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PIETRO ARETINO

(1492 - 1556)

Le seguenti due lettere bastano da sole ad indicare esattamente il posto che occupa lo « scapigliato » Aretino nel mondo letterario del classico Cinquecento. In queste pagine, egli mostra d'aver chiara e sicura coscienza della sua posizione d'artista di fronte ai letterati contemporanei: e con ciò, si contrappone a questi pure in qualità di critico.

La sua bizzarria e libertà di giudizio, la sua efficacia d'espressione, gli fanno uscire dalla penna affermazioni importanti e fanno balenare il suo scritto di lampi geniali. E stato definito quasi «un pioniere dell'impressionismo, del realismo e del romanticismo nella critica moderna ». Ma è da tener presente, che nessun sistema teorico ordina e nessun approfondimento filosofico accompagna i suoi giudizi; nè egli fu iniziatore di alcun movimento considerevole, fecondo e continuo, nella storia della nostra critica.

“SCULTOR DI SENSI E NON MINIATOR DI VOCABOLI „,.

A MESSER NICOLÒ FRANCO.

Andate pur per le vie che al vostro studio mostra la natura, se volete che gli scritti vostri faccino stupire le carte dove son notati, e ridetivi di coloro che rubano le paroline affamate, perchè è gran differenzia dagli imitatori ai rubatori, che io soglio dannare. Gli ortolani sgridano quegli che calpestano l'erbicine da far la salsa e, non coloro che bellamente le colgono, e fanno il viso arcigno a chi per volontà dei frutti rompe i rami de l'arbore, e non a colui che ne spicca due o tre susine, a pena movendogli.

Andreolf. 8

Certo, io affermo, da pochi infuora, che tutti gli altri vanno dietro al furare e non a lo imitare. Dicamisi: non ha più ingegno il ladro che trasforma l'abito, che ruba, in foggia che, portandolo, non è dal padron conosciuto, che quello che, per non saper pur ascondere il furto, ne viene impiccato? Voi udiste l'altrieri, letto che ci ebbe il Grazia il dialogo grande del divino Sperone, cader da la eloquente bocca del mio Fortunio come pareva Platone, in qualunque luogo l'avesse imitato; e ciò disse, perchè egli fa suoi i passi, dei quali si è servito. Ecco: la balia imbocca il bambino che ella nutrica, gli piglia i piedi e, insegnandoli a trare il passo, gli pone dei suoi risi negli occhi, de le sue parole ne la lingua, de le sue maniere nei gesti; perfin che la natura, nel moltiplicargli i giorni. l'empie de l'attitudini sue. Ed egli, a poco a poco imparato à mangiare, a camminare e a favellare, forma un modo di nuovi costumi; e, lasciando il vezzo de la nutrice. mette in opra i suoi con la nativa abitudine: onde si fa tale quale è chi ci vive, ritenendo tanto de lo studio di colei che l'ha alevato, quanto ritengono de la conoscenza de la madre e del padre gli uccelli che volano. Così doveria fare chi si vale di quel poeta e di questo, e, col tôrgli solamente i fiati degli spiriti, uscir fuora con una armonia formata da le voci degli organi propri. Perchè le orecchie altrui sono oggimai sazie degli « uopi» e degli <«< altresí », e il vedergli per i libri muovono a riso ne la maniera che moveria un cavaliere, comparendo in piazza in giornea tutta tempestata di tremolanti d'oro e con la berretta a tagliere, onde si crederebbe che egli fosse impazzito o mascarato. E pure in altro tempo erano abito del duca Borso e di Bartolomeo Coglioni. Che onor si fanno i color vaghi, che si consumano in dipignere frascariuole senza disegno? La lor gloria sta nei tratti con che gli distende Michelagnolo, il quale ha messo in tanto travaglio la natura e l'arte, che non sanno se gli sono maestre o discepole. Altro ci vòle, per esser buon dipintore, che contrafar bene un velluto e una fibbia da cintura! Il fatto sta nei bambocci disse Giovanni da Udine ad alcuni, che stupivano de le grottesche mirabili di sua mano ne la loggia di Leone e ne la vigna di Clemente. E, per dirvelo, il Petrarca e il Boccaccio sono imitati da chi esprime i concetti suoi con la dolcezza e con la leggia

dria con cui dolcemente e leggiadramente essi andarono esprimendo i loro, e non da chi gli saccheggia, non pur dei « quinci» e dei « quindi» e dei « soventi » e degli « snelli », ma dei versi interi. E, quando sia che il diavolo ci aciechi a trafugarne qualcuno, sforziamoci di somigliarci a Vergilio, che svaligiò Omero, e al Sanazaro, che l'accoccò a Vergilio, onde hanno avanzato de l'usura; e saracci perdonato. Ma il cacar il sangue dei pedanti, che vogliono poetare, rimoreggia de l'imitazione, e, mentre ne schiamazzano negli scartabelli, la trasfigurano in locuzione, ricamandola con parole tisiche in regola. O turba errante, io ti dico e ridico che la poesia è un ghiribizzo de la natura ne le sue allegrezze, il qual si sta nel furor proprio, e, mancandone il cantar poetico, diventa un cimbalo senza sonagli e un campanil senza campane. Per la qual cosa chi vuol comporre e non trae cotal grazia da le fasce, è un zugo infreddato. E chi nol crede, chiariscasi con questo gli alchimisti, che, con quanta industria si puote immaginar l'arte de la lor paziente avarizia, non fecer mai oro, il fanno ben parere; ma la natura, non ci durando una fatica al mondo, il partorisce e bello e puro. Si che imparate ciò ch' io favello da quel savio dipintore, il quale, nel mostrare, a colui che il dimandò chi egli imitava, una brigata d'uomini col dito, vôlse inferire che dal vivo e dal vero toglieva gli essempi come gli tolgo io, parlando e scrivendo. La natura istessa, de la cui semplicità son secretario, mi detta ciò che io compongo, e la patria mi scioglie i nodi de la lingua, quando si ragroppa ne la superstizione de le chiacchiere forestieri. Insomma ognun che imbratta carte può usar «chente» e «scaltro» per agente e per paziente. Ma voi attenetevi pure ai nervi e lasciate le pelli ai pelacani, i quali si stanno là mendicando un soldo di fama con ingegno di malandrino, e non di dotto, come sète voi. Ed è certo ch'io imito me stesso, perchè la natura è una compagnona badiale che ci si sbraca, e l'arte una piattola che bisogna che si apicchi. Sì che attendete a esser scultor di sensi e non miniator di vocaboli.

Di Venezia, il 25 di Giugno 1537.

***

AL FAUSTO LONGIANO.

Io ho compreso, fratello, ne la carta che mi mandate, quel che sia giudizio e ciò ch'io m'abbia saputo fare ne l'opre ch'io ho fatte. Ma come è possibile che il vostro intelletto, che ricerca sì minutamente i luoghi de l'altrui fatiche, sappia e vegga tanto? Io non so quale autore antico o moderno non andasse al cielo per l'alterezza o ne l'abisso per la vergogna, udendo lodarsi o biasimarsi dagli accorgimenti del vostro vedere ciò che non veggono gli occhi acuti de la scienza. Niuna cosa, al parer mio, è di più stima ne l'uomo del giudizio; e il litterato, che n'è privo, può simigliarsi a uno armario pien di libri, perchè egli è figliuolo de la natura e padre de l'arte. E non per suo difetto, ma per prosunzion d'altri, usa ingannar coloro che più si fidano di lui, e bene spesso siamo vituperati da le sentenzie che danno a l'opre nostre le sue ostinazioni. Beato colui che consulta i meriti di ciò che scrive col parer saputo de l'amico! Ma io mi rido dei pedanti, i quali si credono che la dottrina consista ne la lingua greca e latina, affermando che chi non l'intende non può sapere aprirci bocca, dando tutta la riputazione a lo« in bus» e « in bas» de la grammatica. Giudizio, dico; chè l'altre cose son buone per vedere gli ingegni degli altri, onde il tuo si desta e si corregge. Ecco che fino a quello che tanto sa quanto si desidera ne la scultura e ne la pittura, nientedimeno la Nostra Donna di marmo de la Febbre è assai più giovane che il figliuolo, e le figure ne le vòlte non dien farsi in aria. Bisogna recarsi ne la considerazione che si recò il maestro che fece Laocoonte, chi vòl sapere ciò che sia giudizio. Ecco i due serpenti, che, ne l'assalir tre persone, riducono nel suo verisimile la paura, il dolore e la morte. Il fanciullo, annodato dal busto e da le code, teme; il vecchio, morso dai denti, duolsi; e il bambino, punto dal veleno, muore. Onde merita più lode per aver saputo esprimere le passioni di cotali effetti, dando il primo moto al timore, il secondo al patire e il terzo al morire, che degli spirti posti con lo stile ne le membra dei corpi. Quanti volumi vediam

noi senza disposizione e senza decoro, e pur son dotti i lor inventori? Insomma chi non ha giudizio non ha troppo autorità con la fama, e chi n'è capace participa de l'onore di tutte le sue voci. E ciò si vede nel gran duca d'Urbino, che, per aministrare con la discrezione del consiglio tutte le circunstanzie che se gli apartengono, è diventato secretario de l'avertenze de la milizia; onde se gli ceda, non altrimenti che si cedono a voi, le parti che debbono a qualunque cosa si pensi o scriva, talchè i poemi istessi confessano esser nè più nè meno di ciò che sentenziano le cure del vostro studio. Perciò io, che gli sento essaltar l'opre mie, mi rallegro, quasi uomo, che, rivedendo le ricchezze de l'eredità, le trova di molto maggior numero che non si stimava. Io non mi son tolto dagli andari del Petrarca nè del Boccaccio per ignoranza, chè pur so ciò che essi sono, ma per non perder il tempo, la pazienza e il nome ne la pazzia del volermi trasformar in loro, non essendo possibile. Più pro fa il pane asciutto in casa sua che l'accompagnarlo con molte vivande a l'altrui tavola. Io me ne vado passo passo per il giardino de le muse, non mai cadendomi parola che sappia di lezzo vecchino. Io porto il viso de l'ingegno smascarato, e il mio non sapere un'acca insegna a quegli che sanno la elle e la emme; talchè oggimai dovrebbe acquetarsi chi non crede che il cielo abbia migliore scola che il Dottrinale novellis. Imita qua, imita là; tutto è fava, si può dire, a le composizioni dei più per la qual cosa i lettori se ne vanno come i nimici de l'astinenzie ne l'appiccarsi una vigilia ai panni del venere e del sabato. Portatici altro che insalata gridano color c'han fame. Che vi par di quei che si credettero trottar per omnia saecula coi capitoli dei Cardi, degli Orinali e de le Primiere (1), non si accorgendo che si fatte ciance partoriscano un nome che muore il dì che egli nasce? Altro, doppo le Lodi de la mosca, compose Luciano. Georgio vincentino, che ridusse l'oriuolo ne l'anello del gran Turco, non dovea far sudar l'industria ne la nave che va per la tavola e ne la figura che balla per la camera da se stessa, essendo buone solamente a mover la risa de le donnicciuole. Il caso è

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(1) Allude agli imitatori del Berni.

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