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solo i cristiani ma anche i giudei ed i filosofi, ed in generale tutti coloro che sollevandosi in una sfera superiore all'ambiente gretto e servile ch'egli erasi creato intorno a sè, gli davano sospetto. Per questo imperatore, che sopratutto era geloso della sua dignità e quindi dell'ufficio suo di pontefice massimo e di divo (1) doveva naturalmente sembrare un atto di ribellione la muta protesta dei cristiani che negavano il saluto al suo tempio (2). Pare storicamente accertato che la causa occasionale della persecuzione fu il sospetto dell'imperatore contro Flavio Clemente suo congiunto da cui temeva di essere tradito. Certo è che Flavio Clemente e Flavia Domitilla furono accusati di ateismo e di costumi ebraici e furono uccisi, quantunque congiunti dell'imperatore. E la persecuzione fu quindi estesa ai cristiani che accusati degli stessi delitti vennero in gran numero suppliziati (3). Ad ogni modo anche sotto Domiziano la persecuzione non è ancora veramente diretta contro il cristianesimo come società religiosa, poichè oltre all'essere occasionata da un fatto speciale, colpisce i cristiani siccome colpevoli di delitti non come facenti parte di un nuovo sodalizio religioso.

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14) L'assunzione di Nerva all'Impero segna un periodo di sosta nella persecuzione ed inizia una serie di buoni imperatori; ma è notevole però che dopo Nerva e precisamente sotto gli ottimi suoi successori la persecuzione ricomincia ed è diretta non più soltanto contro i cristianí come supposti rei di delitti comuni, ma veramente come facenti parte della nuova società religiosa. La ragione della persecuzione in sostanza è una sola intendevasi cioè punire il cristianesimo come atto di rivolta contro la autorità imperiale. Ma questa rivolta si considerava sotto un

(1) SVETONIO, in Domiziano, 13; DIONE CASSIO, loc. cit., LXVII, 13; PLINIO, Paneg., XI; EUSEBIO, Cron., Anno VI di Dom.

(2) MINUCCIO FELICE, Octavio, VIII. APULEIO, De Magia, LXVI. PLINIO, Naturalis Historia, XVIII, 2; TERTULLIANO, Apol., II. (3) È dubbio se Flavio Clemente e Flavia Domitilla fossero veramente cristiani. BARONIO, Ad annum 96; FLEURY, II, 52; BERCASTEL, II, 292; Doellinger, I, 1, 5, opinano per l'affermativa. Per Domitilla le probabilità sono maggiori sebbene anch'essa secondo SVETONIO e DIONE CASSIO fosse solo accusata di costumi ebraici. È notevole il silenzio di TERTULLIANO nell'Apologeticon a questo proposito. Si può anche consultare EUSEBIO, Cron., loc. cit.; GIORGIO SINCELLO, Cronografia, p. 650, nel Corpus Hist. Bizantinae; RENAN, Les Evangiles, XII.

duplice aspetto. I cristiani si rifiutavano di invocare gli Dei dello Stato, ed era questo un atto di rivolta contro la potestà religiosa dell'imperatore. Gli antonini, romani, tendevano sopratutto a consolidare la potenza romana, e ogni atto che fosse contrario all'esercizio di questa potestà doveva necessariamente essere impedito e represso. Ciò spiega il perchè Traiano, ottimo regnante, pure abbia riconosciuta la necessità di punire i cristiani. La mitezza dell'animo suo lo rese indulgente per quanto glie lo permetteva la ragione di Stato, ma pur tuttavia, accertata la qualità di cristiano, ordinò che quegli che si ostinasse dovesse essere punito (1).

Un altro aspetto che assunse la persecuzione legale si fu la

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(1) La persecuzione legale sotto Traiano e la sua mitezza sono provate dalla corrispondenza che egli ebbe con Plinio il giovane, governatore della Bitinia e del Ponto. E utile riferire intieramente le due lettere, le quali oltre al chiarire la posizione giuridica creata dai cristiani servono pure a dare un'idea della grande estensione assunta a quest'epoca dal cristianesimo: « 1. Caius Plinius Traiano imperatori. Solemne est mihi, Domine, omnia, de quibus dubito, ad te referre. Quis enim potest melius vel cunctactionem meam regere, vel ignorantiam instruere? Cognitionibus de christianis interfui nunquam: ideo nescio, quid et quatenus aut puniri soleat, aut quaeri. 2. Nec mediocriter haesitavi, silne aliquod discrimen aetatum, an quamlibet teneri nihil a robustioribus differant: deturne poenitentiae venia, an ei, qui omnino christianus fuit, desit non prosit: nomen ipsum etiam si flagitiis careat, an flagitia cohaerentia nomini puniantur. Interim in iis, qui ad me tanquam christianos deferebantur, hunc sum secutus modum. 3. Interrogavi ipsos AN ESSENT CHRISTIANI? Confitentes iterum ac tertio interrogavi, supplicium minatus: perseverantes duci jussi. Neque enim dubitabam, qualecumque esset, quod fateretur, pervicaciam certe, et inflexibilem obstinationem debere puniri. - 4. Fuerunt alii similis amentiae; quos quia cives romani erant, adnotavi in urbem remittendos. Mox ipso tractatu, ut fieri solet, diffundente se crimine, plures species inciderunt. — 5. Propositus est libellus sine auctore, multorum nomina continens, qui negarent se esse christianos aut fuisse. Quum praesunte me, Deos appellarent, et imagini tuae quam propter hoc jusseram cum simulacris numinum afferri, thure ac vino supplicarent, praeterea maledicerent Christo; quorum nihil cogi posse dicuntur, qui sunt revera christiani: ergo dimettendos putavi. 6. Alii ah indice nominati, esse se christianos dixerunt et, mox negaverunt: fuisse quidem; sed desiisse, quidam ante trennium, quidam ante plures annos, non nemo etiam ante viginti quoque. Omnes et imaginem tuam, deorumque simulacro venerati sunt: ii et Christo maledixerunt. 7. Affirmabant autem, hanc fuisse summam vel culpae suae, vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire, carmenque Christo quasi deo, dicere secum invicem, seque sacramento non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta, ne latro

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punizione dei cristiani come contravventori alle leggi relative alle associazioni. Secondo il Diritto romano non era riconosciuto nei cittadini il diritto di riunirsi ed associarsi quale è attualmente ammesso dalle legislazioni liberali moderne. La proibizione risale all'epoca del diritto decemvirale e si afferma anche nell'epoca più fiorente della Repubblica per giungere allo scioglimento di tutte le corporazioni, tranne alcune specialmente determinate, ordinato da Giulio Cesare (1). Questo sistema fu naturalmente ed anzi con maggior rigore seguito dagli imperatori, la cui autorità dispotica doveva certo diffidare maggiormente delle associazioni. Augusto infatti le proibì tutte ad eccezione dei Collegî funeratizi, i quali solo furono dichiarati collegi leciti (collegia licita),

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cinia, ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum appellati abnegarent: quibus peractis morem sibi discendendi fuisse, rursusque coëundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen, et innoxium: quod ipsum facere desiisse post edictum meum, quo secundum mandata tua haeterias esse cetueram. 8. Quo magis necessarium credidi, ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri et per tormenta quaerere. Sed nihil aliud inveni, quam superstitionem pravam et immodicam, ideoque, dilata cognitione ad consulendum te decurri. 9 Visa est enim mihi res digna consultatione, maxime propter pereclitatium numerum. Multi enim omnis aetatis, omnis ordinis, utriusque sexus etiam, vocantur in periculum, et vocabantur. Neque enim, civitates tantum, sed vicos etiam atque agros superstitioni istius contagio pervagala est: quae videtur sisti et corrigi posse. 10. Certe satis constat, prope jam desolata templa coepisse celebrari, et sacra solemnia diu intermissa repeti: passimque venire victimas, quarum adhuc rarissimus emtor inveniebatur. Ex quo facile est opinari, quae turba hominum emendari possit si sit poenitentiae locus ».

A questa lettera di Plinio rispondeva l'imperatore:

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« 1. Trajanus Plinio S.: Actum, quem debuisti. mi Secunde, in excutiendis caussis eorum, qui christiani ad te delati fuerant, secutus es. Neque enim in universum aliquid, quod quasi certam formam habeat, constitui potest. 2. Conquirendi non sunt: si deferantur et arguantur, puniendi sunt, ita tamen, ut, qui negaverit se christianum esse, idque re ipsa manifestum fecerit, id est, supplicando dii nostris, quamvis suspectus in praeteritum fuerit, veniam ex poenitentia impetret. Sine auctore vero propositi libelli, nullo crimine locum habere debent. Nam et pessimi exempli, nec nostri saeculi est ». (1) Le leggi delle XII tavole proibivano le adunanze notturne: Sei quei endo urbe coitus nocturnos agitassit capital estod, IX, 6. Il CRIVELLUCCI, op. cit., I. p. 56, nel riferire la legislazione romana su questo argomento, accenna al Senatusconsultus del 690, che limitava la libertà di associazione, alla conferma di esso nel 699 colla Lex Licinia de sodalitiis e all'Editto di Giulio Cesare citato da SVETONIO di scioglimento delle corporazioni.

tutti gli altri proibiti (collegia illicita). Traiano, geloso dell'autorità imperiale e della potenza romana, che considerava come minacciata dalle associazioni tendenti a rompere l'unità, emanò egli pure un decreto contro i collegia illicita e più specialmente contro le associazioni che si formarono a somiglianza di certi sodalizi greci detti Εταιρείαι (1).

I cristiani venivano quindi ad essere legalmente colpiti da questa legge. E questo stato di cose continuò sotto Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio, che pure essendo ottimi imperatori perseguitarono sistematicamente i cristiani come facenti parte di associazioni proibite (2). Certo la persecuzione fu anche resa più grave per le antiche accuse che si rinnovavano contro i cristiani, ma è indubitato che mentre anteriormente si colpivano i cristiani come autori di delitti ordinarî, d'ora innanzi essi sono puniti veramente come cristiani, e la persecuzione diventa sistematica e legale. Malgrado la persecuzione però, la società cristiana, che a quest'epoca era già fortemente organizzata, non potè essere sciolta. Interrotta la persecuzione sotto Commodo, ricominciò sotto Settimio Severo dapprima tollerante, poi crudele con essi specialmente in Africa. Settimio Severo proibi espressamente di far proseliti tanto ai giudei che ai cristiani (3). Sotto l'Impero di Caracalla si ebbe una calma relativa (4) la quale durò pure sotto Alessandro Se

(1) Ciò risulta dalla stessa corrispondenza sovrariferita tra Traiano e Plinio nella quale quest'ultimo accenna alla innocuità delle adunanze dei cristiani, che pure l'Editto imperiale aveva proibito.

(2) La persecuzione sotto gli Antonini non fu però sempre ugualmente attiva. È notevole che si attribuisce ad Antonino un Edictum ad commune Asiae, nel quale Antonino avrebbe proibito che si inquietassero i cristiani. Questo editto però, riferito da Eusebio, nel quale il linguaggio è del tutto cristiano, si considera generalmente come apocrifo (HAENEL, De Edicto Anton. pro quaest.). A parte però l'autenticità di tale editto è certo che il GIUSTINO, Apolog., I. 69; TERTULLIANO, Apolog., cap. V; EUSEBIO, Historia, IV, 12, 13, 26, ritengono migliorata la condizione dei cristiani sotto questo imperatore. Sotto Marco Aurelio la persecuzione rincrudi e si citano le sue sdegnose parole che attribuivano a sola ostinazione (xarà fikův napáτağıv) l'eroismo dei martiri cristiani. Egli concesse bensì ai collegi il diritto di ricevere legati (Digesto, XXXVI, V, 20) ed altri drittil (Dig., XL, III, 1), ma questi favori furono limitati ai collegi leciti, come si deduce da altro frammento (Dig., XLVII, XXII, 1).

(3) Judaeos fieri sub gravi poena vetuit, idem etiam de christianis sanxit. SPARZIANO, in Settimio Severo e ERODIANO, Storie, Capo III; TERTULLIANO, Apolog., II, 35.

(4) Secondo SULPICIO SEVERO, Historia, II, dopo la persecuzione di Set

vero (1), Gordiano (turbata per poco sotto Massimino) e Filippo, essendo anzi quest'ultimo considerato dallo storico Eusebio come cristiano (2). Invece si inasprì la persecuzione con Decio, il quale pubblicò leggi severissime contro i cristiani cogli stessi intendimenti che avevano già guidato Traiano e i suoi successori immediati, a fine di ristabilire cioè la potenza imperiale romana (3). Fu sotto quest'imperatore che per timore dei supplizî molti cristiani si indussero all'apostasia bruciando incensi e sacrificando agli Dei pagani oppure facendosi rilasciare una dichiarazione di fede pagana. Perciò furono detti turificati, sacrificati, libellatici ed in genere lapsi (4).

Le apostasie ed i supplizî non avevano però diminuito il numero dei cristiani, poichè la Chiesa nel breve impero di Galieno acquistò terreno ed anzi, secondo taluni, sarebbe stata riconosciuta come religio licita, e avrebbe avuta la restituzione dei beni confiscati (5). Questo periodo di calma durò pure nel principio del regno di Aureliano, il quale, secondo il racconto di Eusebio, avrebbe pronunziato ad istanza degli stessi cristiani

timio Severo i cristiani sarebbero rimasti tranquilli per trentott'anni, è da notare però che una lettera di Tertuliano a Scapula proconsole di Africa, con cui lo si richiede di far cessare la persecuzione, dimostra come veramente la medesima continuasse.

(1) Mammea, madre di Alessandro, conobbe Origene ed andò ad ascoltarne le omilie (EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, VI, 21). È noto poi che Alessandro Severo aveva eretto un tempio nel quale pose l'imagine di Cristo e la venerò accanto a quella di Abramo, di Orfeo e di Apollonio Tianeo (LAMPRIDIO, in Alexandro Severo; GIBBON, History of the decline and fall of the Roman empire; RENAN, Église chrétienne, VI; Cfr. EPIFANIO, Adversus Haer., XXX.; ORIGENE, Contra Cels., III, 8). Più importante è un altro fatto verificatosi sotto Alessandro Severo. I cristiani avevano occupato in Trastevere un terreno di proprietà pubblica che pretendevano invece i popinarii. Alessandro Severo mantenne in quel possesso i cristiani pronunziando melius esse ut quomodocumque illic Deus colatur quam popinariis dedatur. LAMPRIDIO, loc. cit., 49.

(2) EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, VI, 34. Tale opinione però è considerata come infondata dal TILLEMONT, dal GIBBON, e da altri storici moderni. (3) EUSEBIO, Historia Ecclesiastica, VI, 39; CIPRIANO, Epist., XI.

(4) TERTULLIANO, De pudicitia, XII; EUSEBIO, Hist. Eccl., VI, 39, 42; LATTANZIO, De mort. persecut., IV; CIPRIANO, De lapsis et Episcopis illius temporis. (5) EUSEBIO, Historia Ecclesiasticu, VII, 13, dove si trova riferito l'editto attribuito a Galieno e mandato ad Alessandria. La stessa forma di questo editto però fa nascere sospetti giustificati intorno alla sua autenticità, tanto più che si annoverano in quest'epoca anche alcuni martiri. EUSEBIO, VII, 15, 16.

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