Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Dure genti e costumi,

Ed ogni error ch'e' pellegrini intrica;;
Monti, valli, paludi e mari e fiumi;
Mille lacciuoli in ogni parte tesi;
E'l verno in strani mesi,

Con pericol presente e con fatica:
Nè costui, nè quell' altra mia nemica
Ch'i' fuggia, mi lasciavan sol un punto:

Onde s'i' non son giunto

Anzi tempo da morte acerba e dura;
Pietà celeste à cura

Di mia salute, non questo tiranno

Che del mio duol si pasce e del mio danno.. Poichè suo fui, non ebbi ora tranquilla, Nè spero aver; e le mie notti il sonno

Shandiro, e più non ponno

Per erbe o per incanti a sè ritrarlo.
Per inganni e per forza è fatto donno
Sovra miei spirti; e non sonò poi squilla,
Ov' io sia in qualche villa,

Ch'i' non l'udissi. ei sa che 'l vero parlo:
Che legno vecchio mai non rose tarlo,
Come questi 'l mio core in che s' annida,
E di morte lo sfida.

Quinci nascon le lagrime e i martiri,
Le parole e i sospiri,

Di ch' io mi vo stancando, e forse altrui

Giudica tu che me conosci e lui.

Il mio avversario con agre rampogne Comincia: O Donna, intendi l' altra parte Che 'l vero onde si parte

Quest' ingrato, dirà senza difetto.

Questi in sua prima età fu dato all' arte
Da vender parolette, anzi menzogne :
Nè par che si vergogne,

Tolto da quella noia al mio diletto,
Lamentarsi di me che puro e netto
Contra 'l desio che spesso il suo mal vole,

Lui tenni, ond' or si dole,

In dolce vita ch' ei miseria chiama;

Salito in qualche fama

Solo per me che 'l suo intelletto alzai

Ov' alzato per sè non fora mai.

Ei sa che 'l grande Atride, e l' alto Achille,

Ed Annibál al terren vostro amaro,

E di tutti il più chiaro

Un altro e di virtute e di fortuna;
Com' a ciascun le sue stelle ordinaro,
Lasciai cader in vil amor d' ancille:
Ed a costui di mille

Donne elette eccellenti n'elessi una
Qual non si vedrà mai sotto la luna,
Benchè Lucrezia ritornasse a Roma;
E si dolce idioma

Le diedi ed un cantar tanto soave,

Che pensier basso o grave

Non potè mai durar dinanzi a lei.
Questi fur con costui gl' inganni miei.

Questo fu il fel, questi gli sdegni e l'ire Più dolci assai che di null' altra il tutto. Di buon seme, mal frutto

Mieto e tal merito à chi 'ngrato serve.
Si l' avea sotto l' ali mie condutto,

C' a doune e cavalier piacea 'l suo dire;
E si alto salire

Il feci, che tra' caldi ingegni ferve
Il suo nome, e de' suoi detti conserve
Si fanno con diletto in alcun loco:
C' or saría forse un roco

Mormorador di corti, un uom del vulgo.
I'l' esalto e divulgo

Per quel ch' egli 'mparò nella mia scola, E da colei che fu nel mondo sola.

E per dir all' estremo il gran servigio:
Da mill' atti inonesti l'ò ritratto;
Che mai per alcun patto

A lui piacer non potéo cosa vile;
Giovane schivo, e vergognoso in atto
Ed in pensier, poichè fatt' era uom ligio
Di lei c' alto vestigio

L'impresse al core, e fecel suo simíle.
Quanto à del pellegrino e del gentile,
Da lei tene e da me di cui si biasma.

Mai notturno fantasma

D' error non fu sl pien, com' ei ver noi,
Ch' è in grazia, da poi

Che ne conobbe, a Dio ed alla gente:

Di ciò il superbo si lamenta e pente.
Ancor (e questo è quel che tutto avanza)
Da volar sopra 'l Ciel gli avea dat' ali
Per le cose mortali

Che son scala al Fattor, chi ben l'estima:
Che mirando ei ben fiso quante e quali
Eran virtuti in quella sua speranza,
D'una in altra sembianza

Potea levarsi all' alta Cagion prima;
Ed ei l' à detto alcuna volta in rima.
Or m' à posto in oblío con quella Donna
Ch'i' li dié' per colonna

Della sua frale vita... A questo, un strido
Lagrimoso alzo, e grido:

Ben me la diè, ma tosto la ritolse.

Risponde: Io no, ma Chi per sè la volse.

Al fin ambo conversi al giusto seggio; Io con tremanti, ei con voci alte e crude, Ciascun per sè conchiude:

Nobile Donna, tua sentenza attendo.

Ella allor sorridendo:

Piacemi aver vostre questioni udite;

Ma più tempo bisogna a tanta lite.

SONETTO LXXXII.

Dicemi spesso il mio fidato speglio,

L'animo stanco, e la cangiata scorza,
E la scemata mia destrezza e forza:
Non ti nasconder più; tu se' pur veglio:

Obedir a Natura in tutto è il meglio;

C' a contender con lei il tempo ne sforza. Subito allor, com' acqua il foco ammorza, D'un lungo e grave sonno mi risveglio:

E veggio ben, che 'l nostro viver vola,
E ch' esser non si può più d' una volta;
E 'n mezzo 'l cor mi sona una parola

Di lei ch'è or dal suo bel nodo sciolta;
Ma ne' suoi giorni al mondo fu sì sola,
C' a tutte, s'i' non erro, fama à tolta.

« ÖncekiDevam »