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dicit. Deinde in iis, quæ dicenda occurrunt, debemus discretione potiri, utrum tragice, sive comice, sive elegiace sint canenda. Per tragoediam, superiorem stilum induimus, per comœdiam inferiorem, per elegiam stilum intelligimus miserorum.' Si tragice canenda videntur, tunc adsumendum est vulgare illustre, et per consequens cantionem ligare. Si vero comice, tunc quandoque mediocre, quandoque humile vulgare sumatur; et ejus discretionem in quarto hujus reservamus ostendere. Si autem elegiace, solum humile nos oportet sumere. Sed omittamus alios, et nunc, ut conveniens est, de stilo tragico pertractemus. Stilo equidem tragico tunc uti videmur, quando cum gravitate sententiæ, tam superbia carminum, quam constructionis elatio, et excellentia vocabulorum concordat. Sed quia, si bene recolimus, summa summis esse digna jam fuit probatum, et iste, quem tragicum appellamus, summus videtur esse stilorum, illa que summe canenda distinximus, isto solo sunt stilo canenda; videlicet, salus, amor et virtus, et quæ propter ea concipimus, dum nullo accidente vilescant. Caveat ergo quilibet, et discernat ea, quæ dicimus; et quando tria hæc pure cantare intendit, vel quæ ad ea directe et pure sequuntur, prius Helicone potatus, tensis fidibus adsumat secure plectrum, et cum more incipiat. Sed cantionem, atque discretionem hanc, sicut decet, facere, hoc opus et labor est; quoniam nunquam sine strenuitate ingenii, et artis assiduitate, scientiarumque habitu fieri potest. Et ii sunt, quos poeta Æneidorum sexto, dilectos Dei, et ab ardente virtute sublimatos ad æthera, deorumque filios vocat, quamquam figurate loquatur. Et ideo confiteatur eorum stultitia, qui arte, scientiaque im

1 Una dottrina affatto simile intor- te anco nella sua Epistola a Cane no alle varietà dello stile espose Dan

Scaligero.

Dappoi nelle cose, che ci occorrono a dire, devemo usare divisione, considerando se sono da cantarsi o con modo tragico, o comico, o elegiaco. Per la tragedia intendemo lo stile superiore, per la comedia lo inferiore, per l'elegia quello dei miseri. Se le cose che ci occorrono, pare che siano da essere cantate col modo tragico, allora è da pigliare il volgare illustre, e conseguentemente da legare la canzone; ma se sono da cantarsi con comico, si piglia alcuna volta il volgare mediocre, ed alcuna volta l'umile; la divisione dei quali nel quarto di quest'opera ci riserviamo a mostrare. Se poi con elegiaco, bisogna che solamente pigliamo l'umile. Ma lasciamo gli altri da parte, ed ora (come è il dovere) trattiamo dello stilo tragico. Appare certamente, che noi usiamo lo stilo tragico, quando colla gravità delle sentenzie, la superbia dei versi, la elevazione delle costruzioni, e la eccellenzia dei vocaboli si concorda insieme. Ma perchè (se ben ci ricordiamo) già è provato, che le cose somme sono degne delle somme, e questo stilo che chiamiamo tragico, pare essere il sommo dei stili; però quelle cose che avemo già distinte doversi sommamente cantare, sono da essere in questo solo slilo cantate; cioè la salute, lo amore e la virtù, e quelle altre cose, che per cagion di esse sono nella mente nostra concepute, pur che per niun accidente non siano fatte vili. Guardisi adunque ciascuno, e discerna quello che dicemo; e quando vuole queste tre cose puramente cantare, ovvero quelle che ad esse tre dirittamente e puramente seguono, prima bevendo nel fonte di Elicona, ponga sicuramente all'accordata lira il sommo plettro, e costumatamente cominci. Ma a fare questa can zone e questa divisione come si dee, qui è la difficultà, qui è la fatica; perciò che mai senza acume d'ingegno, nè senza assiduità d'arte, nè senza abito di scienza non si potrà fare. E questi sono quelli che'l poeta nel VI della Eneide chiama diletti da Dio, e dalla ardente virtù alzati al cielo, e figliuoli degli dei, avvegna che figuratamente parli. E però si confessi la sciocchezza di coloro, i quali senza arte, e senza scienzia, con

1

1 La frase del testo tensis fidibus alsumat sicure plectrum non è ben resa dal Trissino, che traduce: ponga

sicuramente all' accordata lira il sommo plettro; perciocchè significa: tese le corde, assuma francamente il plettro.

munes, de solo ingenio confidentes, ad summa summe canenda prorumpunt; a tanta prosuntuositate desistant, et si anseres naturali desidia sunt, nolint astripetam aquilam imitari.

CAPUT V.

De compositione versuum et varietate eorum per syllabas.

De gravitate sententiarum vel satis dixisse videmur, vel saltem totum, quod operis est nostri. Quapropter ad superbiam carminum festinemus; circa quod sciendum est, quod prædecessores nostri diversis carminibus usi sunt in cantionibus suis, quod et moderni faciunt: sed nullum adhuc invenimus carmen in syllabicando endecasyllabum transcendisse, nec a trisyllabo descendisse. Et licet trisyllabo carmine atque endecasyllabo, et omnibus intermediis cantores Latii usi sint, pentasyllabum, et eptasyllabum, et endecasillabum in usu frequentiori habentur et post hæc trisyllabum ante alia; quorum omnium endecasyllabum videtur esse superbius, tam temporis occupatione, quam capacitate sententiæ, constructionis, et vocabulorum; quorum omnium speciositas magis multiplicatur in illo, ut manifeste apparet; nam ubicumque ponderosa multiplicantur, et pondus. Et omnes hoc doctores perpendisse videntur, cantiones illustres incipientes ab illo, ut Gerardus de Bornello: Ara auziretz encabalitz chantars.2 »

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Quod carmen licet decasyllabum videatur, secundum rei veritatem, endecasyllabum est; nam duæ consonantes extremæ non sunt de syllaba præcedente. Et licet propriam vocalem non habeant, virtutem syllabæ non tamen amittunt. Signum autem est, quod rithmus ibi una vocali perficitur, quod esse non posset, nisi virtute alterius ibi subintellectæ.

1 et pondus, sottintendi, multiplica

tur.

2 Ora udirete perfezionali cantari (canti).

fidandosi solamente nel loro ingegno, si pongono a cantar sommamente le cose somme. Adunque cessino questi tali da tanta loro presunzione; e se per la loro naturale desidia sono oche, non vogliano l'aquila, che altamente vola, imitare.

CAPITOLO V

Della qualità e varietà dei versi e delle canzoni.

A noi pare di aver delto della gravità delle sentenzie abbastanza, o almeno tutto quello che all'opera nostra si richiede: il perchè ci affretleremo di andare alla superbia dei versi. Circa i quali è da sapere, che i nostri precessori hanno nelle loro canzoni usato varie sorte di versi, il che fanno parimente i moderni; ma in sin qui niuno verso ritroviamo, che sia oltre la undecima sillaba trapassato, nè sotto la lerza disceso. Ed avvegna che i poeti italiani abbiano usate tutte le sorte di versi, che sono da tre sillabe fino a undici, nondimeno il verso di cinque sillabe, e quello di sette, e quello di undici sono in uso più frequente; e dopo loro si usa il trisillabo più degli altri; degli quali tutli quello di undici sillabe pare essere il superiore sì di occupazione di tempo, come di capacità di sentenzie, di costruzioni e di vocaboli ; la bellezza delle quali cose tutte si mollipiica in esso, come manifestamente appare, perciò che ovunque sono moltiplicate le cose che pesano, si moltiplica parimente il peso. E questo pare che tutti i dottori abbiano conosciuto, avendo le loro illustri canzoni principiate da esso; come Gerardo di Bornello:

a Ara auziretz encabalitz chantars. »

Il qual verso avvegna che paia di dieci sillabe, è però, secondo la verità della cosa, di undici; perciò che le due ultime consonanti non sono della sillába precedente. Ed avvegna che non abbiano propria vocale, non perdono però la virtù della sillaba; ed il segno è, che ivi la rima si fornisce con una vocale; il che essere non può se non per virtù dell' altra che ivi si sottinlende.

Rex Navarriæ: 1

α

De fin Amor si vient sen et bonté. »

Ubi si consideretur accentus, et ejus causa, endecasyllabum esse constabit.

Guido Guinizelli :

Al cuor gentil ripara sempre Amore.

Judex de Columnis de Messina: 2

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Et licet hoc endecasyllabum celeberrimum carmen, ut dictum est, videatur omnium aliorum, si eptasyllabi aliqualem societatem assumat, dummodo principatum obtineat, clarius magisque sursum superbire videtur; sed hoc ulterius elucidandum remaneat. Et dicimus eptasyllabum sequi illud, quod maximum est in celebritate. Post hoc pentasyllabum et deinde trysillabum ordinamus. Enneasyllabum vero, quia triplicatum trisyllabum videbatur, vel numquam in honore fuit, vel propter fastidium obsoluit; parisyllabos vero propter sui ruditatem non utimur, nisi raro ; retinent enim naturam suorum numerorum, qui numeris imparibus, quemadmodum materia formæ, subsistunt. Et sic recolligentes prædicta, endecasyllabum videtur esse superbissimum carmen ; et hoc est quod quɛerebamus. Nunc autem restat investigandum de constructionibus

Il re di Navarra Tebaldo, citato anco al cap. IX del libro I. Ivi vedi la traduzione del verso.

2 de Messina, più rettamente in un Codice leggesi de Messana.

3 È la canzone di Dante posta nel Canzoniere col num. XII.

Invece di enneasyllabum, nella edizione fiorentina, dice il Torri, for. se per errore tipografico, è scritto endecasyllabum. Ma anco qui (come pure altrove, nè starò a farne parole) questo errore non esiste.

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