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NOTE

Pag. 33, lin. 2. Il successo delle Termopile fu celebrato veramente da quello che in A canzone s'introduce a poetare, cioè da Simonide; tenuto dall'antichità fra gli oti poeti lirici, vissuto, che più rileva, ai medesimi tempi della scesa di Serse, reco di patria. Questo suo fatto, lasciando l'epitaffio rortato da Cicerone e altri, si dimostra da quello che scrive Diodoro nell'undecimo libro, dove recita che certe parole di esso poeta in questo proposito, due o tre delle quali sono resse nel quinto verso dell'ultima strofe. Rispetto dunque alle predette circonze del tempo e della persona, e d'altra parte riguardando alle qualità della teria per se medesima, io non credo che mai si trovasse argomento più degno poema lirico, nè più fortunato di questo che fu scelto, o più veramente sortito, Simonide. Perocchè se l'Impresa delle Termopile fa tanta forza a noi che siamo anieri verso quelli che l'operarono, e con tutto questo non possiamo tenere le crime a leggerla semplicemente come passasse, e ventitrè secoli dopo ch'ella è zulta: abbiamo a far congettura di quello che la sua ricordanza dovesse potere un Greco, e poeta, e dei principali, avendo veduto il fatto, si può dire, cogli chi propri, andando per le stesse città vincitrici di un esercito molto maggiore quanti altri si ricorda la storia d'Europa, venendo a parte delle feste, delle maviglie, del fervore di tutta un'eccellentissima nazione, fatta anche più magnanima lla sua natura dalla coscienza della gloria acquistata, e dall'emulazione di tanta rtù dimostrata pur dianzi dai suoi. Per queste considerazioni, riputando a molta Bavventura che le cose scritte da Simonide in quella occorrenza fossero perdute, on ch'io presumessi di riparare a questo danno, ma come per ingannare il desirio, procurai di rappresentarmi alla mente le disposizioni dell'animo del poeta quel tempo, e con questo mezzo, salvo la disuguaglianza degli ingegni, tornare fare il suo canto; del quale io porto questo parere, che o fosse maraviglioso, o fama di Simonide fosse vana, e gli scritti perissero con poca ingiuria. L. ettera a Vincenzo Monti premessa alle edizioni di Roma e di Bologna).

Pag. 41, lin. 9. Di questa fama divulgata anticamente, che in Ispagna e in Portogallo, Lando il Sole tramontava, si udisse di mezzo all'Oceano uno stridore simile a quello le fanno carboni accesi, o un ferro rovente quando è tuffato nell'acqua, vedi Cleoede, Circular. doctrin. de Sublim., 1. 2, c. 1, ed. Bake, Lugd. Bat. 1820, p. 109, q. Strabone, 1. 3, ed. Amstel. 1707, p. 202. B. Giovenale, Sat. 14, v. 279. azio Silv. 1. 2. Genethl. Lucani v. 24, seq.; ed Ausonio, Epist. 18, v. 2. loro, 1. 2, c. 17, parlando delle cose fatte da Decimo Bruto in Portogallo; « pegratoque victor Oceani litore, non prius signa convertit, quam cadentem in maria lem, obrutumque aquis ignem, non sine quodam sacrilegii metu, et horrore, derehendit. Vedi ancora le note degli eruditi a Tacito de Germ., c. 45. L.

Pag. 41, lin. 25. Mentre la notizia della rotondità della terra, ed altre simili appartenenti alla cosmografia, furono poco volgari, gli uomini ricercando quello che si facesse il Sole nel tempo della notte, o qual fosse lo stato suo, fecero intorno a questo parecchie belle immaginazioni: e se molti pensarono che la sera il Sole si spegnesse, e che la mattina si raccendesse, altri immaginarono che dal tramonto si riposasse e dormisse fino al giorno. Stesicoro, ap. Athenaeum, l. 11, c. 38, ed. Schweigh. t. 4, p. 237. Antimaco, ap. eumd., 1. c. 238. Eschilo 1. c. e più distintamente Mimnermo, poeta greco antichissimo, 1. c. cap. 39, pag. 239, dice che il Sole, dopo calato si pone a giacere in un letto concavo, a uso di navicella, tutto d'oro, e così dormendo naviga per l'Oceano da ponente a levante. Pitea marsigliese, allegato da Gemino c. 5, in Petav. Uranol. ed. Amst. p. 13, e da Cosma egiziano, Topogr, christian. 1. 2, ed. Montfauc. pag. 149, racconta di non so quali barbari che mostrarono ad esso Pitea il luogo dove il Sole, secondo loro, si adagiava a dormire. E il Petrarca si accostò a queste tali opinioni volgari in quei versi, Canz. Nella stagion. st. 3.

Quando vede il pastor calare i raggi

Del gran pianeta al nido ov'egli alberga.

Siccome in questi altri della medesima Canzone st. I, seguì la sentenza di quel filosofi che per virtù di raziocinio e di congettura indovinavano gli antipodi. Nella stagion che 'l ciel rapido inchina

Verso occidente e che 'l dì nostro vola
A gente che di là forse l'aspetta.

Dove quel forse, che oggi non si potrebbe dire, fu sommamente poetico; perchè dava facoltà al lettore di rappresentarsi quella gente sconosciuta a suo modo, o di averla in tutto per favolosa: donde si deve credere che, leggendo questi versi, nascessero di quelle concezioni vaghe e indeterminate, che sono effetto principalissimo ed essenziale delle bellezze poetiche, anzi di tutte le bellezze del mondo. L.

Pag. 42, lin. 17. Di qui alla fine della stanza si ha riguardo alla congiuntura della morte del Tasso, accaduta in tempo che erano per incoronarlo poeta in Campidoglio. L.

Pag. 47, lin. 29. Si usa qui la licenza, usata da diversi autori antichi, di attribuire alla Tracia la città e la battaglia di Filippi, che veramente furono nella Macedonia. Similmente nel nono Canto si seguita la tradizione volgare intorno agli amori infelici di Saffo poetessa, benchè il Visconti ed altri critici moderni distinguano due Saffo; l'una famosa per la sua lira, e l'altra per l'amore sfortunato di Faone; quella contemporanea d'Alceo, e questa più moderna.

Fi

Pag. 51, lin. 16. La stanchezza, il riposo e il silenzio che regnano nelle città, e più nelle campagne, sull'ora del mezzogiorno, rendettero quell'ora agli antichi misteriosa e secreta come quelle della notte: onde fu creduto che sul mezzodì più specialmente si facessero vedere o sentire gli Dei, le ninfe, i silvani, i fauni e le anime de' morti come apparisce da Teocrito, Idyll., 1, v. 15, seq. Lucano, 1. 3, v. 422, seq. lostrato, Heroic., c. 1, § 4, opp. ed Olear. pag. 671. Porfirio, de antro nymph., c. 26, seq. Servio, ad Georg. l. 4, v. 401, e dalla Vita di San Paolo primo eremita scritta da san Girolamo, c. 6, in vit. Patr. Rosweyd. 1. 1, p. 18. Vedi ancora il Meursio, Auctar. philolog., c. 6, colle note del Lami, opp. Meurs. Florent., vol. 5, col. 733. Il Barth, Animadv. ad Stat., part. 2, p. 1081, e le cose disputate dai comentatori, e nominatamente dal Calmet, in proposito del demonio meridiano della Scrittura volgata, Psalm. 90, v. 6. Circa all'opinione che le ninfee le dee sull'ora del mezzogiorno si scendessero a lavare nei fiumi e nei fonti, vedi Callimaco in lavacr. Pall., v. 71, seq. e quanto propriamente a Diana, Ovidio, Metam., 1. 3, v. 144, seq. L.

Pag. 54, lin. 13. « Egressusque Cain a facie Domini, habitavit profugus in terra ad orientalem plagam Eden. Et ædificavit civitatem. » Genes. c. IV, v. 16. L.

Pag. 55, lin. ult. È quasi superfluo ricordare che la California è posta nell'ultimo termine occidentale di terraferma. Si tiene che i Californi sieno, tra le nazioni conosciute, la più lontana dalla civiltà, e la più indocile alla medesima. L.

Pag. 87, lin. 33. « Plusieurs d'entre eux (parla di una delle nazioni erranti dell'Asia) passent la nuit assis sur une pierre à regarder la lune, et à improviser des paroles assez tristes sur des airs qui ne le sont pas moins. » Il Barone di Meyendorff, Voyage Orenbourg à Boukhara, fait en 1820, appresso il giornale Des Savans 1826, septembre, p. 518. L.

Pag. 90, lin. 39. Il signor Bothe, traducendo in bei versi tedeschi questo componimento, accusa gli ultimi sette versi della presente stanza di tautologia, cioè di ripetizione delle cose dette avanti. Segue il pastore: ancor io godo pochi piaceri (godo ancor poco); nè mi lagno di questo solo, cioè che piacere mi manchi;

mi lagno dei patimenti che provo, cioè della noia. Questo non era detto avanti. Poi, conchiudendo, riduce in termini brevi la quistione trattata in tutta la stanza; perchè gli animali non s'annoino, e l'uomo sì: la quale se fosse tautologia, tutte quelle conclusioni dove per evidenza si riepiloga il discorso, sarebbero tautologie. L.

Pag. 109, lin. 27. Pelliccia in figura di serpente, detta dal tremendo rettile di questo nome, nota alle donne gentili dei tempi nostri. Ma come la cosa è uscita di moda, potrebbe anche il senso della parola andare fra poco in dimenticanza. Però non sarà superflua questa noterella. L.

Pag. 118, lin. 22. Parole di un moderno, al quale è dovuta tutta la loro eleganza. L.

Pag. 173, lin. 10. Il Chiarini legge schermir. Ed

Pag. 194, lin. 14. Altri: Di partir si. Ed.

Pag. 200, lin. 22. Altri: bacco. Ed.

Pag, 211, lin. 3. Inutile avvertire che il Leopardi è autore, non traduttore dell'Inno. Ed.

Pag. 257. Questa Titanomachia (battaglia dei Titani coi Saturnii) è traduzione di un frammento della Teogonia d'Esiodo. Il discorso che l'accompagna l'abbiamo dato nel Volume XVII di questa Biblioteca, nel quale raccogliemmo le prose del Leopardi. Ed.

Pag. 257, lin. 21. Veda il lettore se forse non era meglio,

il vasto Olimpo tracollava.

PIETRO GIORDANI.

Pag. 260, lin. 22. Questo verso « Sol cui propinquo o primo è chi sacrolle non ha senso, a mio vedere, e deve emendarsi così:

Sol cui propinquo al primo è che sacrolle

Se non

cioè, solamente a chi è propinquo al primo che sacrolle Lice che, ecc. che forse al traduttore doleva non esprimere intero il testo, e voleva dire propinquo, o disceso, e forse Sol cui propinquo o affine è a chi sacrolle, e mentre nella mente dubitava, neppur ciò andando benissimo, gli errò la penna nello scrivere. PIETRO PELlegrini.

Pag. 260, lin. 39. Marcello. Nome forse dell'autore delle Inscrizioni. L

Pag. 265, lin. 8. Al Pellegrini parova da correggere così:

E l'ocean cosa mutabile

È di costei la naturale immagine,

the secondo lui sarebbe stato più naturale e più conforme al greco, Ed.

Pag. 285, lin. 43. Arcta vincla. L.

Pag. 311, lin. 22. Epist. XV, lib. II, al card. Giovanni Colonna. L.

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