Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Di cipolla o vil porro, o di ruchetta
Ch'a l'amorose brame i pigri alletta.

Vien dunque a l'orto, e levemente soava
Con le dita il terren; quattr'agli in prima
Con spesse fibre trae che 'l suol celava,
Di poi ruta e coriandoli e la cima
Coglie de l'appio, e torna, e al foco siede,
La fante appella, ed il mortaio chiede.

Indi a que cibi il primo velo agreste
E la vil buccia destramente toglie,
E ad uno ad un li monda e gli disveste,
Spargendo il suol de le neglette spoglie;
Bagna poscia ne l'acqua e si riserba
E nel mortaio getta il bulbo e l'erba.

Di sal li asperge e duro cacio e bianco,
E con la destra man tratta il pestello,
L'aglio ammollisce; e fa vicino al fianco
Con la sinistra al rozzo lin puntello.
Ammacca pria le più superbe cime,
Poi tutto infrange, e un misto succo esprime.
Gira il pestello, e ne l'informe pasta

Di più colori fassi un sol colore:
Bianco non è, che l'erba gliel contrasta,
Verde no, che gliel nega il bianco umore.
Fan que' cibi in perdendo lor virtute,
Una di molte lor virtù perdute.

Spesso l'acuto odor saetta il naso
Che si raggrinza, al povero villano,
Ond'egli il volto in ritirar dal vaso,
Le lagrime col dosso de la mano
Si terge; e qualche volta ito in furore,
Maladice 'l suo pranzo e quell'odore.
Andar vede if pestello omai più lento
Vicino al fin de l'opra il villan lieto,
E sul saporosissimo alimento

Stilla con parca man pungente aceto,
Ed olio pure in maggior copia infonde;
Il tutto poi rimesce e riconfonde.

Va con due dita intorno, e al mezzo porta La massa omai ben assodata e mista;

E per sua man la desiata torta

La sembianza in tal modo e'l nome acquista. Il pane appunto allor Cibale attenta

Tolto dal foco al contadin presenta:

Che satisfatte omai viste sue brame, E per quel dì dopo le rustich'opre Sicuro già di non morir di fame, Calza i stivali e col cappel si copre, Indi fuor esce, ed aggiogati i buoi, Gli spinge il solco a far pe' campi suoi.

FRAMMENTO DI TRADUZIONE

DI UN'EPISTOLA DI FRANCESCO PETRARCA.

(1827)

Quante volte per te, spietata morte, Stancar gli occhi e lo stil, quante degg'io Mescer lagrime ai versi, e versi al pianto! Oh prole umana; oh sovra tutte acerba Sorte d'un viver lungo! i volti esangui De' cari tuoi veder tra' sassi; il crine Lacerar tante volte, il crin caduco; E vedova condur l'ultima etate Lungamente morendo. Omai chi resta Che le luci mi chiuda e mi sotterri, Morte crudel, se tu non cessi? Ed era Questo dunque il mio fato? a tutti i miei Sopravvivere io tristo, e non potermi Consumare il dolor. Magione illustre, Ahi, ahi (torniamo ai consueti accenti): O magione infelice, or tante volte Funestata da morte. Oh pura, oh dolce Fraterna fede, alme fraterne! Oh padre Misero veramente, e voi sorelle Abbandonate! Or che sospiri e pianti A le assidue rovine, or che querela Fia pari al danno? Inclita in arme, altera Stirpe de' Colonnesi; a le minacce Del cielo immota, imperturbata al colpo Del fulmine di Giove, e non oppressa Da bilustre procella; onor di Roma In guerra, in pace, e principal suo vanto Fosti alcun tempo: a' buoni aita e schermo,

E terror de' superbi. A poco a poco
Or ti dilegui: in sul volubil fuso,
Crudelmente affrettando, a morte oscura
Precipitan le Parche i giovanili

Stami de' tuoi. Questo al valor, quest'era
Il fin dovuto a l'alte imprese, a tanti
Gloriosi tuoi gesti; onde risuona

Il tuo nome e la fama in ogni piaggia?
Così, mescendo a le parole il pianto
E sospirando, io mi doleva. Ed ecco,
Non so come, dal ciel per lo sereno
Aere discesa: mi feria l'orecchio
Una voce, e dicea: Contro le stelle
Perchè mormori invan? Giovani e vecchi
Miete del par la morte: ordine e freno
Che lei stringa, non è. L'eterne leggi
Franger presumeresti? O pur non sai
Come le triste fila or tragge or taglia
A suo piacer la Parca ed ora allunga;
Nè modo ell'ha, nè cessa mai? Ne' rischi
Estremi, in sul perir, l'arme non gitta
Il guerrier generoso. Intanto stringe
Buon nocchiero il timon fra la procella;
Nè si scolora che per l'acqua sparsi
Vede gli alberi e i remi; e lui ben puote
L'onda ingoiar, non atterrire. Al primo
Apparir de' nemici, altri le spalle
Danno in trepida fuga; ed altri agghiaccia
Un lieve mormorar d'austro che sorge,
E de le corde il sibilo sottile

In tempesta nascente. A questi arreca
Essa viltà vili perigli. Al forte
Un magnanimo fin diedero i fati.

Tu, di fortuna al dardeggiar, sì tosto
Il valor perdi? e de la vita ai flutti
Lasci, per picciol vento, il legno in preda?
Arme non hai se non il pianto? indarno
Ti fien gli studi e le trattate carte?
Non in pace il gagliardo e non s'estima
Il nocchier ne la calma: infra i perigli
Arte e virtù rifulge. Error non d'uomo
Ma di fanciul: cose mortali e brevi
Stimare eterne. Indi, cadute, il duolo
V'accora e vi consuma: obblio vi prende

E sconoscenza del passato; il bene
Che fortuna vi diè (pur questo solo
Dovria parervi assai) ch'essa il ritolga
Parvi gran torto. Ora il tesor che in mano
Altri ti fida, o tu riceva o renda,

Un volto istesso aver conviensi. E poscia
Che incerta è l'ora, esser tuttora in pronto
Al cenno di colei, che ridimanda
Quel che prestato avrà.....

« ÖncekiDevam »