SONETTO XXXVII. Quel Sol che mi mostrava il cammin destro Di gire al Ciel con glorïosí passi; Ond' io son fatto un animal silvestro; Porto 'l cor grave, e gli occhi umidi e bässi Così vo ricercando ogni contrada Ov' io la vidi: e sol tu che m' affliġi, Lei non trov' io; ma suoi santi vestigi Petrar. T. II. SONETTO XXXIX. Io pensava assai destro esser sull' ale, Non per lor forza, ma di chi le spiega, Trovaimi all' opra via più lento e frale D'un picciol ramo cui gran fascio piega; E dissi: A cader va chi troppo sale; Nè si fa ben per uom quel che 'l Ciel nega. Mai non poría volar penna d'ingegno, Seguilla Amor con sì mirabil cura SONETTO XL Quella uella per cui con Sorga ò cangiať' Arno, Con franca povertà serve ricchezze; Volse in amaro sue sante dolcezze Ond' io già vissi, or me ne struggo e scarno. Da poi, più volte ò riprovato indarno Pinger cantando, acciocchè l'ame e prezze; Le lode mai non d' altra, e proprie sue; Ma poich' i' giungo alla divina parte SONETTO XLI. L' alto e novo miracol c' a' di nostri Apparve al mondo, e star seco non volse; Che sol ne mostrò 'l Ciel, poi sel ritolse Per adornarne i suoi stellanti chiostri; Vuol ch'i' dipinga a chi nol vide, e 'l mostri, Amor che 'n prima la mia lingua sciolse, Poi mille volte indarno all' opra volse Ingegno, tempo, penne, carte e 'nchiostri. Non son al sommo ancor giunte le rime: Chi sa pensare il ver, tacito estime C' ogni stil vince; e poi sospire: Adunque Beati gli occhi che la vider viva! SONETTO XLII. Zefiro torna, e 'l bel tempo rimena, Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena; Ma per me, lasso! tornano i più gravi E cantar augelletti, e fiorir piagge, |