34 Di quelle pietre, che spesso moviensi Sotto i miei piedi per lo nuovo carco. Io gia pensando; e quei disse: "Tu pensi 31 Forse a questa rovina, ch' è guardata Da quell' ira bestial ch' io ora spensi. Or vuo' che sappi, che l' altra fiata Ch'io discesi quaggiù nel basso inferno, Questa roccia non era ancor cascata. Ma certo poco pria, se ben discerno, Che venisse Colui che la gran preda Levò a Dite del cerchio superno, Da tutte parti l' alta valle feda 37 E quel di mezzo, che al petto si mira, 70 È il gran Chirone, il qual nudri Achille: Quell' altro è Folo, che fu sì pien d'ira. D' intorno al fosso vanno a mille a mille, 73 Saettando quale anima si svelle Del sangue più che sua colpa sortille.' Noi ci appressammo a quelle fiere snelle: Chiron prese uno strale, e con la cocca 77 Fece la barba indietro alle mascelle. Quando s' ebbe scoperta la gran bocca, 79 Disse ai compagni: 'Siete voi accorti, Che quel di retro move ciò ch'ei tocca? Così non soglion fare i piè de' morti.' E il mio buon Duca, che già gli era al petto 82 40 43 Tremò si, ch' io pensai che l'universo Sentisse amor, per lo quale è chi creda Più volte il mondo in Caos converso: Ed in quel punto questa vecchia roccia Qui ed altrove tal fece riverso. Ma ficca gli occhi a valle; chè s'approccia La riviera del sangue, in la qual bolle 47 Qual che per violenza in altrui noccia.' O cieca cupidigia, e ria e folle, 49 52 58 Che si ci sproni nella vita corta, E nell' eterna poi sì mal c' immolle ! Io vidi un' ampia fossa in arco torta, Come quella che tutto il piano abbraccia, Secondo ch' avea detto la mia scorta : E tra il piè della ripa ed essa, in traccia 55 Correan Centauri armati di saette, Come solean nel mondo andare a caccia. Vedendoci calar ciascun ristette, E della schiera tre si dipartiro Con archi ed asticciuole prima elette : E l'un gridò da lungi : ' A qual martiro 61 Venite voi che scendete la costa ? Ditel costinci, se non, l'arco tiro.' Lo mio Maestro disse: 'La risposta Farem noi a Chiron costà di presso: Mal fu la voglia tua sempre si tosta.' Poi mi tentò, e disse: 'Quegli è Nesso, 67 Che mori per la bella Deianira, E fe' di sè la vendetta egli stesso: 64 Che ne dimostri là dove si guada, E il gran Centauro disse: 'Ei son tiranni Che dier nel sangue e nell' aver di piglio. Quivi si piangon li spietati danni : 106 115 Ricominciò a gridar: 'Perchè mi scerpi? Non hai tu spirto di pietate alcuno? Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi: 37 Ben dovrebb' esser la tua man più pia, Se state fossim' anime di serpi.' Come d' un stizzo verde, che arso sia Dall' un de' capi, che dall' altro geme, E cigola per vento che va via; Si della scheggia rotta usciva insieme 43 Parole e sangue: ond' io lasciai la cima Cadere, e stetti come l' uom che teme. 'S' egli avesse potuto creder prima,' 40 46 13 Piè con artigli, e pennuto il gran ventre: Fanno lamenti in su gli alberi strani. E'l buon Maestro: Prima che più entre, Sappi che se' nel secondo girone,' Mi cominciò a dire, 'e sarai, mentre Che tu verrai nell' orribil sabbione. Però riguarda bene, e sì vedrai Cose che torrien fede al mio sermone.' Io sentia da ogni parte traer guai, 17 19 22 E non vedea persona che il facesse ; Perch' io tutto smarrito m' arrestai. 98 Dal corpo, ond' ella stessa s' è disvelta, Minos la manda alla settima foce. Cade in la selva, e non l' è parte scelta; Ma là dove fortuna la balestra, Quivi germoglia come gran di spelta; Surge in vermena, ed in pianta silvestra: L' Arpie, pascendo poi delle sue foglie, Fanno dolore, ed al dolor finestra. Come l' altre verrem per nostre spoglie, Ma non però ch' alcuna sen rivesta: 104 Chè non è giusto aver ciò ch' uom si toglie. 102 Di nere cagne, bramose e correnti, Come veltri che uscisser di catena. In quel che s' appiattò miser li denti, 127 E quel dilaceraro a brano a brano; Poi sen portar quelle membra dolenti. Presemi allor la mia scorta per mano, 130 E menommi al cespuglio che piangea, Per le rotture sanguinenti, invano. 'O Jacomo,' dicea,' da sant' Andrea, 133 Che t' è giovato di me fare schermo? Che colpa ho io della tua vita rea?' Quando il Maestro fu sopr' esso fermo, 136 Disse: Chi fusti, che per tante punte Soffi con sangue doloroso sermo?' Ed egli a noi: O anime che giunte 139 Siete a veder lo strazio disonesto Ch' ha le mie fronde si da me disgiunte, Raccoglietele al piè del tristo cesto : Io fui della città che nel Batista Mutò'l primo padrone: ond' ei per questo Sempre con l'arte sua la farà trista: 145 E se non fosse che in sul passo d' Arno Rimane ancor di lui alcuna vista ; Quei cittadin, che poi la rifondarno Sopra il cener che d' Attila rimase, Avrebber fatto lavorare indarno. Io fei giubbetto a me delle mie case.' CANTO DECIMOQUARTO. Poichè la carità del natio loco 142 148 151 O vendetta di Dio, quanto tu dei 16 19 Che piangean tutte assai miseramente, E parea posta lor diversa legge. Supin giaceva in terra alcuna gente; 22 Alcuna si sedea tutta raccolta, Ed altra andava continuamente. Quella che giva intorno era più molta, 25 E quella men che giaceva al tormento, Ma più al duolo avea la lingua sciolta. Sopra tutto il sabbion d' un cader lento 28 Piovean di foco dilatate falde, Come di neve in alpe senza vento. Quali Alessandro in quelle parti calde 31 D' India vide sopra lo suo stuolo Fiamme cadere infino a terra salde; Perch' ei provvide a scalpitar lo suolo 34 Con le sue schiere, acciocchè il vapore Me' si stingeva mentre ch' era solo: Tale scendeva l' eternale ardore ; 37 Delle misere mani, or quindi or quinci Iscotendo da sè l' arsura fresca. Io cominciai: 'Maestro, tu che vinci 43 Chi è quel grande, che non par che curi 46 49 Ch' io domandava il mio duca di lui, Gridò: Qual io fui vivo, tal son morto. Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui 52 O s'egli stanchi gli altri a muta a muta 55 Si com' ei fece alla pugna di Flegra, 58 61 Tanto, ch' io non l' avea si forte udito: 'O Capaneo, in ciò che non s'ammorza Che parton poi tra lor le peccatrici, Tal per l'arena giù sen giva quello. Lo fondo suo ed ambo le pendici Fatt' eran pietra, e i margini da lato : Perch' io m' accorsi che il passo era lici. "Tra tutto l'altro ch'io t'ho dimostrato, 85 Posciaché noi entrammo per la porta Lo cui sogliare a nessuno è negato, Cosa non fu dagli tuoi occhi scorta Notabil come lo presente rio, 88 118 Ciascuna parte, fuor che l' oro, è rotta 112 121 125 130 Flegetonta e Letè, chè dell' un taci, El' altro di' che si fa d' esta piova?' 'In tutte tue question certo mi piaci,' 133 Rispose; 'ma il bollor dell' acqua rossa Dovea ben solver l' una che tu faci. Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, 136 Là dove vanno l' anime a lavarsi Quando la colpa pentuta è rimossa.' Poi disse: 'Omai è tempo da scostarsi 139 Dal bosco fa che diretro a me vegne : Li margini fan via, che non son arsi, E sopra loro ogni vapor si spegne.' CANTO DECIMOQUINTO. 142 Per andar par di lui: ma il capo chino Tenea, come uom che reverente vada. Ei cominciò: 'Qual fortuna o destino 46 Anzi l' ultimo di quaggiù ti mena? E chi è questi che mostra il cammino?' 'Là su di sopra in la vita serena,' Rispos' io lui, 'mi smarri' in una valle, 49 52 Avanti che l' età mia fosse piena. Pure ier mattina le volsi le spalle : Questi m' apparve, tornand' io in quella, E riducemi a ca per questo calle.' Ed egli a me: 'Se tu segui tua stella, 55 Non puoi fallire al glorioso porto, Se ben m' accorsi nella vita bella: E s' io non fossi sì per tempo morto, Veggendo il cielo a te così benigno, Dato t' avrei all' opera conforto. 58 |