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monda, che per isventura quel dì fatto aveva venir Guiscardo, lasciate le sue damigelle nel giardino, pianamente se ne entrò nella camera, e quella serrata senza accorgersi, che alcuna persona vi fosse, aperto l'uscio a Guiscardo, che l'attendeva, avvenne, che Tancredi si svegliò, e dolente oltre modo, prima gli volle sgridare, poi prese partito di tacersi, e starsi nascoso se egli potesse, per potere più cauta-. mente fare, e con minore sua vergogna quello che già gli era caduto nello animo di dover fare. I due amanti stettero per lungo spazio insieme, siccome usati erano, senza accorgersi di Tancredi: e quando tempo lor parve, Guiscardo se ne tornò nella grotta, ed ella s' uscì della camera. Della quale Tancredi, ancorachè vecchio fosse, da una finestra di quella si calò nel giardino, e senza essere da alcuno veduto, dolente a morte, alla sua camera si tornò. E per ordine da lui dato, all' uscir dello spiraglio, la, seguente notte in su 'l primo sonno Guiscardo, così come era, nel vestimento del cuojo impacciato, fu preso da due, e segretamente a Tancredi menato. Il quale come il vide, quasi piagnendo, disse: Guiscardo, la mia benignità verso te non avea meritato l' oltraggio e la vergogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai, siccome io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niuna altra cosa disse, se non questo: Amor può troppo più, che nè voi nè io possiamo. Comandò adunque Tancredi, che egli chetamente in al

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cuna camera di là entro guardato fosse, e così
fu fatto. Venuto il dì seguente, non sappiendo
Ghismonda nulla di queste cose, avendo seco
Tancredi varie e diverse novità pensate, ap-
presso mangiare, secondo la sua usanza, nella
camera n' andò della figliuola: dove fattalasi
chiamare, e serratosi dentro con lei, piangen-
do, le cominciò a dire; Ghismonda, paren-
domi conoscere la tua virtù e la tua onestà,
mai non mi sarebbe potuto cadere nell' animo,
(quantunque mi fosse stato detto) se io co' miei
occhi non l'avessi veduto, che tu di sotto-
porti ad alcuno uomo, se tuo marito stato non
fosse, avessi non che fatto, ma pur pensato:
di che io in questo poco di rimanente di vita,
che la mia vecchiezza mi serba, sempre starò
dolente, di ciò ricordandomi. Ed or volesse
Iddio, che avessi preso uomo, che alla tua no-
biltà dicevole fosse stato; ma tra tanti, che
nella mia corte n' usano, eleggesti Guiscardo,
giovane di vilissima condizione, nella nostra
corte, quasi come per Dio, da picciol fanciullo
infino a questo dì allevato: di che tu in gran-`
dissimo affanno d'animo messo m' hai, non
sappiendo io, che partito di te mi pigliare. Di
Guiscardo, il quale io feci stanotte prendere,
quando dello spiraglio usciva, ed hollo in pri-
gione, ho io già meco preso partito che farne:
ma di te, sallo Iddio, che io non so che far-
mi: dall' una parte mi trae l'amore, il qual io
t' ho sempre più portato, che alcun padre por-
tasse a figliuola; e d' altra mi trae giustissimo
sdegno preso per la tua gran follia. Quegli

vuole che io ti perdoni, e questi vuole che contra mia natura in te incrudelisca. Ma primachè io partito prenda, disidero d' udire quello che tu a questo dei dire, e questo detto, bassò il viso, piangendo sì forte, come farebbe un fanciul ben battuto. Ghismonda udendo il padre, e conoscendo non solamente il suo segreto amore esser discoperto; ma ancora esser preso Guiscardo, dolore inestimable sentì: e a mostrarlo con romore, e con lagrime, come il più le femmine fanno, fu assai volte vicina: ma pur questa viltà vincendo il suo animo altiero, il viso suo con maravigliosa forza fermò, e seco, avanti che a dovere alcun priego per se porgere, di più non stare in vita dispose, avvisando già esser morto il suo Guiscardo: perchè non come dolente femmina, o ripresa del suo fallo, ma come non curante e valorosa, con asciutto viso e aperto e da niuna parte turbato, così al padre disse.

Tancredi, nè a negare, nè a pregare son disposta, perciocchè nè l' un mi varrebbe, nè l'altro voglio che mi vaglia: e oltre a ciò in niuno atto intendo di rendermi benivola la tua mansuetudine, e 'l tuo amore: ma il ver confessando, prima con vere ragioni difender la fama mia, e poi con fatti fortissimamente seguire la grandezza dell' animo mio. Egli è il vero, che io ho amato e amo Guiscardo, quanto io viverò, che sarà poco, l' amerò: e se appresso la morte s' ama, non mi rimarrò d'amarlo. Ma a questo non m' indusse tanto la mia femminile fragilità, quanto la tua poca

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sollecitudine del maritarmi, e la virtù di lui. Esser ti dovea, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne, e non di pietra o di ferro; e ricordarti dovevi e dei, quantunque tu ora sii vecchio, chenti e quali, e con che forza vengano le leggi della giovanezza: e comechè tu uomo, in parte ne' tuoi migliori anni nell' armi esercitato ti sii, non dovevi di meno conoscer quello, che gli ozj e le dilicatezze possano ne' vecchj, non che ne' giovani. Sono adunque, siccome da te generata, di carne, e sì poco vivuta che ancor son giovane, e siccome giovane, e femmina innamora'mi. certo in questo opposi ogni mia virtù di non volere, nè a te, nè a me di quello, a che natural inclinazione mi tirava, in quanto per me si potesse operare, vergogna fare. Alla qual cosa e pietoso amore, e benigna fortuna assai occulta via m' avean trovata e mostrata, per la quale senza sentirlo alcuno io a divagarmi perveniva. E questo, chi che ti se l' abbia mostrato, o come che tu il sappi, io nol nego. Guiscardo non per accidente tolsi, come molte fanno, ma con diliberato consiglio elessi innanzi ad ogn' altro, e con avveduto pensiero a me lo 'ntrodussi, e con savia perseveranza di me e di lui, lungamente goduta sono del mio disio: di che egli pare, oltre allo amorosamente aver condisceso, che tu più la volgare opinione che la verità seguitando, con più amaritudine mi riprenda, dicendo (quasi turbato esser non ti dovessi, se io nobile uomo avessi a questo eletto) che io con uomo di bassa condizione mi son

posta. In che non ti accorgi, che non il mio peccato, ma quello della fortuna riprendi, la quale assai sovente gli non degni ad alto leva, a basso lasciando i dignissimi. Ma lasciamo or questo, e riguarda alquanto a' principj delle cose: tu vedrai noi d' una massa di carne tutti la carne avere, e da uno medesimo creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenze, con iguali virtù create. La virtù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse: e quegli, che di lei maggior parte avevano e adoperavano, nobili furon detti, e il rimanente rimase non nobile: e benchè contraria usanza poi abbia questa legge nascosta, ella non è ancor tolta via, nè guasta dalla natura, nè da' buon costumi: e perciò colui, che virtuosamente adopera, apertamente si mostra gentile, e chi altramenti il chiama, non colui che è chiamato, ma colui che chiama, commette difetto. Riguarda adunque tra tutti i tuoi nobili uomini, ed esamina la lor virtù, i lor costumi, e le loro maniere, e d'altra parte quelle di Guiscardo riguarda: se tu vorrai senza animosità giudicare, tu dirai lui nobilissimo, e questi tuoi nobili tutti esser villani. Delle virtù e del valore di Guiscardo io non credetti al giudicio d' alcuna altra persona, che a quello delle tue parole, e de' miei occhi. Chi il commendò mai tanto, quanto tu 'l commendavi in tutte quelle cose laudevoli, che valoroso uomo dee essere commendato? e certo non a torto, chè (se i miei occhi non mi ingannarono) niuna laude da te data gli fu, che io lui operarla,

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