LXXI. Che fabbrichi? che tenti? che limando Vai le catene in che tu stesso entrasti, Mi dice Amor e te stesso legasti Senza mio prego, e senza mio comando ? L' angelica bellezza desiando? Oh stolte menti ! oh animali sciocchi ! Una parola un riso, un muover d'occhi Un dimostrarsi lieto il vago volto LXXII. Pervenuto è insin nel secol nostro Che tante volte il cuor di Prometeo Con l'altre parti drento si rifeo Di quante se ne pasce un duro rostro Il che parria forse terribil mostro Se non fesse di me simil trofeo Sovent' Amor, ch' a scriverlo poteo Far di mio lagrimar penna ed inchiostro Io piango e sento ben che 'l cor si sface, Ed allor quand' egli è per venir meno, Debile e smunto, e punto per l'affanno ; Ond' io nascoso sento che 'l riface Il mio destino laond' eterne fieno Le pene, che me disfanno e rifanno . LXXIII. Si acces' e fervente è il mio desio Di seguitar Colei, che quivi in terra Con il suo altero sdegno mi fe' guerra Infin allor ch' al ciel se ne salio Che non ch' altri ma me metto in oblio E parmi nel pensier, che sovent erra Quella gravezza perder che m' atterra E quasi uccel levarmi verso Dio E trapassar le spere, e pervenire Davanti al Divin trono infra i beati E lei veder che seguirla mi face Sì bella, ch' io nol so poscia ridire LXXIV. Il vivo fonte di Parnaso e quelle Che fra l'ombre selvatiche le belle Credo n' ha colpa il mio debile ingegno, LXXV. Quante fiate in dietro mi rimiro E veggio l' ore, e i giorni, e i mesi, e gli anni, Veggio il pericol corso, ed il martiro Finire e pormi forse in lieta pace. LXXVI. Sio veggo il giorno, Amor, che mi scapestri De' lacci tuo' che sì mi stringon forte, Vaga bellezza, nè parole accorte Nè alcun altri mai piacer terrestri Tanto potranno, ch' io più m' incapestri. O mi rimetta nelle tue ritorte. Avanti andrò, finchè venga la morte Tu m' hai il cibo il sonno ed il riposo, Ed ha'mi fatto del vulgo nojoso LXXVII. Vetro son fatti i fiumi ed i ruscelli ; Gli serra di fuor ora la freddura ; Vestiti sono i monti e la pianura Di bianca neve e nudi gli arbuscelli `; Sta chiusa per lo freddo ne' suoi ostelli : E giorno e notte chiero a giunta mano Alquanto d' acqua al mio Signor piangendo, Nè ne posso impetrar solo una stilla. LXXVIII. Non treccia d'oro non d'occhi vaghezza, Non costume real, non leggiadria Non giovanetta età non melodia S' io ti vedessi LXXIX. Amor, pur una volta Ogni suo atto impenna un de' tuo' strali; Che diss' io un ? ma cento: ed il tuo arco Ognor a trapassar mi par più forte Vedi ch' io son senz' armi, o diseguali Al poter tuo e se non chiudi il varco, L'anima mia ch'è tua sen vola a morte. LXXX. Trovato m' hai, Amor, solo e senz' armi Là dve più armato ed avveduto Sei, credo credo, per accidermi venuto Col favor di Costei ch' in disertarmi Deono il core, ma, poichè fia saputo, D' aver voluto pur così disfarmi. Poco onor ti sarà, s' io non m' inganno, Ferir vincer , legar, uccider uno Che far non puote in ver di te difesa. |