94 Cominciò ei, 'figliuol, fu senza amore, O naturale, o d' animo; e tu il sai. Lo natural è sempre senza errore; Mal'altro puote errar per malo obbietto, O per poco, o per troppo di vigore. Mentre ch' egli è ne' primi ben diretto, 97 E ne' secondi sè stesso misura, Esser non può cagion di mal diletto; Ma quando al mal si torce, o con più cura O con men che non dee corre nel bene, 101 Contra il fattore adopra sua fattura. 130 Che corre al ben con ordine corrotto. Ciascun confusamente un bene apprende, Nel qual si queti l' animo, e disira: 128 Perchè di giugner lui ciascun contende. Se lento amore in lui veder vi tira, O a lui acquistar, questa cornice, Dopo giusto penter, ve ne martira. Altro ben è che non fa l' uom felice; 133 Non è felicità, non è la buona Essenza, d'ogni buon frutto e radice. L'amor ch' ad esso troppo s' abbandona, Di sopra noi si piange per tre cerchi; 137 Ma come tripartito si ragiona, Tacciolo, acciocchè tu per te ne cerchi,' 139 Dentro da sè, che di fuor non venia Cosa che fosse allor da lei recetta. Poi piovve dentro all' alta fantasia Un crocifisso dispettoso e fiero Nella sua vista, e cotal si moria Intorno ad esso era il grande Assuero, 28 Ester sua sposa e il giusto Mardocheo, Che fu al dire ed al far così intero. E come questa imagine rompeo Sè per sè stessa, a guisa d' una bulla Cui manca l'acqua sotto qual si feo; Surse in mia visione una fanciulla, 31 34 Piangendo forte, e diceva: 'O regina, Perchè per ira hai voluto esser nulla? Ancisa t' hai per non perder Lavina; 37 Or m' hai perduta; io son essa che lutto, Madre, alla tua pria ch' all'altrui ruina.' Come si frange il sonno, ove di butto 40 Nuova luce percote il viso chiuso, Che fratto guizza pria che moia tutto; Così l'immaginar mio cadde giuso, Tosto ch' un lume il volto mi percosse, Maggiore assai che quel ch' è in nostr' uso. 43 Ma come al sol, che nostra vista grava, 52 Via d' andar su ne drizza senza prego, 55 58 Che quale aspetta prego, e l' uopo vede, Malignamente già si mette al nego. Ora accordiamo a tanto invito il piede: 61 Procacciam di salir pria che s' abbui, Chè poi non si poría, se il dì non riede.' Così disse il mio Duca, ed io con lui 64 Volgemmo i nostri passi ad una scala ; E tosto ch' io al primo grado fui, Senti' mi presso quasi un mover d' ala, 67 E ventarmi nel viso, e dir: 'Beati Pacifici, che son senza ira mala.' Già eran sopra noi tanto levati Gli ultimi raggi che la notte segue, Che le stelle apparivan da più lati. 'O virtù mia, perchè sì ti dilegue ?' Fra me stesso dicea, chè mi sentiva La possa delle gambe posta in tregue. Noi eravam dove più non saliva 70 73 76 La scala su, ed eravamo affissi, Pur come nave ch' alla piaggia arriva : Ed io attesi un poco s' io udissi : 79 Alcuna cosa nel nuovo girone; Poi mi volsi al Maestro mio, e dissi : 'Dolce mio Padre, di', quale offensione 82 Si purga qui nel giro dove semo? Se i piè si stanno, non stea tuo sermone.' Ed egli a me: 'L'amor del bene, scemo Di suo dover, quiritta si ristora, Qui si ribatte il mal tardato remo: Ma perchè più aperto intendi ancora, Volgi la mente a me, e prenderai Alcun buon frutto di nostra dimora. Nè creator, nè creatura mai,' 86 88 91 94 Cominciò ei, 'figliuol, fu senza amore, O naturale, o d' animo; e tu il sai. Lo natural è sempre senza errore ; Mal'altro puote errar per malo obbietto, O per poco, o per troppo di vigore. Mentre ch' egli è ne' primi ben diretto, 97 E ne' secondi sè stesso misura, Esser non può cagion di mal diletto; Ma quando al mal si torce, o con più cura O con men che non dee corre nel bene, 101 Contra il fattore adopra sua fattura. 130 Che corre al ben con ordine corrotto. Ciascun confusamente un bene apprende, Nel qual si queti l' animo, e disira: 128 Perchè di giugner lui ciascun contende. Se lento amore in lui veder vi tira, O a lui acquistar, questa cornice, Dopo giusto penter, ve ne martira. Altro ben è che non fa l' uom felice; 133 Non è felicità, non è la buona Essenza, d' ogni buon frutto e radice. L'amor ch' ad esso troppo s' abbandona, Di sopra noi si piange per tre cerchi; 137 Ma come tripartito si ragiona, Tacciolo, acciocchè tu per te ne cerchi.' 139 E l'anima non va con altro piede, Ogni forma sustanzial, che setta 49 52 55 62 Però, là onde vegna lo intelletto 70 Per quel ch' io vidi, di color venendo Cui buon volere e giusto amor cavalca. Tosto fur sopra noi, perchè correndo Si movea tutta quella turba magna; E due dinanzi gridavan piangendo: 'Maria corse con fretta alla montagna;' 100 E, 'Cesare, per soggiogare Ilerda, Punse Marsilia, e poi corse in Ispagna.' 118 Ed un di quegli spirti disse: 'Vieni Diretro a noi, e troverai la buca. Noi siam di voglia a moverci si pieni, 115 Che ristar non potem; però perdona, Se villania nostra giustizia tieni. Io fui Abate in san Zeno a Verona, Sotto lo imperio del buon Barbarossa, Di cui dolente ancor Milan ragiona. E tale ha già l' un piè dentro la fossa, 121 Che tosto piangerà quel monasterő, E tristo fia d' averne avuto possa; Perchè suo figlio, mal del corpo intero, 124 E della mente peggio, e che mal nacque, Ha posto in loco di suo pastor vero.' Io non so se più disse, o s' ei si tacque, 127 Tant' era già di là da noi trascorso; Ma questo intesi, e ritener mi piacque. E quei che m' era ad ogni uopo soccorso Disse: Volgiti in qua, vedine due 131 Venire, dando all' accidia di morso.' Diretro a tutti dicean: 'Prima fue 133 139 Morta la gente a cui il mar s' aperse, Che vedesse Jordan le erede sue;' E,Quella che l' affanno non sofferse 136 Fino alla fine col figliuol d' Anchise, Sè stessa a vita senza gloria offerse.' Poi quando fur da noi tanto divise Quell'ombre, che veder più non potersi, Nuovo pensiero dentro a me si mise, Del qual più altri nacquero e diversi ; 142 E tanto d' uno in altro vaneggiai, Che gli occhi per vaghezza ricopersi, E il pensamento in sogno trasmutai. CANTO DECIMONONO. Nell' ora che non può il calor diurno Intepidar più il freddo della luna, Vinto da terra o talor da Saturno; 145 4 ΙΟ Quando i geomanti lor maggior fortuna 13 22 Da lei avrei mio intento rivolto. 'Io son,' cantava, io son dolce Sirena, 19 Che i marinari in mezzo mar dismago; Tanto son di piacere a sentir piena. Io volsi Ulisse del suo cammin vago Al canto mio; e qual meco si ausa Rado sen parte, si tutto l' appago.' Ancor non era sua bocca richiusa, Quando una donna apparve santa e presta 25 Lunghesso me per far colei confusa. 'O Virgilio, o Virgilio, chi è questa?' 28 Fieramente diceva; ed ei venia Con gli occhi fitti pure in quella onesta. L'altra prendeva, e dinanzi l' apria 31 Fendendo i drappi, e mostravami il ventre; Quel mi svegliò col puzzo che n' uscia. Io volsi gli occhi al buon Maestro: 'Almen tre 34 37 40 Voci t' ho messe,' dicea: 'surgi e vieni, Troviam la porta per la qual tu entre.' Su mi levai, e tutti eran già pieni Dell' alto di i giron del sacro monte, Ed andavam col sol nuovo alle reni. Seguendo lui, portava la mia fronte Come colui che l' ha di pensier carca, Che fa di sè un mezzo arco di ponte; Quand' io udi': 'Venite, qui si varca,' 43 Parlare in modo soave e benigno, Qual non si sente in questa mortal marca. Con l' ali aperte che parean di cigno, 46 Volseci in su colui che sì parlonne, Tra' due pareti del duro macigno. Mosse le penne poi e ventilonne, Qui lugent affermando esser beati, Ch' avran di consolar l' anime donne. 49 |