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quel Governo si è dato mai carico di fare ragione alle pontificie proteste rappresentate all'uopo con nota ufficiale del Cardinale Segretario di stato, sotto i 23 di settembre (Docum. n. XIII). Ed è parimenti noto che sul finire di quello stesso anno e sul cominciare del 1849 poichè la camera dei deputati aveva deliberato essere necessario di abolire le decime ecclesiastiche in Sardegna, fu di presente incaricata dal Governo una commissione, affine di proporre un idoneo progetto di legge per l'abolizione suddetta con tutte quelle misure, mutazioni e disposizioni che vi si riferivano, abilitandola a procurarsi da qualsiasi dicastero, uffizi ed autorità tutti i ragguagli e documenti che potessero occorrerle pei relativi studi e lavori. E con questa ordinazione che ledeva la immunità, fu gittato il seme di gravissimi mali che poscia ne derivarono.

9 Ed in questo tempo, anzi pochi giorni dopo di aver trasmesso il riferito progetto di concordato, il marchese Pareto con sua nota ufficiale dei 26 settembre, nel raccomandare alla santa Sede di essere cautelata nel dare le dispense sul primo grado di affinità a norma del chirografo di Gregorio XVI dato ai 22 novembre 1836 minacciava a nome del suo Governo la privazione dell'exequatur agli atti pontifici contenenti siffatta dispensa. Questa nota spedita in conformità alla menzionata legge dei 25 aprile 1848 sull'exequatur, è ingiuriosa alla Sede apostolica più ancora che quella legge stessa, sia perchè direttamente inviata, sia perchè intendeva ad applicarla in oggetto relativo ai sacramenti. Fu perciò lasciata senza risposta, nella speranza appunto di ripararne l'oltraggio, quando il Governo ravvedutosi in occasione delle conferenze pel concordato, cessasse di avversare la Chiesa anche su questo particolare.

10 Nè poi per essere intermesso allora ogni trattato, erano pure interrotte le apparenti relazioni di quel Governo colla santa Sede. Anzi erano esse conservate con ogni premura: e mentre erano conculcati i più sacri diritti della Chiesa, erano insieme mantenuti ministri plenipotenziarî ed anche inviati

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straordinarî in istraordinaria missione presso il SOMMO PONTEFICE. Infatti fu spedito in Gaeta con tale carattere il conte Cesare Balbo ma per opera di lui non fu promosso alcun aggiustamento, nè fu data alcuna ragione di speranza all'animo vivamente addolorato del SANTO PADRE, a cui fu accresciuto dipoi il dolore per l'esito della missione straordinaria del conte Siccardi. Vennero essi in Portici ove dimorava SUA SANTITA' nell' ottobre del 1849 pel doppio scopo, sì di proseguire l'interrotto trattato, sì di ottenere qualche apostolica provvidenza per le due sedi di Torino e di Asti, dalle quali si voleano dimessi i proprî pastori. Riuscì ad essi impossibile d'impetrare che questi due prelati fossero invitati dal SoMMO PONTEFICE a dimettere le loro sedi: imperciocchè mancavano quei motivi richiesti dai sacri canoni per tale effetto. Sicchè restato non soddisfatto questo loro desiderio, si partirono da Portici sul finire del novembre, senza avere mai parlato di concordato fuorchè sul principio, quando manifestarono in voce di essere abilitati a trattare.

44 L'animo indulgentissimo della SANTITA' DI NOSTRO SIGNCRE, rimase fortemente colpito dall'esito di questa missione, anche rispetto alla sinistra impressione che ne avrebbe potuto provare il giovane Re Vittorio Emmanuele. Destinò quindi d'inviargli in suo nome monsignore Alessandro Charvaz già ve scovo di Pinerolo, allora arcivescovo di Sebaste, assunto poi all'arcivescovado di Genova, con sua lettera pontificia e col carico di dichiarare a quel Sovrano le sue benevole disposizioni verso di lui e de'popoli a lui soggetti, e il grave obbligo impostogli dall'apostolico suo ministero di rigettare le domande che gli erano state fatte per indurre alla rinunzia i due prelati di Torino e di Asti. Il Re nella risposta che diede a SUA SANTITA' sotto i 15 di gennaio 1850 replicò quello che avea detto in voce a mons. Charvaz: l'assicurò di proteggere que' due illustri prelati; promise che sarebbe quanto prima proposta alle camere una legge sull'istruzione pubblica, ove fosse riconosciuto il diritto proprio dei

vescovi, e che in tempo più opportuno avrebbe fatto ricominciare gl'interrotti trattati di concordato; e poi diede pure a leggere a quell' arcivescovo già formolato un progetto di legge sulla stampa destinato a reprimerne gli eccessi

12 Queste assicurazioni e promesse del Re avevano aperto l'adito a buone speranze, nondimeno le cose rimasero nell'andamento già preso. Infatti, siccome fu poi risaputo, in quel medesimo tempo, cioè sul finire del 1849 e sul cominciare dell'anno seguente, furono fatte gravi violenze contro all'arcivescovo di Cagliari, il quale credette suo dovere di non cedere alle esigenze di quella commissione menzionata di sopra, e deputata a preparare il pro getto di abolizione delle decime: e perciò ai 2 gennaio 1850 fu apposta perfino la mano regia su quella mensa arcivescovile: sicchè l'illustre arcivescovo si trovò necessitato a pubblicare un monitorio di scomunica contro ai trasgressori delle leggi canoniche sulla immunità ecclesiastica. Questo medesimo progetto di abolire le decime fu poi causa di una circolare degli 11. gennaio dello stesso anno 1850, colla quale erano av vertiti i vescovi dell'isola a sospendere la collazione dei vacanti benefizi, per quanto lo consentisse il servizio della Chiesa e il decoro del culto. E fu in seguito di questa circolare che il governo si è poi talora arrogata la facoltà di giudicare sulla convenienza di conferire o no i benefizî in quel l'isola e si è valso eziandio del suo exequatur per impedire alcuna collazione di essi, benchè fatta con autorità pontificia.

13 Quindi nel seguente febbraio fu posta un'altra causa · tendente ad accelerare la calamità di quel regno. Fu presentato dal ministro guardasigilli sig. conte Siccardi alla discussione della camera legislativa sotto i 25 del predetto febbraio un progetto di legge intorno al foro ecclesiastico, alla immunità locale ed alla osservanza di alcuni giorni festivi (Docum.n.XIV.) e con tal progetto oltre che si violava la fede delle recenti promesse date dal governo per tenere trattato sul punto della sacra immunità, erano altresì

conculcati i più solenni concordati vigenti in quel regno, e sempre per parte della santa Sede inviolabilmente osservati.

44 Ora nello stesso giorno e nell' ora medesima in cui veniva proposto alla pubblica discussione siffatto progetto di legge, ne fu data comunicazione in voce dal Ministro segretario di stato per gli affari esteri signor marchese d'Azeglio a monsig. Antonucci Nunzio apostolico in Torino, al quale nel seguente giorno 26 di febbraio fu ufficialmente comunicato il progetto medesimo con nota del predetto sig. Ministro segnata ai 22 dello stesso mese. Quindi ancora venne significata la proposizione del medesimo progetto al sig. Card. Antonelli allora pro Segretario di stato con nota dei 4 marzo dal sig. marchese Spinola incaricato Sardo (Docum. n. XV). In queste due note (1) si pretendeva di rilevare la necessità, per cui il ministero dichiarava essere stato costretto a proporre quella legge, sia dall'esito infelice delle trattative ripetutamente riprese dal Governo colla santa Sede e sempre invano, sia dalla convenienza che il ministero medesimo prevenisse il parlamento nel prendere le iniziative su tale progetto, affine di poterne regolare la discussione. Di più era detto in quelle note che non ostante tale determinazione, niente si opponeva a che la santa Sede TRATTASSE COL GOVERNO DI SUA MAESTA UN ACCOMODAMENTO, PURCHE' LE TRATTATIVE fossero aperte in Torino e non altrove, e purchè fosse RICONOSCIUTA PER IMMUTABILE LA DECISIONE GIA PRESA DAL GOVERNO per essere STATA DETTATA dalla pura necessità. È inutile far notare quanto grande afflizione derivasse nell'animo del SANTO PADRE da cosiffatto attentato, anche perchè a tenore di ciò che non avevano avuto difficoltà i marchesi d'Azeglio e Spinola d'esprimere nelle loro note, e secondo che avea pubblicamente as

(1) Il contenuto di queste due note in sostanza è identico, perciò si è creduto per brevità do verne allegare fra i documenti una sola.

serito nelle camere il conte Siccardi, si accreditavano le voci che correvano in Piemonte tendenti a giustificare la proposizione di quella legge pei rifiuti della santa Sede ad un conveniente aggiustamento. Quindi tanto il Cardinale Antonelli (Docum. n. XVI.) quanto il Nunzio apostolico (Docum. n. XVII.) nelle proteste che spedirono in nome di SUA SANTITA' contro a quel progetto di legge, significarono che l'animo del SANTO PADRE era acerbissimamente addolorato dalle ingiurie che venivano recandosi alla Chiesa in Piemonte dall' epoca in cui era stata sancita la legge sulla stampa, e misero sotto gli occhi del Governo Torinese quanto a malgrado di ciò fosse stata verso di esso longanime e benigna la santa Sede, e come per parte degli stessi inviati Sardi fosse sempre provenuta l'inefficacia delle loro missioni. Di tali pontificie proteste fu poi data comunicazione a tutti i rappresentanti della santa Sede presso le corti estere. 45 Ma quando, ciò non ostante, quel progetto con alcune limitazioni fu approvato dalle camere legislative e fu sancito con reale decreto dei 9 aprile, allora il predetto Nunzio apostolico per comando ricevutone da SUA SANTITA', abbandonò Torino; e quindi in poi risultarono da quella legge tanti altri attentati ingiuriosissimi alla Chiesa, i quali bene spesso obbligarono la santa Sede a presentare nuovi altissimi reclami a quel Governo. Infatti il cardinale pro-Segretario di stato reclamò bentosto con due note ufficiali l' una dei 14 maggio (Docum. n. XVIII. ) e l'altra dei 26 giugno 1850 (Docum. n. XIX.) contro alle scandalose violenze fatte ai due arcivescovi di Torino e di Sassari, i quali per avere dettata alcuna norma provvisoria, con cui il loro clero dovesse regolarsi intorno alla menzionata legge sul foro ecclesiastico, erano stati giudicati e condannati dall'autorità laica come prevaricatori di reato di stampa e d'infrazione delle leggi dello stato. E reclamò in pari tempo solennemente anche lo stesso Pontefice giacchè avendo egli designato di tenere ai 20 di maggio un' allocuzione concistoriale all'occasione del suo fausto ritorno in Roma,

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