Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso Raggio accusar negli abitati lochi,
Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando Scopriva umani aspetti al guardo mio. Or sempre loderollo, o ch'io ti miri Veleggiar tra le nubi, o che serena Dominatrice dell'etereo campo, Questa flebil riguardi umana sede. Me spesso rivedrai solingo e muto Errar pe' boschi e per le verdi rive, O seder sovra l'erbe, assai contento Se core e lena a sospirar m'avanza
Presso alla fin di sua dimora in terra, Giacea Consalvo; disdegnoso un tempo Del suo destino, or già non più, chè a mezzo Il quinto lustro, gli pendea sul capo Il sospirato obblio. Qual da gran tempo, Così giacea nel funeral suo giorno Dai più diletti amici abbandonato: Ch'amico in terra a lungo andar nessuno Resta a colui che della terra è schivo. Pur gli era al fianco, da pietà condotta A consolare il suo deserto stato,
Quella che sola e sempre eragli a mente, Per divina beltà famosa Elvira;
Conscia del suo poter, conscia che un guardo Suo lieto, un detto d'alcun dolce asperso, Ben mille volte ripetuto e mille
Nel costante pensier, sostegno e cibo Esser solea dell'infelice amante:
Benchè nulla d'amor parola udita Avess'ella da lui. Sempre in quell'alma Era del gran desio stato più forte Un sovrano timor. Così l'avea
Fatto schiavo e fanciullo il troppo amore. Ma ruppe alfin la morte il nodo antico Alla sua lingua. Poichè certi i segni.
Sentendo di quel dì che l'uom discioglie, Lei, già mossa a partir, presa per mano, E quella man bianchissima stringendo, Disse: tu parti, e l'ora omai ti sforza: Elvira, addio. Non ti vedrò, ch'io creda, Un'altra volta. Or dunque addio. Ti rendo Qual maggior grazia mai delle tue cure Dar possa il labbro mio. Premio daratti Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende. Impallidia la bella, e il petto anelo Udendo le si fea: chè sempre stringe All'uomo il cor dogliosamente, ancora Ch'estranio sia, chi si diparte, e dice Addio per sempre. E contraddir voleva, Dissimulando l'appressar del fato,
Al moribondo. Ma il suo dir prevenne Quegli, e soggiunse: desiata, è molto, Come sai, ripregata a me discende, Non temuta, la morte; e lieto apparmi Questo feral mio dì. Pesami, è vero, Che te perdo per sempre. Oimè per sempre Parto da te! Mi si divide il core
In questo dir. Più non vedrò quegli occhi, Nè la tua voce udrò! Dimmi: ma pria Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio Non vorrai tu donarmi? un bacio solo In tutto il viver mio? Grazia ch'ei chiegga Non si nega a chi muor. Nè già vantarmi Potrò del dono, io semispento, a cui Straniera man le labbra oggi fra poco Eternamente chiuderà. Ciò detto Con un sospiro, all'adorata destra Le fredde labbra supplicando affisse. Stette sospesa e pensierosa in atto La bellissima donna; e fiso il guardo, Di mille vezzi sfavillante, in quello Tenea dell'infelice, ove l'estrema Lacrima rilucea. Nè dielle il core Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio Rinacerbir col niego; anzi la vinse Misericordia dei ben noti ardori. E quel volto celeste, e quella bocca, Già tanto desiata, e per molt'anni Argomento di sogno e di sospiro,
Dolcemente appressando al volto afflitto E scolorato dal mortale affanno,
Più baci e più, tutta benigna e in vista D'alta pietà, su le convulse labbra Del trepido, rapito amante impresse. Che divenisti allor? quali appariro Vita, morte, sventura agli occhi tuoi, Fuggitivo Consalvo? Egli la mano, Ch'ancor tenea, della diletta Elvira Postasi al cor, che gli ultimi battea Palpiti della morte e dell'amore, Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono In su la terra ancor; ben quelle labbra Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo! Ahi, vision d'estinto, o sogno, o cosa Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira, Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi Non ti fu l'amor mio per alcun tempo; Non a te, non altrui; chè non si cela Vero amore alla terra. Assai palese Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi, Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre Muto sarebbe l'infinito affetto
Che governa il cor mio, se non l'avesse Fatto ardito il morir. Morrò contento Del mio destino omai, nè più mi dolgo Ch'aprii le luci al dì. Non vissi indarno, Poscia che quella bocca alla mia bocca Premer fu dato. Anzi felice estimo
La sorte mia. Due cose belle ha il mondo: Amore e morte. All'una il ciel mi guida In sul fior dell'età; nell'altro, assai Fortunato mi tengo. Ah, se una volta, Solo una volta il lungo amor quïeto E pago avessi tu, fôra la terra Fatta quindi per sempre un paradiso Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza, L'abborrita vecchiezza, avrei sofferto Con riposato cor: chè a sostentarla Bastato sempre il rimembrar sarebbe D'un solo istante, e il dir: felice io fui Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto Esser beato non consente il cielo A natura terrena. Amar tant'oltre
Non è dato con gioia. E ben per patto In poter del carnefice ai flagelli, Alle ruote, alle faci ito volando Sarei dalle tue braccia; e ben disceso Nel paventato sempiterno scempio.
O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra Gl'immortali beato, a cui tu schiuda Il sorriso d'amor!, felice appresso
Chi per te sparga con la vita il sangue! Lice, lice al mortal, non è già sogno Come stimai gran tempo, ahi lice in terra Provar felicità. Ciò seppi il giorno
Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte Questo m'accadde. E non però quel giorno Con certo cor giammai, fra tante ambasce, Quel fiero giorno biasimar sostenni.
Or tu vivi beata, e il mondo abbella, Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno Non t'amerà quant'io t'amai. Non nasce Un altrettale amor. Quanto, deh quanto Dal misero Consalvo in sì gran tempo Chiamata fosti, e lamentata, e pianta! Come al nome d'Elvira, in cor gelando, Impallidir; come tremar son uso All'amaro calcar della tua soglia, A quella voce angelica, all'aspetto
Di quella fronte, io ch'al morir non tremo! Ma la lena e la vita or vengon meno Agli accenti d'amor. Passato è il tempo, Nè questo di rimemorar m'è dato. Elvira, addio. Con la vital favilla La tua diletta immagine si parte Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave Non ti fu quest'affetto, al mio feretro Dimani all'annottar manda un sospiro.. Tacque: nè molto andò, che a lui col suon Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo Suo di felice gli fuggia dal guardo."
Cara beltà che amore
Lunge m'inspiri o nascondendo il viso, Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne' campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso; Forse tu l'innocente
Secol beasti che dall'oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch'a noi t'asconde, agli avvenir prepara? Viva mirarti omai
Nulla spene m'avanza;
S'allor non fosse, allor che ignudo e solo Per novo calle a peregrina stanza Verrà lo spirto mio. Già sul novello Aprir di mia giornata incerta e bruna, Te viatrice in questo arido suolo Io mi pensai. Ma non è cosa in terra Che ti somigli; e s'anco pari alcuna Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella. Fra cotanto dolore
Quanto all'umana età propose il fato, Se vera e quale il mio pensier ti pinge, Alcun t'amasse in terra, a lui pur fóra Questo viver beato;
E ben chiaro vegg'io siccome ancora Seguir loda e virtù qual ne' prim' anni L'amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse Il ciel nullo conforto ai nostri affanni; E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo indìa. Per le valli, ove suona
Del faticoso agricoltore il canto, Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m'abbandona;
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