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non potè a meno di non lamentare le calamità che soffriva la religione nel regno di Piemonte (Docum. n. XX.). E reclamò pure con altra nota lo stesso Cardinale pro-Segretario di stato (Docum. n. XXI.) sotto i 2 di settembre contro agli eccessi fatti da quel Governo dopo la morte del cav. Santa Rosa ministro di agricoltura e commercio. Questi per es sere stato fautore della medesima legge e per avere persistito fino a morte nel non ritrattare il suo errore, era stato privato degli ultimi sacramenti dal parroco religioso dei servi di Maria. Quel Governo adirato da ciò quasi fosse giudice nelle cause spet tanti l'amministrazione dei sacramenti, ed avesse diritto di punire i sacri ministri ed i pastori della Chiesa, fece violentemente tradurre nel forte di Fenestrelle l'arcivescovo di Torino, e quindi espulse il parroco insieme co' suoi religiosi dal proprio convento, e det'e in amministrazione all' economato regio apostolico i beni del convento stesso. Intanto oltre alla predetta legge abolitiva del foro ecclesiastico, altra ne fu sancita ai 5 di giugno, con cui era impedita la sacra libertà della Chiesa nell'acquistare beni stabili (Docum. n. XXII. ). 16 Epperò il governo Sardo non volle lasciare prive di alcuna risposta le note suindicate del sig. Card. Antonelli, quindi il marchese d' Azeglio inviava due dispacci al marchese Spinola coll' incarico di communicarli al medesimo Cardinale. In questi due dispacci segnati ai 3 giugno e ai 24 luglio 1850 si volle dare risposta alla nota trasmessa in reclamo contro alle violenze recate agli arcivescovi di Torino e di Sassari. E siccome nel primo di questi dispacci ( Dócum. numero XXIII.) coll'intento di giustificare queste violenze e la legge che le cagionò, si fa discorso sulla natura dei concordati e si attribuisce ai principi secolari il diritto di annullarli senza il consenso della santa Sede, come conseguenza della facoltà, ch'essi hanno di mutare gli ordini politici nei loro stati; così il prelodato sig. Cardinale Antonelli con sua nota dei 19 luglio (Docùm. n. XXIV.) fu obbligato a ribattere i falsi principi contenuti in quel dispaccio, e dichiarare la natura dei concordati, i quali sono

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inviolabili per parte dell'autorità civile, sia perchè hanno vigore di trattati internazionali, sia perchè versano su leggi di disciplina universale ecclesiastica dipendenti dal romano Pontefice. Mentre questa nota era in corso, giungeva il secondo dispaccio dei 24 luglio, (Docum. n. XXV.) nel quale s'intendeva di sostenere coll'autorità di alcuni pubblicisti anche eterodossi, non essere necessario il consentimento della Sede apostolica per derogare ai concordati con essa conclusi, qualora siffatte derogazioni fossero richieste dal cangiamento degli ordini politici di uno Stato. Fu però riputato superfluo il rispondere a questo dispaccio già bastevolmente confutato colla predetta nota dei 19 di luglio.

17 Per tutti questi attentati fu sentito un fremito di esecrazione dai fedeli di quel regno, e l'eco ne risuonò sulla tribuna dei senatori. Allora il ministro guardasigilli non ebbe difficoltà di asserire su quella medesima tribuna che il Governo era in trattato colla corte di Roma intorno all' abolizione dell'immunità ecclesiastica in quel regno: sicchè il giornale romano dovè smentire questa pubblica dichiarazione del ministro.

18 Anzi il Governo volendo calmare alla meglio l'indignazione e lo scandalo eccitatosi per la sua condotta, mandò presso il Santo Padre un inviato senza avere dato a conoscere lo scopo nè le istru zioni di tale missione. Giunse quindi in Roma sulla metà di agosto di quell'anno 1850 il cav. Pier Luigi Pinelli già presidente della camera dei deputati, e primo segretario del gran magistero dell'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, col carattere d'incaricato di una missione straordinaria presso la santa Sede; accompagnato dai cavalieri Michelangelo Tonello e Giovanni Čavalli, quegli come consigliere, e questi come addetto alla stessa missio

L'esito di tale missione non fu punto dissimile dalle precedenti. Imperocchè il cav. Pinelli perseverava nelle massime manifestate dal suo Governo sulla violabilità dei concordati, e sulla pretesa necessità di tenere lontano dalla sua sede l'ar

re,

civescovo di Torino nonchè sulla giustizia della legge sancita intorno alla immunità ecclesiastica, e sulla condotta tenuta fino a quel tempo dal suo Governo. Ciascuno vede che la s. Sede non avrebbe potuto imprendere trattative con chi dichiarava di poter rompere qualsivoglia concordato secondoche si crede opportuno, anche con vilipendio dell'autorità pontificia; e con chi disconosceva i principi fondamentali della disciplina ecclesiastica, e dopo averli conculcati pretendeva che la Sede apostolica ne riconoscesse la violazione come fatto compiuto. Nondimeno vollero usarsi a quell' inviato straordinario i dovuti personali riguardi, e perciò il cardinale pro-Segretario di stato ebbe con lui varie private conferenze, nel corso delle quali, non potè a meno di non comunicare le accennate massime da lui manifestate in proposito, a tutti i pontificî rappresentanti presso le corti estecome fece con circolare dei 31. di agosto (Docum. n. XXVI). 19 E quello che fa maggior meraviglia si è, che nello stesso tempo, in cui si facea mostra dal predetto inviato Sardo di voler comporre le vertenze suscitate fra la santa Sede ed il suo Governo erano in quei regi stati moltiplicate le ingiurie contro alla Chiesa. Rimaneva tuttora in Roma il cav. Pinelli e pareva ch' egli tenesse trattato colla santa Sede, quando l'arcivescovo di Cagliari ai 24 di settembre fu esiliato dal regno, per aver dichiarato, siccome si è detto, incorsi nella scomunica quelli che avevano sequestrati gli oggetti esistenti nella cancelleria generale annessa al suo domicilio. Ed era in Roma quell'inviato Sardo quando ai 25. dello stesso mese l'arcivescovo di Torino con sentenza del magistrato di appello fu tratto fuori dalla fortezza di Finestrelle, dove era trattenuto, e fu condannato allo sfratto dai regi stati: nonchè la mensa arcivescovile di lui fu sequestrata e data in amministrazione all'economato regio apostolico. E nello stesso tempo si fomentavano pure nel popolo replicati tumulti contro agli ecclesiastici, e si

succedevano rigorose perquisizioni nelle case dei religiosi. 20 Quindi in seguito della dimora in Roma del signor cavaliere Pinelli correano pubbliche voci nel regno Sardo di prossimi ed importanti trattati, che già si concludevano colla santa Sede: sicchè i vescovi della ecclesiastica provincia di Vercelli non mancarono di scriverne in proposito al SANTO PADRE. E affine di smentire siffatte voci, la SANTITA' DI NOSTRO SIGNORE rispose immantinente a quei vescovi sotto i 6. di settembre (Docum. n. XXVII), manifestando le ragioni per cui sarebbe tornata infruttuosa anche la missione del predetto signor Pinelli. E poco dopo il Cardinale pro-Segretario di stato inviò un'altra circolare dei 24. dello stesso settembre a tutti i rappresentanti pontificii presso le corti estere col racconto genuino della vera posizione, in cui era la s. Sede rispetto al governo di Torino. (Docum. n. XXVIII). 24 E tostochè fu partito da Roma quell'inviato straordinario, SUA BEATITUDINE riputò essere giunto il momento in cui manifestare solennemente al mondo cattolico l'ansia del suo cuore per la condotta tenuta dal governo Sardo verso la santa Sede dal 1847 in poi, e reclamare coll' apostolica sua voce contro alle ingiurie recate alla Chiesa e contro ai danni cagionati alla religione nei domini di Sua Maestà Sarda. E con tale intendimento radunò il concistoro nel dì primo di novembre, e pronunziò la ben nota allocuzione che incomincia « In consistoriali allocutione » (Docum n. XXIX.) nella quale con quel trattar moderato e caritativo che si addice à padre comune, mise in chiaro i periodi più rilevanti di questa lagrimevole storia.

22 Ed a malgrado di sì solenne protestazione del SOMMO PONTEFICE, pure non si ritenne quel Governo dal perseverare nella via fino allora percorsa. Sul principio dell'anno 1854, non volle esso riconoscere la solita annuale offerta di un calice con patena di oro, che i Reali di Savoia debbono presentare alla Sede apostolica nella festività dei santi Apostoli Pietro e Paolo; imperocchè i Principi di quella real Casa sono vicarî della

s.Sede nel supremo dominio temporale di alcuni feudi ad essa appartenenti, posti dentro i confini del regno di Piemonte, ed annoverati nella bolla di Benedetto XIV dei 5 gennaio 1741 chè comincia « Provida Romani Pontificis; la quale fu spedita in seguito degli opportuni concerti che precedettero fra la santa Sede ed il Re di Sardegna Emmanuele III. Per lo che sono stati già presentati, sebbene inutilmente, varii reclami dal predetto signor Cardinale Antonelli, e si è protestato formalmente dal SANTO PADRE. Di più l'ordine dei cavalieri dei ss. Maurizio e Lazzaro, istituito con autorità dei romani Pontefici, e da essi in gran parte dotato di beni e redditi ecclesiastici, ed anche ultimamente con nota della regia legazione Sarda dei 6 di agosto 1847 ritenuto per reliligioso equestre dagli stessi Principi di Torino, fu poi nell'anno 1854 con regie magistrali patenti dei 16 marzo considerato come una istituzione puramente civile e perciò ora è fatto capace delle onorificenze, vantaggi e benefizî di quell'ordine ancora chi professa un culto diverso dal cattolico.

23 Nè valse punto la citata allocuzione del romano Pontefice ad impedire, che fosse nuovamente proposto il progetto di abolire le decime ecclesiastiche nell'isola di Sardegna di cui si è parlato di sopra, e che discusso ed approvato dalle camere legislative, fu sancito con decreto reale dei 15 aprile. Anzi è da notarsi che quando la camera dei senatori s'intertertenea sulla discussione di questo progetto, nella. sessione dei 6 marzo il ministro dell'interno pubblicamente dichiarava, che in quel tempo non vi erano divergenze nè rotture fra la santa Sede ed il suo governo. Onde vi fu poi bisogno che nel giornale romano sotto il 18 di quel mese fosse pubblicamente dichiarato, che le vertenze del governo Sardo colla Sede apostolica, disgraziatamente non erano punto diverse da quelle che avevano data occasione all'allocuzione pontificia del 4 novembre 1850. Ed è pure da notarsi che in quello stesso mese di marzo

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