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INSCRIZIONI GRECHE TRIOPEE.

(1816)

ARGOMENTO DELLE INSCRIZIONI.

rode Attico oratore greco, maestro di M. Aurelio e console, perduta per morte glic Annia Regilla nobilissima donna romana, fe comporre e scolpire queste Iscrizioni. Nella prima s'invita le dee Minerva e Nemesi ad onorare della preloro un ricinto sepolcrale che era in un borgo detto Triopio da Triope re , caro, come dicevano, a Cerere, situato al terzo segno della via Appia, in campagna già posseduta da Regilla. Con minacce terribili dell'ira de' Numi divieto a chi che sia di guastare il santo luogo per sotterrarvi cadaveri; se on fossero di chi scese dalla famiglia di Erode, cui non si disdice riposare il sacro ricinto. Nella seconda si chiama le donne romane al tempio delle Cereri, cioè dell'antica e della nuova, che è la seconda Faustina, fatto innalda Erode nel Triopio; si celebra la morta Regilla, la cui statua sacra alle due era nello stesso tempio; si discorre le lodi del marito, e gli onori conceduti defunta e ad un suo piccolo figlio da Giove e M. Aurelio, per la misericordia sventure di Erode vecchio vedovo ed orbo di due figli.

INSCRIZIONE I.

Veneranda Tritonide che sopra
Atene sei, tu che d'ognun che vive,
Opi Ramnusia Dea, riguardi ogni opra,
Vicino a Roma centi-porte, o dive,
Questo onorate ospital borgo ancora
Di Triope, quel da le contrade argive.
Diranvi in Ciel Triopee. Sì come allora.
Che da' tetti del padre altisonante

Giste in Atene e in Ramno a far dimora,
Venite a questa vigna, a queste piante
Coperte di racemi; ite de' prati
Sopra la chioma molle verdeggiante,
Itene tra le spighe. A voi sacrati
Ha questi campi Erode: e'nel futuro
Appo chi seguiranne inviolati

Fien tutti, quanti ne corona il muro Che lor s'aggira intorno. A la sua'nchiesta Scosso ha Palla de l'elmo il crine scuro,

Ed assentito ha con l'eterna testa:
Perchè non sia chi di qua sasso toglia
O toglia gleba, che vendetta è presta.
Chi templi violò fia che si doglia.
Vicini udite, udite agricoltori,

Che cruccio de le Parche non v'incoglia.
E sacro il loco, immobili e d'onori
Degne le Dive sono e ad udir pronte.
Lungi da questi campi o zappatori.

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Non osate alla vigna arrecar onte:

A sfar l'antica o far tomba novella
Alcun non sia che queste file affronte,

Che i boschi o l'erba rigogliosa e bella,
Cui l'umor nutrichevole sostenta,
Guasti con l'ascia al nero Pluto ancella.
Vien disgrato a le Dee s'alcun s'attenta
Di questo campo le sacrate zolle
Sopra salma a gittar di vita spenta.

Sol cui propinquo o primo è chi sacrolle
Lice che sotto a questo suol ripose,
Che'l sa la Dea che torlo in guardia volle.
Anco Minerva de le sacre cose

Fe consorto Eretteo quando sua spoglia
Entro la santa sua sede ripose.

Se spregi alcun tai detti e udir non voglia
Nè d'ubbidir si curi, e' male avvisa,
S'avvisa che divina ira nol coglia.

Lui farà tristo Nemesi improvvisa E di vendetta il demone vagante: Sua sventura e' trarrà sempre indivisa. Gioco a Triope non fu le lande sante Di Cerere aver guasto; ora a voi giovi Temere il nome e 'l mal, perchè sembiante Erinni Triopea voi pur non trovi.

INSCRIZIONE II.

DI MARCELLO.

O Tiberine donne, a questo sacro Tempio movete il passo, incensi or voi Di Regilla portate al simulacro,

I ricchissimi Eneadi incliti eroi

Di Cipri e Anchise figli a padri ebb'ella,
E'n Maraton gli sponsalizi suoi.
Cerere antica e Cerere novella
L'onoran pure, ambo celesti Dive
Cui'l simulacro de la donna bella
E consecrato: e su le sante rive
U' Crono impera a l'anime beate,
Tra l'eroine il suo spirito vive.

Suoi costumi'l mertàr. Giove a pietate
Si mosse del mestissimo consorte
Ch'orbo talamo preme in secca etate.
Trassegli'l Fato reo due figli a morte:
E sol metà di sua progenie intera
Nescia gli avanza di sua trista sorte.
Non sa parva qual madre a lei la nera
Lanaiuola rapi pria che volgesse
Data al filar suo dì vicino a sera.
A sua doglia insaziabile concesse
Giove conforto, e'l re che a Giove padre
Simile ha'l senno e le sembianze istesse.
Giove su l'Oceano a le leggiadre
Spiagge d'Eliso trasportar facea
Da un'òra molle la formosa madre.
Cesare al figlio tenerin porgea
Lo stellato calzar che rilucente
Mercurio si vestì già quando Enea

Trasse di mezzo a la nemica gente In buia notte. Allora il salutare (Se vetusta comun fama non mente) Sul tallon gli splendeva orbe lunare: Onde a gli Eneadi piacque ornar di tale Nobile insegna il gemino calzare.

Nè già l'avito ausonio fregio male Però soltanto al fanciullin s'addice Che d'attica progenie ebbe il natale.

Poi che d'Erse e Mercurio e di Cerice Del Cecropide Erode il sangue viene: Che più gentile Acheo trovar non lice

Nè più facondo pur. Lingua d'Atene Grecia tutta l'appella: ond'è che sede Nel senato regal primaria tiene

E suo nome ha ne' Fasti. E Ganimede Troe Dardano Erittone a padri avea L'Eneade anch'ella dal leggiadro piede.

Ostie offrirle puoi tu sì come a Dea, S'a dar culto a gli eroi pietà ti mova, Che nè mortale ell'è, nè'n ciel si bea.

Stretto non se' se farlo non ti giova, Poi nè funebri pompe ell'ha ned are, E suo tempio o sua tomba non si trova. Suo monumento, che delubro pare, In Atene si vede; e l'alma è gita Colà di Radamanto a l'abitare.

Qui nel Triopio borgo è stabilita
L'immagin sua ch'a Faustina piace,
U' spaziosi campi ebbe in sua vita,
Ed oliveti e suol d'uve ferace.

Nè la reina de le donne e Dea
Questa sua spregerà ninfa seguace.
Che ne Pallade a vile Erse tenea,
Palla occhi-orrenda, nè Diana arciera
La casta Ifianassa a schifo avea.

Nè la madre di Cesare, che impera
A l'Eroine, e ne l'elisio regno
Con Semele ed Alcmena è condottiera
De le beate danze, avralla a sdegno.

SOPRA UN SEPOLCRO

APERTO DA UN ARATORE

EPIGRAMMA DI ANTIFILO BIZANTINO.

Perchè cadaver nudo inonorato Giaccio sul suolo erboso,

Non creder che mancato

Abbia mio corpo de l'estremo onore.
I' fui sepolto un dì, ma con l'aratro
Il rozzo agricoltore

Mentre il terren fendea, la tomba aperse,
Profanò l'ossa, il cenere disperse.

Ahi non è dunque vero

Che danno o pianto oltre'l morir non dura, Ed a mia trista salma, o passeggero,

Nè pur la tomba è l'ultima sventura,

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