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LODOVICO ARIOSTO

(14741533)

Due sono evidentemente i concetti critici che hanno guidato il più rappresentativo poeta della Rinascita in queste correzioni al suo capolavoro. L'uno è quello vero e proprio dell'artista che si sforza di meglio esprimere dal suo mondo intimo e mettere in miglior luce la sua genuina idea poetica; l'altro è quello dell'umanista e del devoto ammiratore del Bembo che ripulisce e lustra con serio scrupolo per la nobile società alla moda, in mezzo alla quale dovrà presentarsi, la sua bella creatura. Il secondo criterio prevale sul primo, e talvolta con danno. Si veda anche, qui, pag. 147 segg.

L'AUTOCRITICA DELL' ARIOSTO

NELLE CORREZIONI AL “FURIOSO „,. (1)

CANTO I.

(33).

Fugge tra selve spaventose e scure,
Per lochi inabitati, ermi e selvaggi:

luochi

silvaggi

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Che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
Di cerri, d'olmi, abeti, pini e faggi

Fatto le avea con subite paure
Trovar di qua, di là strani viaggi;

e

(1) Sono qui poste a raffronto l'edizione del 1532 (linea superiore) con l'edizione del 1516 (linea inferiore, carattere piccolo). Da: Il primo Canto dell'O. F. nell'edizioni del 1516 e del 1532, di Ferruccio Martini, Pavia, 1890.

Ch' ad ogni ombra veduta o in monte o in valle, Che d'ogni

Temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

Qual pargoletta o damma o capriola, Che tra le fronde del natio boschetto Alla madre veduta abbia la gola

Stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,

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Di selva in selva dal crudel s' invola,
E di paura triema e di sospetto;

trema

suspetto,

Ad ogni sterpo, che passando tocca,

E ad

Esser si crede all' empia fera in bocca.

fiera

il

Quel dì e la notte e mezzo l'altro giorno
S' andò aggirando, e non sapeva dove:
Trovossi al fine in un boschetto adorno,
Trovasi in fine

Che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi mormorando intorno
Dui

Sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;
Facean l'erbette tenerelle e nuove;

E rendea ad ascoltar dolce concento
Tra piccol sassi rotto il correr lento
Rotto tra picciol sassi il correr lento.
Rendeva ad ascoltar dolce concento.

Quivi parendo a lei d'esser sicura
E lontana a Rinaldo mille miglia,
Da la via stanca e da l' estiva arsura,

la

Di riposare alquanto si consiglia.

Tra fiori smonta, e lascia alla pastura
Smonta tra' fiori alla fresca verdura,
Andare il palafren senza la briglia;
Et al suo palafren lieva la briglia;

E quel va errando intorno alle chiare onde, E lo lascia nel margine de l'onde,

Che di fresca erba avean piene le sponde.

avea

Ecco non lungi un bel cespuglio vede
Non men ch'al suo cavallo e sè provede,

Di prun fioriti e di vermiglie rose,
E mira intorno ove più agiata pose.

Che de le liquide onde al specchio siede,
Ecco non lungi un bel cespuglio vede
Chiuso dal sol fra l'alte quercie ombrose;
Di spin fiorito e di vermiglie rose,

Così vôto nel mezo, che concede

Ch' in modo di spelonca in sè conciede Fresca stanza fra l'ombre più nascose; Ombroso albergo ne le parti ascose;

E la foglia coi rami in modo è mista,

con

Che 'l sol non v'entra, non che minor vista. Ch'el

Dentro letto vi fan tenere erbette, Ch' invitano a posar chi s' appresenta.

Che

La bella donna in mezo a quel si mette;
Ivi si corca, et ivi s' addormenta.

se

Ma non per lungo spazio così stette,
Che un calpestio le par che venir senta.
Che par che calpistar pel bosco senta.

Cheta si leva, e appresso alla riviera

lieva, et oltra alla rivera

Vede ch'armato un cavallier giunt' era.

che all'acqua

giunto

Se gli è amico o nemico non comprende:

Se l'è amico

Tema e speranza il dubbio cuor le scuote: E di quella aventura il fine attende,

Nè pur d'un sol sospir l' aria percuote.

Il cavalliero in riva al fiume scende

ripa il

Sopra l' un braccio a riposar le gote; guote

E in suo gran pensier tanto penetra,

E 'n un suo

Che par cangiato in insensibil pietra.

Pensoso più d' un' ora a capo basso

una

Stette, Signore, il cavallier dolente;
Poi cominciò con suono afflitto e lasso
A lamentarsi si soavemente

suavemente,

Ch' avrebbe di pietà spezzato un sasso,
Una tigre crudel fatta clemente:

Sospirando piangea, tal ch' un ruscello
Suspirando

che

Parean le guancie e 'l petto un Mongibello.

il

Pensier, dicea, che 'l cor m' aggiacci et ardi, E causi il duol che sempre il rode e lima, Che debbo far, poi ch' io son giunto tardi, poi che son

debb'io

E ch'altri a côrre il frutto è andato prima?
E truovo ch'altri il frutto ha colto prima?

A pena avuto io n' ho parole e sguardi
Io non ebbi da lei mai se non sguardi,
Et altri n' ha tutta la spoglia opima.

Or truovo ch'altri n'ha

Se non ne tocca a me frutto nè fiore,

Perchè affligger per lei mi vuo' più il core?

vommi più

La verginella è simile alla rosa, Ch' in bel giardin su la nativa spina

Che 'n un chiuso orto in la

Mentre sola e sicura si riposa,
Nè gregge nè pastor se le avicina;
L'aura soave e l'alba rugiadosa,

L'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
Gioveni vaghi e donne innamorate
Amano averne e seni e tempie ornate.

Ma non si tosto dal materno stelo
Rimossa viene e dal suo ceppo verde,
Che quanto avea da gli uomini e dal cielo
Ch'el favor e de li uomini e del cielo,

Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
De li elementi e di natura perde.

La vergine che 'l fior, di che più zelo
La vergine, ch'el fior anzi ch'el melo

Che de' begli occhi e de la vita aver de',
Lascia ricorre altrui, ch'un sol aver dè,

Lascia altrui côrre, il pregio ch' avea inanti
L'amor, la grazia, il pregio, che

Perde nel cor di tutti gli altri amanti.

li

Sia vile a gli altri, e da quel solo amata,

alli

A cui di sè fece sì larga copia.

Ah Fortuna crudel, Fortuna ingrata!

Trionfan gli altri, e ne moro io d' inopia.

li

di

Dunque esser può che non mi sia più grata? Dunque io posso lasciar mia vita propia?

potrò

Ah più tosto oggi manchino i dì miei,

presto

Ch'io viva più, s' amar non debbo lei!

Se mi domanda alcun chi costui sia,
dimanda

Che versa sopra il rio lacrime tante,
Io dirò ch' egli è il re di Circassia,
Quel d'amor travagliato Sacripante:
Io dirò ancor, che di sua pena ria

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