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Dice dunque nel principio (per lasciare andare l'altre sposizioni, che non paiono vere, nè belle come questa) che egli, rimirando in quegli occhi, discopriva e vedeva in essi gli amorosi pensieri che abitavano dentro 'l cuore di M. Laura, e questo gli arrecava tanto piacere, che lo faceva dimenticare tutte l'altre dolcezze, e per questo veggendosi in grazia di M. Laura faceva e diceva cose, che egli sperava di dover rimanere vivo dopo la morte, il che se gli riuscì, e fu verissimo, può ciascuno giudicare per se stesso. Dice dunque: Il pensiero amoroso, usando il numero del meno per quello del più; Che, il qual pensiero; Alberga dentro, abita nel cuore di M. Laura; Mi si discuopre, mi lascia vedere, e in somma apparisce in voi luci beate e liete; e che M. Laura amasse il Petrarca si vede spressamente nel secondo Capitolo della Morte, dove ella medesima glielo dice e afferma per molti versi conchiudendo:

Fur quasi eguali in noi fiamme amorose,
Almen poi ch' io m' accorsi del tuo fuoco;
Ma l'un l' appalesò l' altro l'ascose.

E che egli, vivendo ella, se ne fosse accorto e lo cre desse, testimonia egli stesso quando disse:

Era ben forte la nemica mia,

E lei vid' io ferita in mezzo 'l petto.

E il Rever. Bembo:

S'a lui, che l' onorò la state e 'l verno
Come fu dolce, fusse stata acerba.

Nè è dubbio, che gli occhi sono lo specchio (per dir così) e quasi la finestra dell'animo, perchè in essi si manifestano se non più chiaramente almeno con più certa verità tutti gli affetti dell'animo, e però disse Plinio: « l'animo senza fallo alberga negli occhi », e 'l Petrarca medesimo in quella gravissima e moralissima Canzone: « I'vo cercando, e nel pensar m' assale », disse:

Ch' ogni occulto pensero

Tira in mezzo la fronte, ov'altri 'l vede.

E nella canzone: << Tacer non posso », disse:

Dinanzi una colonna

Cristallina, et ivi entro ogni pensero
Scritto, e fuor traducea si chiaramente,
Che mi fea lieto e sospirar sovente.

Tal che, in guisa che; Mi trae del core, mi leva e toglie dell' animo: Ogni altra gioia, ogni altro piacere. volendo inferire, che tutti gli altri da questo erano minori e men belli, onde nell' ultimo verso della canzone grande disse:

Che pur la sua dolce ombra

Ogni men bel piacer del cor mi sgombra.

E qual gioia, anzi felicità, o più tosto beatitudine può immaginarsi, non che essere, o maggiore o più desiderevole, che amare e essere amato? E così la vita di quegli occhi non solamente gli sgombravano tutti i pensieri noiosi come disse di sopra, ma ancora tutte le gioie da una infuori, la quale avanzava sola tutte quante l' altre insieme.

Andreoli.9

GIAMBATTISTA GIRALDI CINTIO

(1504 - 1573)

Un autorevole storico della critica, il Saintsbury, considera il Giraldi, insieme con Giambattista Pigna e con Francesco Patrizi suoi contemporanei, come notabilissimo precursore della critica moderna.

Giambattista Giraldi rappresenta infatti nientemeno che un'autentica corrente romantica, d'arte e di pensiero, in mezzo al secolo del più ortodosso e assoluto classicismo. Il Camerini, accennando all'oblio in cui la fortuna letteraria lo precipitò dopo ch'egli aveva più volte trionfato in vita, scriveva: «L'uomo universale, ammirato a Ferrara, a Pavia e per tutte le allor coltissime città d'Italia, il tragico che fece inorridire e fremere gli spettatori più che Shakespeare, il narratore di quegli Ecatommiti, che furono una vasta miniera di argomenti, d'inventive e di caratteri al dramma moderno, è sepolto nel museo letterario d' Italia.... L'autore dell'Orbecche sente risonare il suo nome nella letteratura europea solo per aver somministrato due, soggetti a Shakespeare.... Il suo manifesto o testamento letterario, il Discorso dei Romanzi, la sua Préface de Cromwel, era più che sepolto », fino alla riesumazione dovuta allo stesso Camerini.

In verità, a leggere fra gl' innumerevoli volumi di gravi retori tanto più severamente ligi ai modelli e alle regole quanto più sentono sfuggirsi il segreto dell'arte col declinare dell'età aurea, e tanto più preoccupati di Aristotile il nuovo astro sorgente della quanto meno

critica è in quegli anni la Poetica del filosofo greco sentono l'intima misura estetica e le intime ragioni spirituali della poesia, a leggere, dico, certe pagine del Giraldi Cintio, che pur non sono miracoli di arditezza nè di acutezza nè di sublimità critica, si prova la grata impressione di sentir parlare un uomo di senno in mezzo a dei maniaci.

Il gusto e le idee del Giraldi sono pur classici e le sue scoperte non hanno nulla di rivoluzionario: tuttavia certe sue affermazioni

ci paiono, e giustamente, novità di merito grandissimo, dette a mezzo il Cinquecento.

L'argomento principale da lui trattato nel Discorso è questo: che il romanzo» (cioè il poema di materia cavalleresca e misto di elementi fantastici) è un genere nuovo, sconosciuto agli antichi; perciò ha norme, esigenze, bellezze sue proprie; modelli ne sono poemi del Boiardo e dell'Ariosto; non è soggetto alle regole d'Aristotile.

Fra i passi del Giraldi Cintio qui raccolti, destano interesse particolare le osservazioni fatte alle correzioni portate dall'Ariosto al Furioso sembra incredibile tale libertà di visione e di giudizio, in un letterato del Cinquecento non solo, ma in un critico e poeta. che aveva per l'Ariosto la massima venerazione e mostrò con gli scritti teorici e con affinità di tempra artistica di intendere l'originalità e lo spirito proprio del capolavoro della letteratura cavalleresca e d'immaginazione meglio di ogni altro.

PRUDENTE LIBERTÀ DAGLI ESEMPI CLASSICI E DALLE REGOLE LEGITTIMA SPECIE NEI COMPONIMENTI DI MATERIA ROMANZESCA E FANTASTICA.

Tornando alla materia de' romanzi, mi pare che fossero quanto a questo molto accorti ed avveduti il conte Matteo Maria Boiardo ed il nostro Ariosto, dei quali l'uno fu inventore molto vago e gentile, l'altro esercitandosi intorno a quella materia, che dopo la sua invenzione era stata accettata dal mondo e maravigliosamente dilettava, fu imitatore di grande lode degnissimo. E questi due sono come due duci in così fatti componimenti; le vestigia dei quali debbono seguir con ogni studio coloro che di materie finte vorranno ben scrivere in tal poesia. Perocchè quelli che innanzi loro avevano scritto, quantunque avessero mostrato qualche ingegno ed avessero trattate molte delle medesime cose, come si può vedere da chi ha ozio di leggerli, nondimeno tutti avevano le lor materie inettamente scritte, ancorchè abbia paruto ad alcuni che Luigi Pulci nel suo Morgante fosse degno di lode lasciandosi ingannare a quelle novelluccie toscane... che sono da quel suo Margutte e da altri dette, le quali, a chi dirittamente

(1) Giraldi Cintio G. B., De' Romanzi, delle Commedio e delle Tragedie, ecc. Daell, Milano, 1864.

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