SONETTI. I. A ssai sem raggirati in alto mare E quanto posson gli empiti de' venti 11. Si tosto come il sole a noi s' asconde Di Gange rendon colle chiome bionde Ma io come si fa 'l ciel tenebroso Si gran pianto per gli occhi mando fore, Che tant acqua non versan due fontane : Nè dormir, nè speranza alcun riposo Posson prestare al mio crudel dolore Così m' affligge Amor fin la dimane . Vol. IV. III. Candide perle orientali e nuove Sotto vivi rubin chiari e vermigli, Da' quali un riso angelico si muove, Che sfavellar sotto due neri cigli Sovente insieme fa Venere e Giove E con vermiglie rose i bianchi gigli Misti, fa il suo colore in ogni dove Senza che arte alcuna si assottigli. I capei d'oro e crespi un lume fanno El altre parti tutte si confanno IV... Perir possa il tuo nome, Baja, e il loco; Boschi selvaggi le tue piaggie sieno; E le tue fonti diventin veneno Nè vi si bagni alcun molto nè poco : In pianto si converta ogni tuo gioco E suspetto diventi il tuo bel seno Dice con meco V. Anima talvolta : Come potevi tu giammai sperare, Che dove Bacco può quel che vuol fare, Ov' ancor le Sirene usan cantare Amor, fede onestà potesse stare E stu 'l vedevi come t' occuparo Destati omai e fuggi il lito avaro; VI. Fuggit' è ogni virtù, spenť è il valore Perchè " se i maggior nostri hanno lasciato Il vago stil de' versi e delle prose, Esser non de'ti maraviglia alcuna. Piangi dunque con meco il nostro stato, L'uso moderno e l' opre viziose Cui oggi favoreggia la fortuna Ba VII. S' io ho le Muse vilmente prostrate Non cal che più mi sien rimproverate E' m' ha d' uom fatto un otre divenire Non pien di vento, ma di piombo grave, Tanto ch' appena mi posso mutare Non spero mai di tal noja guarire, Si d'ogni parte circondato m' ave: Ben so però, che Dio mi può ajutare. VIII. Se Dante piange, dove che 'l si sia Che li concetti del suo alto ingegno Aperti sieno stati al vulgo indegno, Come tu di della Lettura mia; Ciò mi dispiace molto nè mai fia, Ch' io non ne porti verso me disdegno, Come che alquanto pur me ne ritegno Perchè d' altrui non mia, fu tal follia. Vana speranza, e vera povertade, El abbagliato senno degli amici E gli lor preghi ciò mi fecer fare: Ma non goderan guar di tal derrate Questi ingrati meccanici nimici D'ogni leggiadro e caro adoperare . IX. Già stanco m' hanno e quasi rintuzzato Le rime tue accese in mia vergogna, E quantunque a gratiar della mia rogna Io abbia assai nel mio misero stato Pur ho talvolta da quelle sforzato Risposto a quel che la tua penna agogna, La qual non fu temperata a Bologna Se ben ripensi il tuo aspro dettato Detto ho assai, che io cruccioso sono Di ciò che stoltamente è stato fatto Ma frastornarsi non si puote omai. Però ti posa, ed a me da' perdono, Ch' io ti prometto, che in tal misfatto Più non mi spingerà alcun giammai . X. To ho messo in galea senza biscotto L'ingrato vulgo, e senza alcun piloto Lasciato l'ho in mare a lui non noto Benchè sen creda esser maestro e dotto. Onde il di su spero veder di sotto Del debol legno e di sanità voto ; Nè avverrà, perch' ei sappia di nuoto Che non rimanga lì doglioso e rotto Ed io di parte eccelsa riguardando |