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venne in Roma l'avvocato Castelli, e precorse la voce che la venuta di lui fosse diretta ad aprire trattato colla santa Sede. Egli però non mosse alcuna parola a tal uopo, e neppure si presentò al Cardinale pro-Segretario di stato, nè a verun altro ministro della santa Sede.

24 Intanto prima che il decreto sull'abolizione delle decime fosse pubblicato,il che successe ai 12 del giugno seguente, il marchese Spinola incaricato di S.M.Sarda in Roma, con nota dei 2 maggio (Docum. n. XXX) presentò al prelodato sig. Card. Antonelli un progetto di concordato su questo argomento delle decime; e non omise nella sua lealtà di palesare a voce che la legge era stata già decretata dal Re, ma che sinora non era stata pubblicata. Quindi senza aspettare alcuna risposta, presentò eziandio allo stesso sig. Cardinale alcuni fogli confidenziali senza firma, nei quali, dati alcuni cenni sulla necessità delle riforme nella legislazione economica e civile di quel regno, si richiamava l'attenzione della santa Sede sopra alcuui bisogni delle Chiese poste in quei reali dominî tanto nel continente quanto nell'isola (Docum. n. XXXI). In risposta a tali comunicazioni che non poterono non riconoscersi esagerate, fu detto in voce al signor marchese Spinola, che avanti di cominciare ogni trattato, il governo Sardo doveva assicurare la santa Sede sulle massime da esso professate in ordine al valore dei concordati: giacchè erano lasciate tuttora vive le ingiurie recate alla Chiesa su questo proposito.

25 Ma allorchè venivano inoltrate alla santa Sede queste proposizioni di aggiustamento riguardo alle decime, erano contemporaneamente disconosciuti in quegli stati altri diritti proprî della Chiesa. I diritti dei sacri pastori nel regime della istruzione religiosa e morale dei fedeli e degli ecclesiastici delle loro diocesi, già tanto violati dalla legge dei 4 di ottobre 1848 furono conculcati anche più ai 13 di maggio 1851 allorchè colla circolare del ministero della pubblica istruzione (Docum. n. XXXII) erano invitati i vescovi del regno ad obbligare i profes

sori della facoltà teologica nei loro seminarî a seguire il testo dell' università centrale, e ad assoggettare le scuole stesse teologiche alla ispezione dei delegati del governo, se pur non voleano addossarsi il carico di pagar da loro quei professori. Inoltre ai 23 di quello stesso mese di maggio con reale decreto era imposta altresì una tassa del 4 per 100 sui beni dei corpi morali o così dette mani-morte, in compenso dei tributi d'insinuazione e di successione, dai quali que'beni vanno naturalmente immuni. E quando pure questa tassa, in grazia delle concessioni pontificie fatte in proposito ai Reali dì Torino potesse giustificarsi per le provincie continentali del regno; e quando pure non fosse esagerata in proporzione dei tributi, in compenso dei quali dicesi essere imposta; tuttavia essa è certamente ingiusta, per essere stata estesa ai beni ecclesiastici dell'isola, dove quei Principi non hanno mai ottenuto facoltà d'imporre nuove tasse, in vista appunto dei gravissimi tributi di cui sono colà sopraccaricati i beni della Chiesa in prò dello stato. 26 Il Santo Padre non cessava di gemere sulla lagrimevole condizione di quel paese, e dimostrava colla mansuetudine, che è propria di lui e del suo supremo carattere la carità di quel Dio di cui è Vicario sulla terra. Ond'è che quando gli si presentò in particolare udienza nel settembre di quello stesso anno il signor ab. Sopranis, uno dei cappellani elemosinieri di S. M. il Re Vittorio Emmanuele, e gli espose a nome di quel Sovrano vivi desideri di conciliare le vertenze colla santa Sede, e concludere per questo effetto un concordato, il SANTO PADRE non indugiò a ripetergli un'altra volta ciò che aveva manifestato solennemente nella predetta allocuzione del 4 Novemb. 1850. Accolse benignamente la domanda fatta a nome del Re: disse essere vivissimo il suo desiderio di medicare i mali che travagliano quella parte del cristianesimo, e si mostrò propenso a trattare un concordato, purchè fossero riparati i torti cagionati alla Chiesa, nè si fosse insistito sopra inchieste impossibili ad accordarsi senza pregiudizio della

Chiesa medesima. E poichè in quello stesso tempo il predetto incaricato signor marchese Spinola richiedeva una risposta ufficiale alla nota dei 2 maggio accennata di sopra, l'ebbe con altra nota parimente ufficiale dei 5 ottobre (Docum. n. XXXÌII), inviatagli dal signor Cardinale pro-Segretario di stato, il quale gli rispondeva nello stesso senso manifestato da SUA SANTITA' all' ab. Sopranis.

27 Rimase in tale stato l'affare fino a primi giorni di novembre, quando si riseppe in Roma, che al marchese Spinola succedeva il cav. Manfredo Bertone conte di Sambuy, qualificato come inviato straordinario e ministro plenipotenziario. E difatto poco dipoi giunse egli in Roma colle solite lettere credenziali, e nel dispaccio ( Docum. n. XXXIV) del ministro degli affari esteri era indicato il doppio scopo inteso da Sua Maestà nella missione di lui cioè di venire ad una soddisfacente soluzione delle trattative già incominciate, e di vedere composte le differenze insorte colla santa Sede. Non può intanto dissimularsi che in quel tempo corsero alcune voci sulla lealtà di siffatta missione, le quali si accrebbero in seguito del discorso che in quei giorni pronunziò nelle camere il ministro delle finanze protestando che colla missione del signor di Sambuy non era disdetta la politica inaugurata dal ministro Siccardi, e che certo non si poteva ammettere discussione nè osservazione veruna intorno alle leggi già approvate dal parlamento, che però vi erano altri provvedimenti da prendere, per alcuni dei quali sarebbe utile il concorso dei due poteri: per ultimo quel ministro assicurava il parlamento che l'esito del trattato darebbe segno della fedele osservanza al sistema professato dal conte Siccardi. Checchessia però di tali voci e di tali voci e di siffatta dichiarazione, l'Emo signor Card. Antonelli con nota dei 24 Novembre 1851 (Docum. n. XXXV) significò al conte di Sambuy che SUA SANTITA' aderendo alle ripetute istanze fattegli per aprire nuove trat tative di concordato, avea destinato suo plenipotenziario monsignore, ed ora Emo signor Cardinale Vincenzo Santucci, in quel tempo segretario

della s. Congregazione degli affari ecclesiastici straordinarî, e questa comunicazione riuscì gradita al signor conte di Sambuy, come si scorge dalla sua nota dei 25 dello stesso mese (Docum. n. XXXVI). 28 Ricevuta siffatta nota, il plenipotenziario pontificio fu sollecito di tenere bentosto colloquio col sig. conte di Sambuy sul particolare delle trattative e mettergli in vista la necessità, per cui era dovere del governo Sardo riconoscere la inviolabilità dei concordati: non già perchè il valore di questi fosse riputato dipendere dalla opinione, in che gli ha il governo piemontese, ma perchè dipendeva da tale opinione la possibilità di entrare in trattativa di nuovi concordati con esso. Non era certamente posta in dubbio dall' inviato Sardo la necessità del predetto riconoscimento: ma egli insisteva doversi da lui trattare esclusivamente dell'abolizione delle decime nell'isola di Sardegna a tenore della inchiesta contenuta nella nota del dì 2 maggio inviata dal sig. marchese Spinola all' Emo sig. card. pro-Segretario di stato. E quando fu poi assicurato, che nei dispacci ministeriali, con cui era annunziata alla santa Sede la missione di lui si dicea chiaramente essere egli incaricato non solo di condurre a termine le incominciate trattative, ma sibbene di comporre le insorte vertenze; fra le quali è noto doversi annoverare anche quella della violata fede e della sostenuta violabilità dei concordati, allora il sig. conte di Sambuy non indugiò di occuparsi sul modo di riparare una sì grave ingiuria recata alla autorità della Sede apostolica. Anzi, sia detto a lode di lui, anche prima dei 16 di dicembre, nel quale giorno inviò nota al Card. pro-Segretario di stato annunziandogli avere ricevuta la plenipotenza a trattare (Docum. n. XXXVII.), avea già egli proposto un preambolo agli articoli da concordarsi. Documento num. XXXVIII.) Questo progetto di preambolo, come è ben chiaro, non poteva riuscire soddisfacente al plenipotenziario pontificio, il quale, ne propose una formola alquanto diversa, sicchè contenesse per una parte la dichiarazione dell'indicato principio della inviolabilità dei concordati,

e provvedesse dall'altra parte alla decenza del ministero piemontese: (Docum. n. XXXIX.) ma il plenipotenziario di S.M. Sarda non se ne contentò, e promise a monsig. Santucci di volere riformare quel preambolo, e quanto prima inviarglielo.

29 Or mentre aspettavasi questa seconda formola di preambolo, l'inviato Sardo, dopo averla combinata in modo, ch'era parimente manchevole delle richieste necessarie cautele (Docum. n. XL.), invece di comunicarla al plenipotenziario pontificio, siccome avea promesso, la diede direttamente al S. PADRE, il quale lo ritenne per consegnarlo nella prima occasione al suo plenipotenziario. Difatto nell'udienza dei 3 dicembre SUA SANTITA' consegnò il detto foglio a monsignor Santucci, dicendogli di non essere restato soddisfatto di tale redazione, poichè avendo condisceso che nel preambolo si dicesse una parola intorno al principio incontrovertibile della inviolabilità dei concordati, piuttostochè di farne articolo nelle trattative, intendeva che tale parola fosse espressa con disinvoltura bensì, ma con debita precisione e chiarezza, e che avendo dimostrata la sua disposizione ad allargar le leggi sulla immunità ecclesiastica, una tal condiscendenza venisse coartata nei limiti convenienti al decoro dell'Episcopato, al rispetto pei sacri asili, ed alla conservazione dei giudizii di competenza della Chiesa. Il sig. conte di Sambuy, avendo conosciuto un tal risultato per pronta relazione datagliene dal plenipotenziario pontificio, consentì che da questi venisse pure riformato il suo preambolo locchè fu subito eseguito ma trovandosi sempre della renitenza nel farlo accettare, lo stesso monsignor Santucci pensò di adottare il partito di fargliene ufficiale trasmissione; prima della quale non mancò di prevenirlo comunicandoglielo in via confidenziale. Il signor conte di Sambuy nel rinviarlo lo accompagnò con biglietto (Docum. n. XLI) dei 10 feb. con alcune osservazioni parte delle quali era conte nuta nell'altro biglietto parimente confidenziale dei 9 dicembre (Docum. num. XLII) ed a cui nelle private conferenze si era già risposto. Ciò

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