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BALLATA I

Amor, quando foría

Mia spene, e 'l guidardon d'ogni mia fede; Tolta m' è quella ond' attendea mercede.

Ahi dispietata morte! ahi crudel vita! L' una m' à posto in doglia,.

E mie speranze acerbamente à spente:
L'altra mi ten quaggiù contra mia voglia;
E lei che se n'è gita,

Seguir non posso; ch' ella nol consente:
Ma pur ogni or presente

Nel mezzo del mio cor Madonna siede;

E qual è la mia vita, ella sel vede.

CANZONE IV.

Tacer non posso, e temo non adopre
Contrario effetto la mia lingua al core;
Che vorria far onore

Alla sua Donna che dal Ciel n'ascolta.
Come poss' io, se non m' insegni, Amore,
Con parole mortali agguagliar l' opre
Divine, e quel che copre

Alta umiltate in sè stessa raccolta ?
Ne la bella prigione ond' or è sciolta,
Poco era stata ancor l'alma gentile
Al tempo che di lei prima m' accorsi :
Onde subito corsi

(Ch' era dell'anno e di mia etate aprile )
A coglier fiori in quei prati d'intorno,
Sperando agli occhi suoi piacer sì adorno.
Muri eran d'alabastro, e tetto d'oro,
D'avorio uscio, e finestre di zaffiro,
Onde 'l primo sospiro

Mi giunse al cor, e giugnerà l'estremo.
Indi i messi d' Amor armati usciro

Di säette e di foco: ond' io di loro

Coronati d' Alloro,

Pur com' or fosse, ripensando tremo.

D'un bel diamante quadro e mai non scemo
Vi si vedea nel mezzo un seggio altero,
Ove sola sedea la bella Donna:

Dinanzi una colonna

Cristallina, ed iv' entro ogni pensero
Scritto; e fuor tralucea sì chiaramente,
Che mi fea lieto, e sospirar sovente.
Alle pungenti, ardenti e lucid' arme;
Alla vittoriosa insegna verde,

Contra cu' in campo perde

Giove ed Apollo e Polifemo e Marte;

Ov'è 'l pianto ogni or fresco, e si rinverde; Giunto mi vidi: e non possendo aitarne,

Preso lasciai menarme

Ond' or non so d'uscir la via nè l'arte.
Ma siccom' uom talor, che piange, e parte
Vede cosa che gli occhi e 1 cor alletta ;
Così colei per ch' io son in prigione,
Standosi ad un balcone,

Che fu sola a' suoi di cosa perfetta,
Cominciai a mirar con tal desio,
Che me stesso e 'l mio mal posi in oblío.
I' era in terra, e 'l cor in Paradiso,
Dolcemente oblïando ogni altra cura;

E mia viva figura

Far sentía un marmo e 'mpiér di maraviglia;
Quand' una donna assai pronta e sicura,

Di tempo antica, e giovane del viso,
Vedendomi sì fiso

All'atto de la fronte e delle ciglia:
Meco (mi disse ), meco ti consiglia;

Ch'i' son d' altro poder, che tu non credi;
E so far lieti e tristi in un momento,

Più leggiera che 'l vento;

E reggo e volvo quanto al mondo vedi.
Tien pur gli occhi, com' aquila, in quel Sole:
Parte da orecchi a queste mie parole.

Il dì che costei nacque, eran le stelle
Che producon fra voi felici effetti,
In luoghi alti ed eletti,

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L'una ver l'altra con amor converse :
Venere e 'l Padre con benigni aspetti
Tenean le parti signorili e belle;
E le luci empie e felle

Quasi in tutto del ciel eran disperse.
Il sol mai si bel giorno non aperse :-
L'aere e la terra s'allegrava; e l'acque
Per lo mar avean pace, e per li fiumi.
Fra tanti amici lumi

Una nube lontana mi dispiacque;

La qual temo che 'n pianto si risolve,

Se Pietate altramente il ciel non volve.
Com' ella venne in questo viver basso;
C' a dir il ver, non fu degno d' averla;
Cosa nova a vederla,

Gia santissima e dolce, ancor acerba ;
Parea chiusa in or fin candida perla:
Ed or carpone, or con tremante passo
Legno, acqua, terra o sasso
Verde facea, chiara, söave; e l'erba
Colle palme e coi piè fresca e superba;
E fiorir co' begli occhi le campagne;
Ed acquetar i venti e le tempeste
Con voci ancor non preste

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Di lingua che dal latte si scompagne ; Chiaro mostrando al mondo sordo e cieco, Quanto lume del ciel fosse già seco.

Poichè crescendo in tempo ed in virtute, Giunse alla terza sua fiorita etate; Leggiadría nè beltate

Tanta non vide il sol, credo, giammai.
Gli occhi pien di letizia e d' onestate;
E'l parlar, di dolcezza e di salute.
Tutte lingue son mute

A dir di lei quel che tu sol ne sai.
Si chiaro à 'l volto di celesti rai,

Che vostra vista in lui non può fermarse:
E da quel suo bel carcere terreno

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