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da pensare; i quali dicono monto per molto. Se adunque i Bolognesi dall' una e dall'altra parte pigliano, come è detto, ragionevole cosa ci pare che il loro parlare, per la mescolanza degli oppositi, rimanga di laudabile suavità temperato: il che per giudizio nostro senza dubbio esser crediamo. Vero è che se quelli, che prepongono il vulgare sermone dei Bolognesi, nel compararlo hanno considerazione solamente ai vulgari delle città d'Italia, volentieri ci concordiamo con loro; ma se stimano simplicemente il volgare bolognese essere da preferire, siamo da essi dissenzienti e discordi; perciò che egli non è quello che noi chiamiamo cortigiano ed illustre; che s'el fosse quello, il massimo Guido Guinicelli, Guido Ghisliero, Fabrizio, ed Onesto, ed altri poeti non sariano mai partiti da esso; perciò che furono dottori illustri, e di piena intelligenza nelle cose volgari.

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а

Madonna, il fermo core. »

Lo mio lontano gire.

Più non attendo il tuo soccorso, Amore. »

Le quali parole sono in tutto diverse dalle proprie bolognesi. Ora perchè noi non crediamo che alcuno dubiti di quelle città che sono poste nelle estremità d'Italia; e se alcuno pur dubita, non lo stimiamo degno della nostra soluzione; però poco ci resta nella discussione da dire. Laonde disiando di deporre il crivello, acciocchè tosto veggiamo quello che in esso è rimaso; dico che Trento, e Turino, ed Alesssandria sono città tanto propinque ai termini d'Italia, che non ponno avere pura loquela; talchè se così come hanno bruttissimo volgare, così l'avessero bellissimo, ancora negherei esso essere veramente italiano per la mescolanza che ha degli altri. E però se cerchiamo il parlare italiano illustre, quello che cerchiamo non, si può in esse città ritrovare.

CAPUT XVI.

De excellentia vulgaris eloquentiæ, et quod communis
est omnibus Italicis.

Postquam venati saltus et pascua sumus Italiæ, nec panteram, quam sequimur, adinvenimus; ut ipsam reperire possimus, rationabilius investigemus de illa, ut solerti studio redolentem ubique, et ubique' apparentem, nostris penitus irretiamus tendiculis. Resumentes igitur venabula nostra, dicimus quod in omni genere rerum unum oportet esse, quo generis illius omnia comparentur et ponderentur: et illinc aliorum omnium mensuram accipiamus. Sicut in numero cuncta mensurantur uno, et plura, vel pauciora dicuntur, secundum quod distant ab uno, vel ei propinquant; et sic in coloribus omnes albo mensurantur; nam visibiles magis dicuntur et minus, secundum quod accedunt, vel recedunt. Et quemadmodum de iis dicimus, quæ quantitatem et qualitatem ostendunt, de prædicamentorum quolibet, et de substantia posse dici putamus; scilicet quod unumquodque mensurabile sit in genere illo, secundum id quod simplicissimum est in ipso genere. Quapropter in actionibus nostris, quantumcumque dividantur in species, hoc signum inveniri oportet, quo et ipsæ mensurentur; nam in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illas intelligamus; nam secundum ipsam bonum et malum hominem judicamus: in quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus in quantum ut homines latini agimus, quædam habemus simplicissima signa, idest morum et habituum et locutionis, quibus latinæ actiones ponderantur, et mensurantur. Quæ quidem nobilissima sunt earum, quæ latinorum sunt, actionum, hæc nullius civitatis Italiæ propria sunt, sed in omnibus communia sunt inter quæ nunc potest discerni vulgare, quod

1 Varii testi invece di ubique hanno nec; ma il professor Witte propone di leggere nec usquam.

CAPITOLO XVI.

Dello eccellente parlar volgare, il quale è comune
a tutti gli Italiani.

Dappoi che avemo cercato per tutti i salti e pascoli d'Italia, e non avemo quella pantera, che cerchiamo, trovata; per potere essa meglio trovare, con più ragione investighiamola; acciò che quella, che in ogni luogo si sente, e in ogni parle appare, con sollecito studio nelle nostre reti totalmente inviluppiamo. Ripigliando adunque i nostri istrumenti da cacciare dicemo, che in ogni genere di cose è di bisogno che una ve ne sia, con la quale lutte le cose di quel medesimo genere si abbiano a comparare e ponderare, e quindi la misura di tutte le altre pigliare. Come nel numero tutte le cose si hanno a misurare con l'unità; e diconsi più e meno, secondo che da essa unità sono più lontane, o più ad essa propinque; e così nei colori tutti si hanno a misurare col bianco; e diconsi più o meno visibili, secondo che a lui più vicini, e da lui più distanti si sono. E si come di questi che mostrano quantità e qualità diciamo, parimente di ciascuno dei predicamenti e della sustanzia pensiamo potersi dire; cioè che ogni cosa si può misurare in quel genere con quella cosa, che è in esso genere semplicissima. Laonde nelle nostre azioni, in quantunque specie si dividano, si bisogna ritrovare questo segno, col quale esse si abbiano a misurare; perciò che in quello che facciamo come semplicemente uomini, avemo la virtù, per la quale generalmente intendemo; perciò che secondo essa giudichiamo l'uomo buono e cattivo; in quello poi che facciamo, come uomini cittadini, avemo la legge, secondo la quale si dice buono e cattivo cittadino; così in quello, che come uomini italiani facciamo, avemo certi segni semplicissimi, cioè de' costumi, degli abiti e del parlare, coi quali le azioni italiane si hanno a misurare e ponderare. Adunque quelle delle azioni italiane sono obilissime, che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono comuni in tutte; tra le quali ora si può discernere, il vol

superius venabamur, quod in qualibet redolet civitate, nec cubat in ulla. Potest tamen magis in una quam in alia redolere, sicut simplicissima substantiarum, quæ Deus est, qui in homine magis redolet, quam in bruto: in animali, quam in planta in hac, quam in minera: in hac, quam in igne:1 in igne, quam in terra. Et simplicissima quantitas, quod est unum, in impari numero redolet magis quam in pari; et simplicissimus color, qui albus est, magis in citrino quam in viridi redolet. Itaque adepti quod quærebamus, dicimus illustre, cardinale, aulicum, et curiale vulgare in Latio, quod omnis latiæ civitatis est, et nullius esse videtur, et quo municipalia vulgaria omnia latinorum mensurantur, ponderantur, et comparantur.

CAPUT XVII.

Quare hoc idioma illustre vocetur.

Quare autem hoc quod repertum est illustre, cardinale, aulicum, et curiale adjicientes, vocemus, nunc disponendum est; per quod clarius ipsum quod ipsum est faciemus patere. Primum igitur quid intendimus, cum illustre adjicimus, et quare illustre dicimus, denudemus. Per hoc quidquid illustre dicimus, intelligimus quid illuminans, et illuminatum præfulget. Et hoc modo viros appellamus illustres, vel quia potestate illuminati, alios et justitia et caritate illuminant, vel quia excellenter magistrati excellenter magistrent, ut Seneca et Numa Pompilius. Et vulgare, de quo loquimur, et sublimatum est

1 Le stampe ed i codici, invece di quam in igne, lezione proposta dal Torri, e ch'io pure ho adottata, leggono quam in cœlo. In tutto questo periodo (osserva giustamente il prelodato annotatore) Dante procede per gradazione decrescente a mostrare, che Dio si manifesta meno nel soggetto susseguente che nell' antecedente. Ora, come potrebbe dirsi che Dio risplende più nelle miniere che nel cielo? 11 Trissino infatti s'accorse

dell' assurdo, ed a cansarlo tradusse cælum per elementi. Il Torri pertanto, conformandosi alla concatenazione del periodo, prese il soggetto ignis dal membretto susseguente, o lo sostituì a cœlum dell' antecedente. Ma (quantunque io abbia adottato la proposta lezione) debbo dire, che neppur col vocabolo sostituito si rende appieno esatta nella frase susseguente, magis in igne quam in ter ra, la gradazione decrescente.

gare, che di sopra cercavamo, essere quello, che in ciascuna città appare, e che in niuna ripos■. Può ben più in una, che in un'altra apparere, come fa la semplicissima delle sustanzie, che è Dio, il quale più appare nell' uomo che nelle bestie e che nelle piante, e più in queste che nelle miniere, ed in esse più che nel foco, e più nel foco che nella terra. E la semplicissima quantità, che è uno, più appare nel numero dispari che nel pari; ed il semplicissimo colore, che è il bianco, più appare nel citrino1 che nel verde. Adunque ritrovato quello che cercavamo, dicemo, che il volgare illustre, cardinale, aulico e cortigiano in Italia è quello, il quale è di tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna, col quale i volgari di tutte le città d'Italia si hanno a misurare, ponderare e comparare.

2

CAPITOLO XVII.

Perchè questo parlare si chiami illustre.

Perchè adunque a questo ritrovato parlare aggiungendo illustre, cardinale, aulico e cortigiano, così lo chiamiamo, al presente diremo; per il che più chiaramente faremo parere quello, che esso è. Primamente adunque dimostriamo quello che intendiamo di fare, quando vi aggiungiamo illustre, e perchè illustre il nominiamo. Per questo noi il dicemo illustre, che illuminante ed illuminato risplende. Ed a questo modo nominiamo gli uomini illustri, ovvero perchè illuminati di potenzia sogliono con giustizia e carità gli altri illuminare, ovvero perchè eccellentemente ammaestrati, eccellentemente ammaestrano, come fe Seneca e Numa Pompilio. Ed il volgare di cui

1 citrino, cioè color di cedro, color d'arancia.

2 Le voci aulicum et curiale son tradotte dal Trissino aulico e cortigiano; ma se aulicum può tradursi per aulico ovvero per cortigiano, queste due voci

non suonando che lo stesso, non può tradursi curiale per cortigiano, ma bensi per curiale, cioè linguaggio della Curia, o del Foro, quia curialitas nil aliud est, quam librata regula eorum, quæ peragenda sunt, cap. XVIII.

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