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GLI OCCHI.

SONETTO.

IO son sì vago de la bella luce

De gli occhi traditor, che m' anno ucciso, Che là dov' io son morto, e son deriso, La gran vaghezza pur mi riconduce. E quel, che pare, e quel, che mi traluce, M' abbaglia tanto l' uno e l'altro viso, Che da ragione, e da virtù diviso Seguo solo il desio, com' ei m' è duce. Lo qual mi mena pien tutto di fede A dolce morte sotto dolce inganno, Che conosciuto solo è doppio il danno. E mi duol forte del gabbato affanno; Ma più m'incresce (lasso!) che si vede Meco pietà tradita da mercede.

Sullo stesso argomento.

SONETTO.

NE gli occhi porta la mia donna amore,
Perchè si fa gentil ciò, ch' ella mira;
Ov' ella passa, ogni uom ver lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core;
Sicchè bassando il viso tutto amore,
Ed ogni suo difetto allor sospira,
Fugge dinanzi a lei superbia ed ira:
Aiutatemi, donne, a farle onore.

Ogni dolcezza, ogni pensier umíle
Nasce nel core a chi parlar la sente,
Ond' è lodato chi prima la vide.
Quel ch' ella par, quand' un poco sorride,
Non si può dire, nè tenere a mente;
Si è nuovo miracolo, e gentile.

AMANTE AFFLITTO.

BALLATA.

O voi, che per la via d'amor passate,

Attendete, e guardate,

S' egli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave; E prego sol, ch' a udir mi soffriate;

E poi immaginate,

S' io son d'ogni dolore ostello e chiave. Amor, non già per mia poca bontate,

Ma per sua nobiltate,

Mi pose in vita sì dolce, e soave,
Ch' io mi sentia dir dietro spesse fiate:
Deh per qual degnitate

Così leggiadro questi lo core ave?
Ora ho perduta tutta mia baldanza,
Che si movea d' amoroso tesoro,
Ond' io.
pover dimoro

In guisa che di dir mi vien dottanza;
Sicchè, volendo far come coloro,

Che per vergogna celan lor mancanza,
Di fuor mostro a'legranza,

E dentro de lo cor mi struggo e ploro.

LA CORNACCHIA.

APOLOGO.

QUANDO il consiglio degli Augei si tenne Di nicistà convenne

Che ciascun comparisse a tal novella,

E la Cornacchia maliziosa e fella
Pensò mutar gonnella,

E da molti altri Augei accattò penne;
E adornossi, e nel consiglio venne;
si sostenne,

Ma poco

Perchè pareva sopra gli altri bella.
Alcun domandò l' altro, chi è quella?
Sicchè finalment' ella

Fu conosciuta. Or odi che ne avvenne. Che tutti gli altri Augei le fur dintorno; Sicchè senza soggiorno

La pelar sì ch'ella rimase ignuda;
E l' un dicea: or vedi bella druda!
Dicea l'altro: ella muda;

E così la lasciaro in grande scorno.
Similemente addivien tutto giorno
D'uomo che si fa adorno

Di fama o di virtù che altrui dischiuda:

Che spesse volte suda

Dell' altrui caldo, tal che poi agghiaccia;

Dunque beato chi per se procaccia.

CONTRO UN MILITARE,

Di PASSERA DA LUCCA, cognominato Della Gherminella. Visse alla Corte di Castruccio Signore di Lucca. Il suo stile non fu scelto; ma seppesi bene spiegare, specialmente nei sentimenti satirici.

Fiorì nel 1310.

SONETTO

Caudato.

TU non sei Ettor figliuol del Re Priano
Che già fece de' Greci sì gran taglia,,
Nè Scipion non se' 'l grande Affricano,
Nè Cesar che Pompeo vinse in Tessaglia.
Nè della Tavola şe' 'l buon Tristano,
Il miglior cavalier di Cornovaglia,
Nè Almonte non se' 'l nobil pagano,
Che morì in Aspramonte alla bataglia.
Già di prodezza non se' 'l vecchio Alardo,
Nè 'l conte Guido quel da Monte Feltro,
Nè Uguccion da Faggiuola, o Mainardo.
Non val la vita tua un grosso di peltro;

Alle guagnele, tu se' più codardo,
Che non è un coniglio a petto un veltro.
Però non mi dir mal del mio Guiduccio,
Chè peggior di te mai ebbe Castruccio.

IL GIUBBILO.

Del BEATO GIACOPONE BENEDETTI di Todi. Dapprima professò leggi, poi fu Religioso della minore Osservanza. Si riconosce per uno dei padri della Lingua Italiana, sebbene mescoli varj dialetti insieme, come vedrassi dal seguente saggio. Compose varj sacri inni per la Chiesa, tra quali gli si attribuisce il celebre Stabat Mater. Mori nel 1306. Gli lasciamo la sua ortografia per meglio distinguere il suo stile.

CANZONETTA.

Iubilo del core
Che fai cantar d'amore.
Quando iubilo se scaglia
Sì fa l'uomo cantare,
E la lengua barbaglia,
E non sa que parlare;
Dentro non po celare
Tanto è grande il dolzore.
Quando iubilo è acceso
Sì fa l'uomo clamare,
Lo cor d'amore è preso,
Che nol po comportare;
Stridendo el fa gridare,
E non vergogna allore.
Quando iubilo ha preso
Lo core enamorato,
La gente l' ha en deriso

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