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Che mi fu tolta, e il modo ancor m' offende.

Amor, che a nullo amato amar perdona,

Mi prese del costui piacer si forte, 104 Che, come vedi, ancor non mi abbandona. Amor condusse noi ad una morte :" 106 Caino attende chi vita ci spense.' Queste parole da lor ci fur porte. Da che io intesi quelle anime offense, 109 Chinai 'l viso, e tanto il tenni basso, Finchè il poeta mi disse: Che pense?' Quando risposi, cominciai: 'O lasso, 112 Quanti dolci pensier, quanto disio Menò costoro al doloroso passo!' Poi mi rivolsi a loro, e parla' io,

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E cominciai: 'Francesca, i tuoi martiri Al lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri, 118 A che e come concedette amore, Che conoscesti i dubbiosi desiri ?'

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Mi veggio intorno, come ch' io mi mova, E ch' io mi volga, e come ch' io mi guati. Io sono al terzo cerchio della piova Eterna, maledetta, fredda e greve : Regola e qualità mai non l' è nuova. Grandine grossa, e acqua tinta, e neve 10 Per l'aer tenebroso si riversa: Pute la terra che questo riceve. Cerbero, fiera crudele e diversa, Con tre gole caninamente latra Sopra la gente che quivi è sommersa. Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra, 16 E il ventre largo, e unghiate le mani; Graffia gli spiriti, ingoia, ed isquatra. Urlar gli fa la pioggia come cani :

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Dell' un de' lati fanno all'altro schermo; Volgonsi spesso i miseri profani. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,22 Le bocche aperse, e mostrocci le sanne: Non avea membro che tenesse fermo.

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Che, s' altra è maggio, nulla è si spia-
cente.'

Ed egli a me: 'La tua città, ch'è piena 49
D' invidia si che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco :
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco;
Ed io anima trista non son sola,

Chè tutte queste a simil pena stanno
Per simil colpa :' e più non fe' parola.
Io gli risposi : 'Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa si che a lagrimar m' invita :
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
Li cittadin della città partita ?

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Ed io a lui: Ancor vo' che m' insegni,
E che di più parlar mi facci dono.
Farinata e Tegghiaio, che fur si degni, 79
Jacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca,
E gli altriche a ben far poser gl' ingegni,
Dimmi ove sono, e fa ch' io li conosca ; 82
Chè gran disio mi stringe di sapere,
Se il ciel gli addolcia o lo inferno gli
attosca.'

E quegli Ei son tra le anime più nere;
Diversa colpa giù li grava al fondo: 86
Se tanto scendi, li potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo, 88
Pregoti che alla mente altrui mi rechi:
Più non ti dico e più non ti rispondo.'
Gli diritti occhi torse allora in biechi: 91
Guardommi un poco, e poi chinò la testa:
Cadde con essa a par degli altri ciechi.
E il duca disse a me: Più non si desta 94
Di
qua dal suon dell' angelica tromba;
Quando verrà la nimica podesta,
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba,'
Si trapassammo per sozza mistura
Dell' ombre e della pioggia a passi lenti,
Toccando un poco la vita futura:
Perch' io dissi: 'Maestro, esti tormenti 103
Cresceranno ei dopo la gran sentenza,
O fien minori, o saran sì cocenti?'
Ed egli a me: 'Ritorna a tua scienza, 106
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
Più senta il bene, e così la doglienza,
Tuttochè questa gente maledetta

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In vera perfezion giammai non vada, Di là, più che di qua, essere aspetta.' Noi aggirammo a tondo quella strada, 112 Parlando più assai ch' io non ridico: Venimmo al punto dove si digrada: Quivi trovammo Pluto il gran nimico. 115

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CANTO SETTIMO.

'Pape Satan, pape Satan aleppe,' Cominciò Pluto colla voce chioccia. E quel Savio gentil, che tutto seppe

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Ed egli a me : Vano pensiero aduni: 52
La sconoscente vita che i fe' sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni;
In eterno verranno alli due cozzi;
Questi risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro 58
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa :
Qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
De' ben, che son commessi alla Fortuna,
Perchè l' umana gente si rabbuffa.
Chè tutto l' oro ch'è sotto la luna,

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Similemente agli splendor mondani Ordinò general ministra e duce, Che permutasse a tempo li ben vani, Di gente in gente e d'uno in altro sangue, Oltre la difension de' senni umani: Perchè una gente impera, e l'altra langue, Seguendo lo giudizio di costei, 83 Che è occulto, come in erba l' angue. Vostro saper non ha contrasto a lei : 85 Questa provvede, giudica e persegue Suo regno, come il loro gli altri Dei. Le sue permutazion non hanno triegue: 88 Necessità la fa esser veloce,

Si spesso vien chi vicenda consegue. Quest' è colei ch' è tanto posta in croce Pur da color che le dovrian dar lode, 92 Dandole biasmo a torto e mala voce. Ma ella s'è beata, e ciò non ode: Con l'altre prime creature lieta

Volve sua spera, e beata si gode.

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Or discendiamo omai a maggior pieta: 97 Già ogni stella cade, che saliva

Quando mi mossi, e il troppo star si vieta.'

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Vidi genti fangose in quel pantano, Ignude tutte e con sembiante offeso. Questi si percotean non pur con mano 112 Ma con la testa col petto e co' piedi, Troncandosi coi denti a brano a brano. Lo buon Maestro disse: Figlio, or vedi L' anime di color cui vinse l'ira : 116 Ed anche vo' che tu per certo credi, Che sotto l'acqua ha gente che sospira, 118 E fanno pullular quest'acqua al summo, Come l'occhio ti dice, u' che s' aggira. Fitti nel limo dicon: "Tristi fummo 121 Nell' aer dolce che dal sol s' allegra, Portando dentro accidioso fummo: Or ci attristiam nella belletta negra." 124 Quest' inno si gorgoglian nella strozza, Che dir nol posson con parola integra.' Cosi girammo della lorda pozza

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Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo, Con gli occhi volti a chi del fango ingozza: Venimmo al piè d' una torre al dassezzo.

CANTO OTTAVO.

Io dico seguitando, ch' assai prima

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Che noi fussimo al piè dell' alta torre, Gli occhi nostri n' andar suso alla cima,

Per due fiammette che i' vedemmo porre, 4 E un' altra da lungi render cenno Tanto ch' a pena il potea l'occhio torre. Ed io mi volsi al mar di tutto il senno; 7 Dissi: Questo che dice? e che risponde Quell' altro foco? e chi son quei che il fenno?'

Ed egli a me: 'Su per le sucide onde ΙΟ Già puoi scorger quello che s' aspetta, Se il fummo del pantan nol ti nasconde.'

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Secando se ne va l'antica prora Dell' acqua più che non suol con altrui Mentre noi corravam la morta gora, Dinanzi mi si fece un pien di fango, E disse: 'Chi se' tu che vieni anzi ora?' Ed io a lui: 'S' io vegno, non rimango ; 34 Ma tu chi se', che sei sì fatto brutto?' Rispose: Vedi che son un che piango.' Ed io a lui: Con piangere e con lutto, 37 Spirito maledetto, ti rimani :

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Benedetta colei che in te s' incinse. Quei fu al mondo persona orgogliosa; 46 Bontà non è che sua memoria fregi : Così s'è l'ombra sua qui furiosa. Quanti si tengon or lassù gran regi, Che qui staranno come porci in brago, Di sè lasciando orribili dispregi!' Ed io: Maestro, molto sarei vago Di vederlo attuffare in questa broda, Prima che noi uscissimo del lago.' Ed egli a me: 'Avanti che la proda Ti si lasci veder, tu sarai sazio : Di tal disio converrà che tu goda.' Dopo ciò poco vidi quello strazio Far di costui alle fangose genti, Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio,

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