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nome, o si domanda non come nome della persona, ma d

monumento. >>

Il Leopardi sentì presto l'alto suo mandato, e per quan fosse ebbro di poesia, non la stimava se non intendeva un fine civile. Egli scriveva a Francesco Puccinotti da B logna il 5 giugno 1826:

«...Andando dietro ai versi e alle frivolezze (io par qui generalmente), noi facciamo espresso servizio ai nos tiranni: perchè riduciamo a un giuoco o ad un passatem la letteratura; dalla quale sola potrebbe aver sodo princip la rigenerazione della nostra patria. >>

Il pensiero era il suo carnefice. Non s'è Prometeo un avvoltojo non ti divora le viscere. Egli scriveva al Gi dani 1'8 agosto 1817:

« ... L'altra cosa che mi fa infelice è il pensiero. Io cre che voi sappiate, ma spero che non abbiate provato, in c modo il pensiero possa cruciare e martirizzare una perso che pensi alquanto diversamente dagli altri, quando l' in balìa, voglio dire quando la persona non ha alcu svagamento e distrazione, o solamente lo studio, il qua perchè fissa la mente e la ritiene immobile, più nuoce quello che giovi. A me il pensiero ha dato per lunghissir tempo e dà tali martirj, per questo solo che m'ha avu sempre e m'ha intieramente in balìa (e vi ripeto, senz'alc desiderio) che m'ha pregiudicato evidentemente, e m'uc derà, se io prima non muterò condizione. »>

L'amore, come già dicemmo, non ebbe consolazioni Į lui; le ebbe un momento l'amicizia. Ne scriveva il 30 mi gio 1826 al fratello Carlo da Bologna:

« ... Sono entrato con una donna... (1) in una relazio che forma ora una gran parte della mia vita. Non è g vane, ma è di una grazia e di uno spirito che (credil me, che finora l'avevo creduto impossibile) supplisce a gioventù, e crea un'illusione maravigliosa. Nei primi gio che la conobbi, vissi in una specie di delirio e di febb Non abbiamo mai parlato di amore se non per ischer ma viviamo insieme in un'amicizia tenera e sensibile, un interesse scambievole, e un abbandono, che è come

(1) La Malvezzi.

amore senza inquietudine. Ha per me una stima altissima; se le leggo qualche mia cosa, spesso piange di cuore senz'affettazione; le lodi degli altri non hanno per me nessuna sostanza: le sue mi si convertono tutte in sangue, e mi restano tutte nell'anima. Ama ed intende molto le lettere e la filosofia; non ci manca mai materia di discorso, e quasi ogni sera io sono con lei dall'avemaria alla mezzanotte passata, e mi pare un momento. Ci confidiamo tutti i nostri secreti, ci riprendiamo, ci avvisiamo dei nostri difetti. In somma questa conoscenza forma e formerà un'epoca ben marcata della mia vita, perchè mi ha disingannato del disinganno, mi ha convinto che ci sono veramente al mondo dei piaceri che io credeva impossibili, e che io sono ancor capace d'illusioni stabili, malgrado la cognizione e l'assuefazione contraria così radicata, ed ha risuscitato il mio cuore, dopo un sonno anzi una morte completa, durata per tanti anni. »

Il Leopardi c'inizia egli stesso al segreto del suo modo di comporre. Egli scriveva al Melchiorri, il 5 marzo 1820: << Io non ho scritto in mia vita se non pochissime e brevi poesie. Nello scrivere non ho mai seguito altro che un'ispirazione o frenesia, sopraggiungendo la quale in due minuti io terminava il disegno e la distribuzione di tutto il componimento. Fatto questo, soglio sempre aspettare che mi torni un altro momento di vena: e tornandomi (che ordinariamente non succede se non di là a qualche mese) mi pongo allora a comporre: ma con tanta lentezza che non mi è possibile terminare una poesia, benchè brevissima, in men di due o tre settimane. Questo è il mio metodo, e se l'ispirazione non mi nasce, più facilmente caverebbesi acqua da un tronco, che un solo verso dal mio cervello: »

Questo luogo d'oro, direbbe il Vico, dimostra come il Leopardi fosse un artista perfetto. Aveva l'ispirazione e la finitezza. Scriveva come Dante e correggeva come il Petrarca. Di Dante già dissi che, al parer mio, i suoi concetti dovevano, secondo la trita frase, uscir belli e armati come Minerva dalla testa di Giove.

I modi della lirica sono molti e svariati come le indoli e i caratteri dei poeti. L'anima che ripiegandosi in sè stessa ed osservandosi o mossa da un impeto naturale di affetto,

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narra le proprie intuizioni o canta le sue passioni; è fonte inesauribile di poesia; onde tanti e sì diversi lin alla nostra memoria da Wordsworth a Tennyson, da G the a Heine, da Lamartine a Hugo, da Manzoni a L pardi. Il Leopardi come il Lenau è singolare dagli al per la profondità del dolore e la sincerità della dispe zione; ma se il bilicarsi sull'orlo della. follìa dà accenti I teneri e strazianti e fantasmi più potenti a Lenau, la i mezza di una ragione superiore dà al Leopardi sensi e in gini che, mentre sono alta poesia, sono altresì vera e gran filosofia.

Il Leopardi è così diletto ai migliori spiriti perchè n solo gli appaga con la beltà delle idee e dello stile, ma eccita, ed esplicando la loro potenza, fa che si sentan grandi e fecondi. Sono motivi musicali che danno l'abbri all'imaginazione. E assai bene disse in questo senso La Pollock: The poet who deals only in exact delineat soon tires the attention; the imagination must be rous to a perception of its own potentialities in order to joy the record of the poet's sensations. Without the qu lity of suggestiveness a man may be a good verse writ a sound thinker, but he cannot be a great poet.

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La novità che a molti pare sentire nel Leopardi fra altre ragioni massime, del suo ingegno smisurato, del s cuore potente di passioni compresse e del suo ideale gre ha la menoma del lieve studio che al presente si fa Petrarca. Ora chi l'ha in uso, vede di tratto come stile del Leopardi se ne informi tutto; - Non lo luc mai, talora ne trae qualche motto ed anche un intero ver ma ne ha tutto l'andare, tutta la vaghezza e lucentezza rena, e la maravigliosa soavità. - Ha poi la castità e licatezza dei concetti amorosi; e in lui un bacio chie dal morente e concesso dalla bella sua amata comm più che le febbrili voluttà dei poeti carnali. Meno si atti a Dante.

Il Leopardi è talora non meno poeta nelle sue prose ne' suoi versi, anzi nelle prose ha mostrato qualità che si caron meno nei versi. Nel Dialogo di Federigo Ruy e delle sue Mummie v'è l'umore di Swift e di Jean Pa nell'Elogio degli uccelli v'è tutto il giuoco della fanta

-

ledalea di Shakespeare. Certo fu scritto in un momento elice, quando la sua imaginativa spaziava libera nell'aere, ion tirata a terra dalla infermità e dal dolore.

Ingegno completo, gli si addirebbe quello ch'egli cita la Pope.

<< Pope dice che un grande autore può qualche volta rirearsi col comporre uno scritto giocoso; che generalmente li spiriti più sublimi non sono nemici dello scherzo; he il talento per la burla accompagna d'ordinario una ella imaginazione, ed è nei grandi ingegni, come sono pesso le vene di mercurio nelle miniere d'oro. >>

Francesco Ambrosoli, a cui erano famigliari le letteraure classiche e le moderne, in alcune postille notò i pregi ei Paralipomeni; B. Zumbini in una fina analisi della alinodia e dei Paralipomeni ha celebrato le bellezze che vi bbondano; ma osservò come il Leopardi per la natura del 10 ingegno e per la forza che gli faceva il suo modo di veere la vita ed il mondo, fosse men atto allo scherzo. Tutivia l'esservi spesso riuscito dimostrerebbe troppo assoluto giudizio del critico. Per usare la frase favorita di Vittor fugo, la sua ironia aveva più ombra che luce; con un o' più di bile si sarebbe accostato a Giovenale. Non sabbe mai stato Orazio.

Fu maestro nei metri, ora lasciandosi andare ai larghi anneggiamenti della canzone petrarchesca, ora al succinto elle sestine del Casti.

Parlando di due traduttori italiani della Batracomiomahia egli dice: Il Dolce e Giovanni da Falgano si servirono ella ottava rima; ma per le difficoltà che porta seco questo fetro, le quali probabilmente mi avrebbero obbligato a comorre piuttosto che tradurre o a servirmi di rime stiracchiate e io abborro come nemiche capitali della bellezza della besia e del piacere dei lettori lo abbandonai, e scelsi le estine endecasillabe, dei vantaggi delle quali, dopo l'uso licissimo che hanno fatto di loro parecchi poeti e sinlarmente l'abate Casti, non può più dubitarsi.

Al Casti arieggiò altresì nei Paralipomeni rispetto al fiarare il bene ed il male degli uomini negli animali. Se on che il Casti ebbe un bellissimo e fecondo ingegno, LEOPARDI. Poesie,

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ma non ebbe profondità od originalità di pensieri. I allegorizza e moralizza il triviale della vita e della polit - Il Leopardi si diparte sempre dal volgo e tramanda ora ad ora, anche ne' suoi scherzi, i raggi del suo spi altamente meditativo e filosofico.

Il suo umore si svelò ancora nelle burle che fece ai d è ai letterati così col Martirio come con l'inno a Nettu Ne scriveva al Giordani il 30 maggio 1817:

« ... Innamorato della poesia greca, volli fare come chelangelo che sotterrò il suo Cupido, e a chi dissotterr lo credea d'antico portò il braccio mancante. E mi sc dava che se egli era Michelangelo io sono Calandrino; trechè la stretta necessità d'imitare, o meglio di copiar di rimuovere dal componimento l'aria di robusto e origin perchè come un velo rado rado, anzi una rete soprapp all'imaginario testo, ne lasciasse vedere tutti i mus e i lineamenti, e in somma lo lasciasse pressochè nud fine d'ingannare; m'impastojò e rallentò per modo la mer che senza dubbio io ho fatto tutt'altro che poesia. »

La mordente ironia del Leopardi degnava talora sc dere contro gli uomini di lettere.

Notevole è che egli, giovanetto, s'inginocchiava ai fam e maturo mostrò farne lieve conto. Così vedemmo che pareva gettato il sale samosatense, onde il Monti sp geva le bazzecole filologiche; diceva che il Perticari era più un puro gramatico, giudizio che par troppo sever Reumont.

Del Cancellieri fa un ritratto da porlo tra i dolenti Dante affogò nello sterco. Giovanetto mostrava ammira ma quasi quasi non attribuirei a falso gusto sibbene una certa ironia quelle parole che il 6 aprile 1816 (a 18 a1 egli scriveva al grande erudito « La sua salute è prez Ella ne abbia tutta la cura possibile e rifletta che persona di gran corporatura è malata insieme con vale a dire la repubblica letteraria. »

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E che diremo di quell'ironia contro i tedeschi che rono i primi a indovinare e a celebrare il suo ingeg Anche del Niebuhr, suo primo fautore, parla in un lu non si sa bene se ammirativamente od ironicamente. Veramente pochi dovevano piacergli.

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