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XI.

Tu mi trafiggi, ed io non son d'acciajo, E se a dir mi sospingon le punture,

A dover ritrovarti le costure

Credo parratti desto un gran vespajo

Deh! tu m' hai pieno, anzi colmo lo stajo : Bastiti omai, per Dio

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e non m' indure

A destar versi delle tue lordure

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Ch' io sarò d' altra foggia, ch' io non pajo .
E poichè la parola uscit' è fuore,
Indreto ritornar non si può mai
Nè vale il dir: vorrei aver creduto.
Se ti prude la penna, il folle amore
E la fortuna dan da dire assai .
In ciò trastulla lo tuo ingegno acuto.

XII.

Intorno ad una fonte in un pratello
Di verdi erbette pieno e di bei fiori
Sedeano tre Angiolette, i loro amori
Forse narrando, ed a ciascuna il bello
Viso adombrava un verde ramoscello
Che i capei d'or cingea. al qual di fuori .
E dentro insieme i dua vaghi colori
Avvolgeva un soave venticello .

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E dopo alquanto l'una alle due disse:
Com' io udii) Deh! se per avventura
Di ciascuna l' amante or qui venisse
Fuggiremo noi quinci per paura ?
A cui le due risposer: Chi fuggisse
Poco savia saria con tal ventura .

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XIII.

Pallido vinto e tutto trasmutato Dallo stato primier quando mi vede La nemica d'amore e di mercede Nelle cui reti son preso e legato, Quasi di ciò che io ho già contato Del suo valor, prendendo intera fede Liela più preme il cor, che la possede, Indi sperando nome più pregiato.

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Ond' io stimo, che sia da mutar verso; Pur ch' Amor mel consenta. e biasimare Ciò che io scioccamente già lodai.

Forse diverrà bianco il color perso, E per lo non ben dir potrò impetrare Per avventura fine alli miei guai

XIV.

Son certi augei sì vaghi della luce Ch' avendoli la notte già riposti Nel loro albergo, e dentro a se nascosti Desti da picciol sonno, ove traluce

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Quantunque picciol lume, gli conduce Il desio d'esso al qual seguir disposti, Dove diletto cercan ne' sopposti Lacci sottentran dietro al falso duce Lasso così sovente m' addiviene Che dov' io sento dal voler chiamarmi Dietro a' begli occhi e falsi di Costei Presto vi corro e da nuove catene Legar mi veggio, onde discaprestarmi Stolto sperava per rimirar lei.

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XV.

Toccami il viso zefiro talvolta
Più che l'usato alquanto impetuoso,
Quasi se stesso allora avesse schiuoso
Dal cuoi d'Ulisse e la catena sciolta .

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E poi che l'alma tutta è in se raccolta, Par che mi dica: Leva il volto suso ; Mira la gioja, ch' io da Baja effuso Ti porto in questa nuvola rinvolta :

To lievo gli occhi, e parmi tanto bella Veder Madonna entro a quell' aura starse, Che 'l cor vien men sol per maravigliarse

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E come io veggo lei più presso farse Lievomi per pigliarla, e per tenella, E'l vento fugge, ed essa spare in quella .

L'oscure fami

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XVI.

e i pelaghi Tirreni E' pigri stagni e li fiumi correnti Mille coltella e gl'incendi cocenti Le travi e' lacci, e infiniti veneni

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L'orribil rupi e massi boschi pieni Di crude fere, e di malvaggie genti, Vegnon chiamate da sospir dolenti

E mille modi da morire osceni .

E par ciascun mi dica: Vienne, ch' io Son per iscaprestarti in un momento

Da quel dolor, nel quale Amor ť invischia ;
Ond' io a molti incontro col desio

Talor mi fo, com' uom che n' ho talento
Ma poi la vita trista non s' arrischia

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Guidommi Amor Sopra l'acque di Scilio

in un mirteto

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come suole

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Ed era il mar tranquillo e il ciel quieto,
Quantunque alquanto zeffir

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Movesse agli arboscei le cime sole; Quando mi parve udire un canto lieto Tanto che simil non fu consüeto D' udir giammai nelle mortali scuole Per ch io; Angiola forse, o Ninfa, o Ninfa, o Dea Canta con seco in questo loco eletto (Meco diceva ) degli antichi amori. Quivi Madonna in assai bel ricetto

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Del bosco ombroso in sull' erbe e 'n su' fiori Vidi cantando e con altre sedea.

Quel dolce canto

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XVIII.

col qual già Orfeo Cerbero vinse, e 'l Nocchier d' Acheronte O quel, con ch' Anfion dal duro monte Tirò li sassi al bel muro Dirceo

O qual d'intorno al fonte Pegaseo Cantar più bel color, che già la fronte S'ornar d' alloro colle Muse conte Uomo lodando o forse alcuno Iddeo ;

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Sarebbe scarso a commendar Costei Le cui bellezze assai più che mortali Ed i costumi e le parole sono .

Ed io presumo in versi diseguali Di disegnarle in canto senza suono. Vedete se son folli i pensier miei!

Vol. IV.

C

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XIX.

Parmi talvolta riguardando il Sole
Vederlo assai più che l'usato acceso
Per ch' io con meco dico: Forse esteso
Si siede in quello il mio fervente Sole:

Il quale agli occhi miei sempre fu Sole
Poscia ch' io fui ne' lacci d' Amor preso.
Per certo ei v'è; però di tanto peso
Son ora i raggi di quest' altro Sole .

E si nel cuor s' impronta esto pensiero
Che mi parve veder, guardando in esso
Siccom' aquila face intento é fiso

La fiamma mia, é d'essa assai intero Ogni contegno è conoscer d' appresso Li capei d'oro e crespi, ed il bel viso.

XX.

Quello spirto vezzoso,

che nel core

Mi misero i begli occhi di Costei
Parla sovente con meco di lei
Leggiadramente, e simile d' Amore.
E poi del suo animoso fervore
Una speranza crea ne' pensier miei
Che si lieto mi fa, ch' io mi potrei
Beato dir, s'ella stesse molt ore :

Ma un tremor da non so che paura
Nato, lo scaccia, e rompè in mezzo il porto,
Ch' aver preso credea di mia salute;

E veggio aperto, ch' alcun ben non dura Lunga stagione in questo viver corto, Quantunque possa natural virtute.

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