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SONETTI.

I.

A ssai sem raggirati in alto mare

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E quanto posson gli empiti de' venti
L'onde commosse ed i fieri accidenti
Provať abbiamo: nè già il navicare
Alcun legno con vela, o con vogare
Scampati ci ha da perigli eminenti
Fra' duri scogli e le secche latenti
Ma sol colui che, ciò che vuol, può fare.
Tempo è omai da reducersi in porto,
E' ancore fermare a quella pietra
Che del tempio congiunse i due parieti;
Quivi aspettare il fin del viver corto
Nell amor di Colui da cui s' impetra
Con umiltà la vita de' quieti

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11.

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Si tosto come il sole a noi s' asconde
E l'ombra vien che 'l suo lume ne toglie
Ogni animale in terra si raccoglie
Al notturno riposo, insin che l' onde

Di Gange rendon colle chiome bionde
Al mondo l' aurora; e le cordoglie
I duri affanni, e l'amorose doglie,
Soave sonno allevia, o le confonde

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Ma io come si fa 'l ciel tenebroso Si gran pianto per gli occhi mando fore, Che tant acqua non versan due fontane : Nè dormir, nè speranza alcun riposo Posson prestare al mio crudel dolore Così m' affligge Amor fin la dimane . Vol. IV.

III.

Candide perle orientali e nuove Sotto vivi rubin chiari e vermigli, Da' quali un riso angelico si muove, Che sfavellar sotto due neri cigli

Sovente insieme fa Venere e Giove E con vermiglie rose i bianchi gigli Misti, fa il suo colore in ogni dove Senza che arte alcuna si assottigli.

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I capei d'oro e crespi un lume fanno
Sovra la lieta fronte, entr' alla quale
Amore abbaglia della meraviglia;

El altre parti tutte si confanno
Alle predette, in proporzion eguale
Di Costei, ch' i ver Angioli simiglia.

IV...

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Perir possa il tuo nome, Baja, e il loco; Boschi selvaggi le tue piaggie sieno;

E le tue fonti diventin veneno

Nè vi si bagni alcun molto nè poco :

In pianto si converta ogni tuo gioco

E suspetto diventi il tuo bel seno
A naviganti; il nuvolo e 'l sereno
In te riversin fumo, solfo, e fuoco,
Che hai corrotto la più casta mente
Che fosse in donna colla tua licenza;
Se il ver mi disser gli occhi, non è guari
Là onde io sempre viverò dolente,
Come ingannato da folle credenza :
Or fuss' io stato cieco non ha guari.

Dice con meco

V.

Anima talvolta :

Come potevi tu giammai sperare,

Che dove Bacco può quel che vuol fare,
E Cerere v'abbonda in copia molta
E dove fu Partenope sepolta

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Ov' ancor le Sirene usan cantare

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Amor, fede onestà potesse stare
O fosse alcuna sanità raccolta ?

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E stu 'l vedevi come t' occuparo
I fals' occhi di questa, che non ťama,
E la qual tu con tanta fede segui ?

Destati omai e fuggi il lito avaro;
Fuggi Colei che la tua morte brama
Che fai? che pensi ? che non ti dilegui ?

VI.

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Fuggit' è ogni virtù, spenť è il valore
Che fece Italia già Donna del mondo;
Ele Muse Castalie sono in fondo
Nè cura quas' alcun del loro onore .
Del verde lauro più fronda nè fiore
In pregio sono; e ciascun sotto 'l pondo
Dell' arricchir sottentra; e del profondo
Surgono i vizj trionfando fore

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Perchè " se i maggior nostri hanno lasciato Il vago stil de' versi e delle prose, Esser non de'ti maraviglia alcuna. Piangi dunque con meco il nostro stato, L'uso moderno e l' opre viziose

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Cui oggi favoreggia la fortuna

Ba

VII.

S' io ho le Muse vilmente prostrate
Nelle fornice del vulgo dolente
E le lor parti occulte ho palesate
Alla feccia plebeja scioccamente,

Non cal che più mi sien rimproverate
Si fatte offese, perchè crudelmente
Apollo nel mio corpo l' ha vengiate,
In guisa tal ch' ogni membro ne sente

E' m' ha d' uom fatto un otre divenire Non pien di vento, ma di piombo grave, Tanto ch' appena mi posso mutare

Non spero mai di tal noja guarire, Si d'ogni parte circondato m' ave: Ben so però, che Dio mi può ajutare.

VIII.

Se Dante piange, dove che 'l si sia Che li concetti del suo alto ingegno Aperti sieno stati al vulgo indegno, Come tu di della Lettura mia;

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Ciò mi dispiace molto nè mai fia, Ch' io non ne porti verso me disdegno, Come che alquanto pur me ne ritegno Perchè d' altrui non mia, fu tal follia. Vana speranza, e vera povertade, El abbagliato senno degli amici E gli lor preghi ciò mi fecer fare: Ma non goderan guar di tal derrate Questi ingrati meccanici nimici D'ogni leggiadro e caro adoperare

.

IX.

Già stanco m' hanno e quasi rintuzzato Le rime tue accese in mia vergogna, E quantunque a gratiar della mia rogna Io abbia assai nel mio misero stato

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Pur ho talvolta da quelle sforzato Risposto a quel che la tua penna agogna, La qual non fu temperata a Bologna Se ben ripensi il tuo aspro dettato

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Detto ho assai, che io cruccioso sono Di ciò che stoltamente è stato fatto Ma frastornarsi non si puote omai.

Però ti posa, ed a me da' perdono, Ch' io ti prometto, che in tal misfatto Più non mi spingerà alcun giammai .

X.

To ho messo in galea senza biscotto L'ingrato vulgo, e senza alcun piloto Lasciato l'ho in mare a lui non noto Benchè sen creda esser maestro e dotto. Onde il di su spero veder di sotto Del debol legno e di sanità voto ; Nè avverrà, perch' ei sappia di nuoto Che non rimanga lì doglioso e rotto

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Ed io di parte eccelsa riguardando
Ridendo in parte piglierò ristoro
Del ricevuto scorno e dell' inganno;
E tal fiata a lui rimproverando
L'avaro senno ed il beffato alloro
Gli crescerò e la doglia e l' affanno

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