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Principio d'un Sonetto inedito del Petrarca,

in risposta ad uno pur

inedito di m. Anto

nio medico di Ferrara, esistente in un ms. dell' Ambrosiana; ch' incomincia:

» Deh dite il fonte donde nasce Amore,
» E qual ragione il fa esser sì degno ec.

Per util, per diletto e per onore

Amor ch'è passïon, vence suo regno:
Quel solo è da lodar, che drizza il segno
Inver l'onesto, e gli altri caccia fuore. ec.
Il Muratori ne' luoghi sopraccennati .

Nola degli Editori. Le Rime inserite nella Giunta al Petrarca di questa nostra ristampa, che non si trovano nelle due edizioni di Comino, e che noi abbiamo tratte dall' edizione di Giuliari, Verona, 1799, come fu già indicato nel nostro Avviso; sono le seguenti: il Sonetto a c. 258, quello a c. 259, quello a c. 267 ; e l' Ottava à c. 309.

Frammenti copiati dall' Originale del Petrarca, pubblicato in Roma l' an. 1642 da Federico Ubaldini.

Si rapportano appunto come gli à fatti stampare anco il sig. Muratori nel suo Petrarca a c. 707; per dare un saggio a' Lettori della rozza ortografía di que' tempi.

Ex amici ( d. car. ) relatu, qui eum abstulerat, et ex memoria primum; et tamen aliquid defuerat. Responsio ad Ja. de Imola.

Quella chel giovenil meo core avinse.

Nel primo tempo chio conobbi amore.
Del suo leggiadro albergo escendo fore.
Con mio dolore dun bel nodo mi scinse.
Ne poi nova bellezza lalma strinse.

Ne mai luce senti che fesse ardore.
Se non cola memoria del valore.
Che per dolci durezze la sospinse.
Ben volse quei che cobegli occhi aprilla.
Con altra chiave riprovar suo ingegno.
Ma nova rete vecchio augel non prende.
Et
pur fui in dubbio fra caribdi et scilla,
Et passai le sirene in sordo legno.

Over come huom chascolta. e nulla intende.

Fa. 2. stanze 3. cantando.

Fin che la mia man destra

Lusato offizio al gran voler alanima disdica. Poi se gia mai percote

Famosa al mondo di a quella altera di virtute amica

Gli orecchi vostri questa colaltre con quellaltre note

Direte il servo mio piu la non pote

Diral

Ditel mio servo vuol piu, ma non pote
vel vuol ma piu ( Hic placet )

vel Gli orecchi e quella mia dolce nemica
Questa collaltre simiglianti note

Dira costei vorria.

vel vuol ben ma piu non pote ( Hic placet)

9. Novemb. 1336. reincœpi hic scribere . Responsio mea ad unum missum de Parisiis. Vide tamen adhuc.

Piu volte il di mi fo vermiglio, et fosco

Pensando ale noiose aspre catene,

Di chel mondo minvolve, et mi ritene.
Chi non possa venire ad esser vosco.

Che pur
al mio vedere fragile, et losco.
Avea nele man vostre alcuna spene
Et poi dicea se vita mi sostene.
Tempo fia di tornarsi alaere tosco.

Dambedue que confin son oggi in bando.
Chogni vil fiumicel me gran distorbo.
Et.qui son servo liberta sognando.

Ne di lauro corona, ma dun sorbo.
Mi. grava in giu la fronte. or, vadimando.
Sél vostro al mio non e ben simil morbo.

Ser diotisalvi petri di siena.

El bellocchio dappollo dal chui guardo.

Sereno, et vago lume Iunon sente. Volendo sua virtu mostrar possente. Contra colei, che non apprezza dardo.

Nellora che piu luce il suo riguardo.
Coi raggi accesi giunse arditamente.
Ma quando vide il viso splendiente.
Senza aspettar fuggi come codardo.

Bellezza et honesta che la colora. Perfettamente in altra mai non viste. Furon cagione dellalto et novo effetto.

Ma qual di queste due unite et miste.
Piu dotto febo, et qual piu lei honora.
Non so, dunque adempite il mio difetto.

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