Dure genti e costumi, Ed ogni error ch'e' pellegrini intrica;; Con pericol presente e con fatica: Onde s'i' non son giunto Anzi tempo da morte acerba e dura; Di mia salute, non questo tiranno Che del mio duol si pasce e del mio danno.. Poichè suo fui, non ebbi ora tranquilla, Nè spero aver; e le mie notti il sonno Shandiro, e più non ponno Per erbe o per incanti a sè ritrarlo. Ch'i' non l'udissi. ei sa che 'l vero parlo: Quinci nascon le lagrime e i martiri, Di ch' io mi vo stancando, e forse altrui Giudica tu che me conosci e lui. Il mio avversario con agre rampogne Comincia: O Donna, intendi l' altra parte Che 'l vero onde si parte Quest' ingrato, dirà senza difetto. Questi in sua prima età fu dato all' arte Tolto da quella noia al mio diletto, Lui tenni, ond' or si dole, In dolce vita ch' ei miseria chiama; Salito in qualche fama Solo per me che 'l suo intelletto alzai Ov' alzato per sè non fora mai. Ei sa che 'l grande Atride, e l' alto Achille, Ed Annibál al terren vostro amaro, E di tutti il più chiaro Un altro e di virtute e di fortuna; Donne elette eccellenti n'elessi una Le diedi ed un cantar tanto soave, Che pensier basso o grave Non potè mai durar dinanzi a lei. Questo fu il fel, questi gli sdegni e l'ire Più dolci assai che di null' altra il tutto. Di buon seme, mal frutto Mieto e tal merito à chi 'ngrato serve. C' a doune e cavalier piacea 'l suo dire; Il feci, che tra' caldi ingegni ferve Mormorador di corti, un uom del vulgo. Per quel ch' egli 'mparò nella mia scola, E da colei che fu nel mondo sola. E per dir all' estremo il gran servigio: A lui piacer non potéo cosa vile; L'impresse al core, e fecel suo simíle. Mai notturno fantasma D' error non fu sl pien, com' ei ver noi, Che ne conobbe, a Dio ed alla gente: Di ciò il superbo si lamenta e pente. Che son scala al Fattor, chi ben l'estima: Potea levarsi all' alta Cagion prima; Della sua frale vita... A questo, un strido Ben me la diè, ma tosto la ritolse. Risponde: Io no, ma Chi per sè la volse. Al fin ambo conversi al giusto seggio; Io con tremanti, ei con voci alte e crude, Ciascun per sè conchiude: Nobile Donna, tua sentenza attendo. Ella allor sorridendo: Piacemi aver vostre questioni udite; Ma più tempo bisogna a tanta lite. SONETTO LXXXII. Dicemi spesso il mio fidato speglio, L'animo stanco, e la cangiata scorza, Obedir a Natura in tutto è il meglio; C' a contender con lei il tempo ne sforza. Subito allor, com' acqua il foco ammorza, D'un lungo e grave sonno mi risveglio: E veggio ben, che 'l nostro viver vola, Di lei ch'è or dal suo bel nodo sciolta; |