Scienze ed arti e facoltadi umane, E menti che fur mai, sono e saranno, Dottore, emendator, lascia, mi disse, I propri affetti tuoi. Di lor non_cura Questa virile età, vôlta ai severi Economici studi, e intenta il ciglio Nelle pubbliche cose. Il proprio petto Esplorar che ti val? Materia al canto Non cercar dentro te. Canta i bisogni Del secol nostro e la matura speme. Memorande sentenze! ond'io solenni Le risa alzai quando sonava il nome Della speranza al mio profano orecchio Quasi comica voce, o come un suono «Di lingua che dal latte si scompagni. Or torno addietro, ed al passato un corso Contrario imprendo, per non dubbi esempi Chiaro oggimai ch'al secol proprio vuolsi Non contraddir, non repugnar, se lode Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente Adulando ubbidir: così per breve Ed agiato cammin vassi alle stelle. Ond'io, degli astri desioso, al canto Del secolo i bisogni omai non penso Materia far; chè a quelli, ognor crescendo, Proveggono i mercanti e le officine Già largamente; ma la speme io certo Dirò, la speme, onde visibil pegno Già concedon gli Dei; già, della nova Felicità principio, ostenta il labbro De giovani, e la guancia, enorme il pelo. O salve, o segno salutare, o prima Luce della famosa età che sorge! Mira dinanzi a te come s'allegra La terra e il ciel, come sfavilla il guardo Delle donzelle, e per conviti e feste Qual de' barbati eroi fama già vola. Cresci, cresci alla patria, o maschia certo Moderna prole! All'ombra de' tuoi velli Italia crescerà, crescerà tutta Dalle foci del Tago all'Ellesponto Europa, e il mondo poserà sicuro. E tu comincia a salutar col riso Gl'ispidi genitori, o prole infante,
Eletta agli aurei dì: nè ti spauri L'innocuo nereggiar de'cari aspetti. Ridi, o tenera prole: a te serbato È di cotanto favellare il frutto; Veder gioia regnar, cittadi e ville, Vecchiezza, gioventù del par contente, E le barbe ondeggiar lunghe due spanne.
Quale in notte solinga,.
Sovra campagne inargentate ed acque, Là've zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti E ingannevoli obbietti Fingon l'ombre lontane Infra l'onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville; Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno Nell'infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo; Spariscon l'ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia, L'estremo albor della fuggente luce, Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;
Tal si dilegua, e tale
Lascia l'età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l'ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s'appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo, Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede Ch'a se l'umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato, Dove ogni ben di mille pene è frutto Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte, S'anco mezza la via
Lor non si desse in pria,
Della terribil morte assai più dura. D'intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta, Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene. Voi, collinette e piagge, Caduto lo splendor che all'occidente Inargentava della notte il velo, Orfane ancor gran tempo
Non resterete, chè dall'altra parte Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l'alba: Alla qual poscia seguitando il Sole, . E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi. Ma la vita mortal, poi che la bella Giovinezza sparì, non si colora
D'altra luce giammai, nè d'altra aurora. Vedova è insino al fine; ed alla notte Che l'altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
LA GINESTRA,
O IL FIORE DEL DESERTO.
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς.
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Qui su l'arida schiena Del formidabil monte Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore, Tuoi cespi solitari intorno spargi, Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade Che cingon la cittade
La qual fu donna de' mortali un tempo, E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto Faccian fede e ricordo al passeggero. Or ti riveggo in questo suol, di tristi Lochi e dal mondo abbandonati amantę E d'afflitte fortune ognor compagna. Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona; Dove s'annida e si contorce al Sole La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e cólti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose,
Che coi torrenti suoi l'altero monte Dall'ignea bocca fulminando oppresse Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi I danni altrui commiserando, al cielo Di dolcissimo odor mandi un profumo, Che il deserto consola. A queste piagge Venga colui che d'innalzar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto E il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme, Cui la dura nutrice, ov'ei men teme, Con lieve moto in un momento annulla In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive. Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti Abbandonasti, e vôlti addietro i passi, Del ritornar ti vanti,
E procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti, Di cui for sorte rea padre ti fece, Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra se. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra: E ben facil mi fôra
Imitar gli altri, e vaneggiando in prova, Farmi agli orecchi tuoi cantando accetto: Ma il disprezzo piuttosto che si serra Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto: Bench'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe. Di questo mal, che teco
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