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volte era compiuto in quel centinaio, nel quale in questo mondo ella fu posta; ed ella fu de' Cristiani del terzodecimo centi

1 Beatrice mori il 9 giugno del 1290: era nata nell'aprile del 1266: dunque visse 24 anni e 2 mesi. Ciò si conferma da Dante pure nella Com. media, Purg., canto XXX, v. 124, ove pone in bocca di Beatrice le seguenti parole:

« Si tosto come in su la soglia fui

Di mia seconda etade, e muti vita,
Questi si tolse a me ec. »

Secondo il sistema di Dante (e l'ho detto più sopra) l'umana vita si divide in quattro parti, la prima delle quali, l'adolescenza, dura per intino al venticinquesimo anno. Or è chiaro che le surriferite frasi non altro vengono a dire, se non che Beatrice mutò la temporale nell'eterna vita quand'ella era presso a compire la prima età ed entrare nella seconda, insomma quand'ella era ne' venticinque anni: e così discuopresi maggiormente la verità della narrazione del giovin Poeta.

nove

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Un'altra cosa vogliamo qui osservare, ed è questa: Dante nel proce dimento del presente libretto va notando il nove qual numero fatale nei suoi amori con Beatrice : Nove fiate appresso 'l mio nascimento — Dal principio del suo nono anno Erano compiti li nove anni L'ora era fermamente nona- Fu la prima ora delle nove ultime· Non sofferse stare se non in sul Mera apparita nella nona ora del di Io dico che nel nono giorno ec. Anzi più sopra abbiamo veduto, come il Biscioni tenga Beatrice per un ente intellettuale, particolarmente per questo, che Dante la credè un numero nove, cioè un miracolo della santissima Trinità: Questa donna fu accompagnata dal numero nove a dare ad intendere ch' ella era un nove, cioè un miracolo, la cui radice è solamente la mirabile Trinitade (vale a dire il tre). Or io pertanto dirò che Dante medesimo, appresso il racconto della morte della sua amata, dà la spiegazione del perchè cotesto numero le fosse tanto simpatico. Egli adunque dice che quando Beatrice venne al mondo, tutti e nove i mobili cieli, congiunti insieme, piovvero sopra di lei i loro benefici influssi. E questa idea la ripetè nella ballata VIII e nel sonetto XXXIX:

Ciascuna stella negli occhi mi piove
Della sua luce e della sua virtude....
Così di tutti e sette si dipinge. »

Ecco adunque che dando la ragione del miracolo, Dante istesso fa disparire il miracolo; e così si rimane di nessuna efficacia quel grande argomento del Biscioni e de' suoi seguaci. Non dovrà poi far maraviglia cotesta puerile e a bello studio cercata coincidenza del numero nove. L'astrologia giudiziaria formava parte degli studii e dell'istruzione di quel tempo: ond'è che l'alta mente di Dante, imbevuta dall'adolescenza dei pregiu dizii del secolo, non seppe affatto liberarsene, e così pagò un tributo all'umana credulità. Anche il Petrarca volle trovare una coincidenza nella morte di Laura, dicendo che essa mori lo stesso mese, lo stesso giorno, la stessa orá, nella quale era la prima volta apparsa davanti a' suoi occhi.

naio. Dunque la prima ora del nono giorno del giugno 1290 fu l'estrema per colei, che destò nel petto di Dante i primi palpiti dell'amore. Nella Commedia altresì (Purg., canto XXXII, v. 1) dicendo il Poeta che fisamente guardava Beatrice, adopra le frasi seguenti:

Tanto eran gli occhi mici fisi ed attenti

A disbramarsi la decenne sele,

Che gli altri sensi m' eran tutti spenti.

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Or chi non vede che quella voce decenne accenna il lasso dei dieci anni dalla morte di Beatrice decorsi fin a quel punto, nel quale Dante finge di rivederla su nella vetta del Purgatorio, che fu nell' aprile del 1300? Oltre di questo, se nel Convito manifesta Ï' Autore (siccome ho già detto) d' aver composta l'operetta sua prima, quando per anco non erasi dato agli studii scientifici; se manifesta che ad essi applicossi alcun tempo appresso la morte della Portinari, e se nell'ultimo paragrafo della Vita Nuova racconta che lì faceva fine a quell'opera, poichè, essendosi determinato a parlare di Beatrice in un modo più degno, erasi dato a studiare quanto poteva non avremo noi chiaro e sicuro il fine del 1291, o il principio del 1292, quando l'Alighieri stava su' ventisette anni? Or bene (interrogherammi il lettore) tuttociò essendo evidente e verissimo, come sta che in quel periodo del Convito, da cotesto Interpetre addotto, dice l'Alighieri d'avere scritto la Vita Nuova, dinanzi (o innanzi) l' entrata di sua gioventù, che è quanto dire, innanzi l' anno venticinquesimo? Oh qui sì (risponderò io) che tutti gli addebiti dal Biscioni dati al Boccaccio potranno giustamente rivolgersi ad esso il critico! Oh qui sì che ad esso il critico, e non già al criticato, si vedrann appartenere gli anacronismi, i falsamenti e le stravolte interpretazioni! Dante, nel passo da cui il Biscioni ha tolto coteste parole, dopo aver nominate per ordine le sue due opere in prosa italiana (dapprima la Vita Nuova e poscia il Convito) prosegue dicendo: ed io in quella dinanzi, all'entrata di mia gioventute parlai, e in questa dipoi, quella già trapassata. Fa egli forse d'uopo della dottrina di Prisciano per rilevare che gli avverbii dinanzi e dipoi appartengono, non già alle parole che loro susseguono, ma sibbene a quelle che loro precedono? Fa egli forse di mestieri dell' acutezza d'Eustazio per interpetrare che significhino quelle frasi, e per intendere come per esse dice Dante avere scritta la Vita Nuova in sull'entrare della sua gioventù, e d'aver dettato il Convito nella etade, che alla gioventù viene appresso, cioè nella virilità?

ma il

Vero the va errato il Boccaccio nel riferire che Dante nella età provetta vergognassesi molto d'avere scritto l'amatorio libro della Vita Nuova, dappoichè veggiamo che l' autore stesso ne fa grata ricordanza in altra sua opera; volere, come pretende il Biscioni, che ella sia, siccome il Convito, di virili (cioè filosofici) pensieri tutta quanta ripiena, è errore forse più gratuito e più strano di quello del certaldese. E le parole di Dante nell'introduzione al Convito quella (la Vita Nuova) fervida e passionata, questa (il Convito) temperata e virile essere si conviene a chiare note lo dicono, essendochè per la distinzione assoluta e decisa, che in esse racchiudesi, viene a manifestarci l'autore di aver da giovane scritta la Vita Nuova con modo e intorno argomento tutt' affatto differente da quello dell' opera ch'egli aveva allora fra mano; sì perchè (egli dice) altro si conviene e dire e operare ad un' etade che ad altra; sì perchè (egli prosegue) certi costumi (ed il lettore consideri bene questo vocabolo) sono idonei e laudabili ad un' etade, che sono ad altra sconci e biasimevoli. E qui notar debbo come il Biscioni, sostenendo l'identità dell'argomento di queste due opere, e riportando il paragrafo di Dante, che incomincia: Se nella presente opera, la quale è nominata Convito ec., maliziosamente tralascia le parole da me ora addotte, che dello stesso paragrafo fanno parte, e che chiaramente palesano l'assurdità della sua asserzione.

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Che dirò poi di quel bizzarro trovato, che Dante colle sue opere intendesse rappresentare le tre principali età dell' uomo? Dirò, che le opinioni, qualunque elle siano, hanno tanto più d'uopo di dimostrazioni e di prove, quanto meno si appoggiano sulle verità già comprovate ed antiche: e rinviando il lettore a ciò che dissi nel § VII della mia dissertazion sul Convito, ove contro un seguace dell' opinion Biscioniana tenni non lungo discorso, dirò altresì che l'unico argomento dal Biscioni portato in campo a sostegno della propria opinione, nulla vale e nulla conchiude, poichè a tutt'altro che a un disegno sistematico egli appare d'aver relazione. E se di questo visionario interpetre volessi un momento prendermi giuoco, non potrei io concedergli tutto, unendomi seco ad asserire che la Vita Nuova, il Convito e la Divina Commedia rappresentino l'adolescenza, la virilità e la senettù, con le qualità proprie di quelle, e secondo questo principio conchiudere e dirgli: Come dunque la Vita Nuova, che rappresentar dee l'adolescenza e le proprie sue qualità, vorrà esprimere, sic

1 Nel Convito, Tratt. 1, cap I verso la fine.
Pag. XVIII.

come voi dite, virili e filosofici concetti, e non piuttosto parlare d'amore, ch'è la passione propria di quell' età ?

Curioso poi ne torna il vedere, com' egli in appoggio delle proprie opinioni citi bene spesso de' passi, che fann' anzi contro di esse. Dopo avere dapprima insinuato, che le donne di Dante sono in sostanza una sola ed identica, cioè la sapienza, viene a dirci dappoi che desse son due, la filosofia morale cioè, e la scienza delle cose divine: la riprova e dimostrazione di ciò deducesi, secondo lui, dal noto dialogo fra Dante e Beatrice là nel canto XXV del Purgatorio, del quale ho fatto io pure qualche parola più sopra, e del quale ei riporta parecchi ternarii. E i ternarii da lui riportati racchiudendo le note frasi: Quando di carne a spirto era salita ec. ec., le quali danno chiaro a vedere che la Beatrice che quivi ragiona è colei, delle cui corporali bellezze fu innamorato il poeta, e contenendo un aspro e severo rimprovero per l'amore quasi del tutto da esso obliato, mostrano il difetto de' suoi sillogismi, e distruggono i suoi deboli e vacillanti argomenti. Come infatti la sapienza divina potrebbe a Dante rimproverare d'aver dato opera alla morale filosofia, o scienza umana, se più chiamare si voglia, che pur da essa divina trae origine, e immediatamente procede? Non mi valse il richiamarti al diritto sentiero colle ispirazioni e co' sogni, ella rimprovera a Dante: tanto ti abbandonasti al tuo accecamento, che per ritrartene mi fu d'uopo mostrarti i castighi delle genti perdute. Nè qui solo s'arresta; ma: Dimmi, dimmi, ella prosegue (Canto XXXI), se questo, di che io ti rimprovero, sia vero: tanta accusa conviene esser congiunta alla tua confessione, ec. ec. E Dante, confuso e pauroso, a voce bassa risponde di sì: quindi dopo la tratta d'un amaro sospiro, esclama piangendo: Le cose caduche di questa terra col falso loro piacere trassero a sè li miei passi, appenachè il vostro bel viso si nascose per morte. Tutto questo, e il molto più che nel dialogo si discorre, e il dirvisi che l'Alighieri dandosi in preda ad altri amori avea seguito fallaci immagini di bene che non rendono intera alcuna promessa, e la esortazione al Poeta a mostrarsi un' altra volta più forte nell'udir le sirene ingannevoli, nè a porsi altrimenti d' attorno a giovinette o ad altre vanitadi, le quali han sì brev'uso, può egli veramente dirsi il linguaggio della scienza divina, che a Dante rimproveri l' essersi tolto da lei coll' aversi dato alle umane discipline, quasichè fosse delitto l' applicarvisi, e l'uno studio non sia piuttosto scala a quell'altro? Veda adunque il lettore a che adduce una critica superficiale e imperfetta.

1 Pag. XXXV e XXXVI,

Manifesta l'Alighieri nel Convito che a togliere ogni falsa opinione, per la quale fosse sospettato il suo amore essere per sensibile dilettazione, aveasi posto a dichiarare i vocaboli, le frasi e i concetti nelle sue filosofiche Canzoni contenuti. E il Biscioni, avvistato quel passo, e legatolo coll'altro della Vita Nuova, nel quale l'autor medesimo confessa che pesavagli duramente il parlare che alcuni del suo amore facevano oltra i termini della cortesia, dice al solito che queste due opere hanno insiem tra di loro una stretta corrispondenza, ed al solito esclama: Chi non vede che Dante vuole che Beatrice non fosse creduta donna vera, com' egli prevedeva dover seguire? Io però ne' passi indicati non so punto vedere quella corrispondenza e quel legame che il Biscioni vi scorge. E se il primo parla dicendo che l'amore, nel Convito descritto, non era di sensuale dilettazione (e in ciò non v'è principio di dubbio), l' altro della Vita Nuova parla non meno chiaro, esponendo come Dante a celar l'amor suo per Beatrice, forse allora maritata a Simone de' Bardi, mostravasi tanto preso d' un' altra femmina, che molta gente ne ragio nava oltra i termini della cortesia : lo che dando all' Alighieri, come quegli ch' amava per gentilezza di cuore, voce e fama d'amatore vizioso, pesavagli duramente. Anzi io dico all' opposto, che se la femmina del Convito è la filosofia, 3 se l'amore per essa è lo studio, se il senso è il core, 5 se il riso, gli occhi ec. sono le sue persuasioni e dimostrazioni ec., e se tutto questo ripetutamente l'Alighieri fa noto e dispiega al lettore; e perchè non fec' egli altrettanto nella Vita Nuova, candidamente dicendo e dichiarando, che gli amori in questo libro descritti non doveano intendersi alla lettera, ma che si stavano a rappresentare de' simboli?

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Un anno appresso la morte di Beatrice, Dante incominciò a innamorarsi di un' altra gentile donzella, giovane, bella e savia, principalmente per questo, che gli si mostrava pietosa nella sua tribolazione. Ond' è che due contrarii pensieri faceano battaglia nell'animo suo; l'uno, del primo amore per Beatrice già morta; l'altro, d'un nuovo affetto per codesta gentile. Ed il Monti opinò che sotto la figura d'una tal nuova femmina, Dante rappresentasse la filosofia, pel grande amor della quale andava dimenticando l'amore di Beatrice, emble

1 Tratt. III, cap. 3.

2 La feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltra li termini delia cortesia, ec.

3 Tratt. II, cap. 13, 16; Tratt. III, cap. 11, ed altrove. Tratt. III, cap. 12. 5 Tratt. 1, cap. 7.

7 Vila Nuova, poco innanzi la fine.

6 Tratt. III, cap. 15.

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