta il dire suo, ẹ non lo segue; e volendolo seguire, dice al compagno: di che diceva io? E questo è solo che quel vedere occupò lo 'ntelletto in altro; di che la lingua, la quale era mossa dallo 'ntelletto, non potè seguire il corso suo. E però fu, che Democrito filosofo si cavô gli occhi, per avere più sottili intendimenti. Iuccio dall' altra parte si dolea, parendoli avere perduto fiorini cento; e dicea fra se: non mi sta egli molto bene? Io avea trovato cento fiorini, e volevane anche cento; il maestro mio mi dicea sempre; egli è meglio pincione in mano che tordo in frasca; e io non l' ho tenuto a mente; perocchè io ho perduto il pincione, e non ho preso

il tordo, e uno cieco m' ha infrascato, che veramente egli ha avuto cento occhi, come li cento fiorini, a farmi questo; e' mi sta molto bene, chè non mi bastava d' avere li cento, chè l'avarizia mi mosse a volerne anche cento. Or togli luccio che avevi comprata la carne insalata, che ben fu vero che io comprai fiorini cento la carne del cieco, che è bene stata per me la più insalata che io comprassi mai. E non se ne potè dar pace buon tempo; dicendo a molti, che li diceano: che hai tu? rispondea che avea perduto in carne insalata fiorini cento. E ben gli stette, perocchè chi tutto vuole, tutto perde, e lo 'ngannatore molto spesso rimane appiè dello 'ngannato,

L'ACCORTO SERVITORE.

NOVELLA.

ALLA pieve di Giogoli, presso a Firenze, poco tempo fa fu un piovano, che avea un suo fante, il quale quasi ogni cosa a lui opportuna facea, insino al cuocere. Essendo di settembre, ed avendo in un suo orto un bel fico castagnuolo, che avea molti belli fichi, una mattina dice il piovano al detto fante: va, togli quel canestro, e va al tale fico, che io ve gli vidi molto belli ieri, e recamene. Il fante tolse un canestro, e andò al detto fico, e salendovi suso, veggendoli molto belli, e assai di quelli pengiglianti, che aveano la lagrima, si

mettea in bocca, chè parea ch' egli avesse a fare una sua vendetta; e quando cogliea, per suo mangiare, uno di quelli così fatti fichi, che aveano la lagrima, dicea: non pianger no, chè non ti mangerà messere; e mandava giù; e se mille fichi avesse mangiato con quella lagrima, a ciascun dicea: non pianger, non ti mangerà messere; e manicavaselo egli. Nel canestro mettea fichi tortoni, o con la bocca aperta, chè appena gli averebbono mangiati i porci; e portali al piovano; il quale veggendoli, dice: son questi fichi del fico, ch' io ti dissi? Disse il fante messer sì. E più mattine il piovano mandò il detto fante, e mai non potè avere un buon fico. Una mattina fra l' altre, avendolo mandato il piovano per li detti fichi, dice a un suo cherico: d h va sotto la tale pergola, e guarda che 'l fante non ti veggia, e vedi di qual fichi mi reca, e quello che fa; chè per certo altro che Dio non può fare, che costui mi rechi de' fichi di quel fico. E 'I cherico va sotto la pergola, e sta in guato, accostandosi più al fico, dove il fante era, che potea. Essendovi su il finte ebbe veduto troppo bene, che cogliendo quelli più belli fichi, che piagnevano dell' inganno del loro signore, il fante, sanza partirgli, se li mangiava, dicendo a ciascuno: non pianger no, non ti manicherà messere. Quando il cherico ha veduto e udito il fatto, catalone, catalone, se ne va, e torna al piovano, e dice: messere, e' ci è la più bella novella, che voi udiste mai: il vostro buon garzone va troppo bene al fico, dove voi il mandate, e

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quelli belli, che voi vorreste, e che al becco hanno la lagrima, tutti gli manuca per se; ed ecci peggio delle beffe che fa di voi, chè ciascuno, che gli viene alle mani, di quelli dice: non pianger no, non ti mangerà messere; e manucaseli tutti a questo modo. Dice il piovano: per certo questa è ben bella novella; ben dicea io, questo non poter mai essere; ed aspetta che lo amico torni co' fichi, ed eccolo tornare. Il piovano scuopre il canestro, e non trova se non fichi duri, ed a bocca aperta. Volgesi al fante deh morto sie tu a ghiado; quanto io ho assai sofferto! Che fichi son questi che tu m' hai recato parecchi mattine? Quelli risponde: messere, son di quel fico, che voi mi mandaste. Dice il piovano: e tu dì vero, ma di quelli del lamento della Maddalena non me ne tocca niuno a me. Dice il fante: che hanno a fare i fichi con la Maddalena? Ben lo sai tu, dice il piovano, come tu hai consolato quelli che aveano la lagrima, che se' stato sì pietoso del piangere che faceano, che tu gli hai tutti devorati. Il fante si difendea; ma pur sentendo dire il piovano con la testimonianza del cherico, ebbe per certo, il guato essere scoperto, e dice: messer lo piovano, quello che io facea io, mel credea fare per vostro vantaggio; io vi recava de' fichi, che stavano divisi, e a bocca aperta; e perchè gli recava partiti e divisi? perchè voi sempre gli partite, quando gli mangiate; e perciocchè non gli aveste a partire, e non durasse quella fatica; chè quanto io per me, non ne parto mai niuno, e però

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