Sayfadaki görseller
PDF
ePub

tese, descrizioni di paesi, di tempi, di uffici e di persone, le quali cose e le altre a queste simili vogliono essere con tale ingegno dal poeta introdotte che convengano alla prima azione e dipendano da lei come avvenute innanti, o da poi, o con esso lei, ed in ciò si acquista grandissima laude il poeta, perchè ciò arreca maraviglioso piacere a chi legge ed a chi ascolta, e lieva la sazietà che porterebbe seco la continuata azione. senza alcuna interposizione di cosa che desse diletto. E forse che egli più si chiama poeta per questa cagione che per alcuna altra. Perocchè questo nome di poeta non vuol dir altro che facitore. E non per i versi, ma per le materie principalmente è egli detto poeta, in quanto elle da lui sono e fatte e finte atte e convenevoli alla poesia. Che s'egli solo si prendesse le cose fatte e non ne fingesse di nuove, perderebbe il nome del poeta, perocchè non farebbe, ma solo reciterebbe il fatto e lo ci porrebbe innanzi agli occhi, dal qual porre la cosa innanzi agli occhi non ha avuto il poeta il nome, come si ha creduto il Vida nel secondo della sua poetica, chè ancora che sia il proprio del poeta esprimere in guisa le cose che paia che si facciano (come di sotto diremo), quindi non gli viene però il nome, ma dal fingersi e farsi le favole e gli uomini quali essi esser dovrebbero, come c'insegna Aristotile nella sua Poetica, la quale mostra pure aver veduta questo autore, nel mostrare che egli fa, con mirabile magistero, la virtù del poeta eroico. E le favole che si trovano nei poeti antichi e greci e latini (ma specialmente greci, che in questa parte che appartiene alla bugia, è stata molto eccellente la greca nazione col fingere dalle cose vere le favolose) molte volte da essi furono di nuovo finte secondo che conveniva al componimento loro, come a' nostri tempi ha fatto il Pontano, il quale, come in tutte le altre parti che appartengono ad ingegnoso e grave poeta è riuscito grande, così è egli in questa eccellente. E tanto oltre si è stesa questa cosa della finzione, che molte volte più del verisimile hanno le favole e le bugie, quantunque false e impossibili, che non hanno le cose vere e possibili che impossibili credute siano. Ma vogliono però queste finzioni essere di maniera composte e congiunte insieme con tal ordine che non disconvenga il finto dal vero, quanto alla

composizione e alla disposizione, come dimostra Orazio nella sua Poetica.

E disse Aristotile che il fine del poeta era indurre buoni costumi negli animi degli uomini; e però pur che egli questo fine consegua con la sua composizione, sia ella di cose false o di cose vere con le finte mescolate, ha egli fatto ciò che a lui si apparteneva quanto a questa parte. Perchè ove l'istorico dee solo scrivere i fatti e le azioni vere e come in effetto sono, il poeta, non quali sono, ma quali esser debbano le mostra ad ammaestramento della vita. Di qui è avvenuto che si chiamò il soggetto della composizione favola, perchè egli non lo tratta com'è, ma come dovrebbe essere, e così altera l'istoria e fa divenire la materia favolosa, con maggiori utili, però che se veramente la cosa fosse trattata; ed è necessario il fingere ed il favoleggiare, in voler porre una idea o di perfetto uomo o di perfetta azione, perchè la fragilità della natura umana non consente che null'uomo sia perfetto, nè in sommo perfette siano le nostre azioni, e però bisogna fingere con queste e quello a voler supporre agli occhi altrui la perfezione dell'uno e delle altre. Perchè ancora questa perfezione in fatto non si ritrovi, si può essa nondimeno fingere da ingegno umano e supporre agli occhi altrui, non per dir menzogna, ma per accender gli uomini al meglio ed a chiamargli in tal guisa alle azioni degne di loda, acciocchè si avvicinino quanto più sia possibile a quella perfezione, la quale egli scrivendo avrà lor messa innanzi e cerchino di esser tali che diano materia a nobili scrittori di farsi conservare co' loro scritti alla immortalità.

E per passare da questa prima intenzione del poeta alle altre cose finte da lui, dico che questo è anco stato cagione che ancora che i poeti scrivano cose antiche, nondimeno cercano che convengano ai costumi e all'età loro, introducendo cose dissimili a' tempi antichi e convenevoli ai loro, come si vede in Virgilio di Enea, il quale quantunque venisse da Troia e altra fosse la forma del sacrificare, del far esequie e dell'armeggiare dell'Asia da quella dell'Italia, nondimeno fe' egli che i Troiani e sacrificarono e seppellirono e combatterono secondo il costume d'Italia, e non pure secondo il costume che era innanzi il nascimento di Roma, ma secondo quello che era al

tempo di Ottaviano; e non solo si hanno preso questa licenza i buoni poeti, ma hanno anco dati i nomi alle cose che non erano a' tempi di coloro de' quali essi scrivono, non altrimenti che se a que' tempi fossero stati, quantunque molto dopo venissero in luce, come si vede in Omero e in Virgilio; il quale costume hanno serbato gli scrittori dei romanzi in qualche cosa, e questo avviene perchè non scrive il poeta (come ho detto) le cose quali erano o sono, ma quali debbono essere, per giovare e dilettare insieme soddisfacendo agli uomini di quell'età nella quale scrivono, il che non è per modo alcuno lecito a chi scrive istorie. E benchè Diodoro Siculo preponga l'istoria alla poetica quanto al giovare all' umana generazione, nondimeno voglio io in ciò più credere ad Aristotile che a lui, che disse che di gran lunga è avanzato nel giovare l'istorico dal poeta. E forse ciò è, che non si possendo partire l'istoria dal vero, non deve men scrivere i vizi che le virtù, nella qual cosa non meno giova che nuocia a chi ciò legge. Ove imitando il poeta, col suo fingere, le azioni illustri e proponendolesi non quali sono, ma quali esser si debbono, e accompagnando convenevolmente le cose che portano con esso loro il vizio, con l'orribile e col miserabile (che ciò non è meno del poeta eroico che sia del tragico quanto la materia il richiede), purga gli animi nostri da simili passioni e ci desta alla virtù, come si vede nella definizione che dà Aristotile della tragedia. E Virgilio ciò mostrò molto prudentemente nella morte di Turno che avea violati i patti celebrati colla autorità degli Dii immortali ed uccisi molti Troiani in quella scelleraggine, perchè lo serbò ad averne la pena nel duello ch'egli ebbe con Enea, nel quale non gli valse rendersi ad Enea per ottenerne la vita, perchè parve contra giustizia ad Enea il lasciare uomo scellerato vivo; prevalse la giustizia alla clemenza, imperocchè essendosi come piegato a perdonargli, Enea, veduto il balteo di Pallante ucciso da lui, la morte del suo caro amico gli tornò anche a memoria le morti degli altri suoi contro la data fede e contro i patti ordinati con lo intervenimento degli Dei immortali, onde: Immolat et poenam scelerato ex sanguine sumit.

ARMONICA ARCHITETTURA DELL'OPERA D'ARTE.

FORMAZIONE DELL'ARTISTA. (1)

Poichè lo scrittore si avrà messo innanzi ond'egli vorrà cominciare l'opera sua, dovrà usar gran diligenza che le parti così insieme convengano, come convengono quelle del corpo. E nel porre l'ossatura tutta insieme, cercherà di empire i cavi, e fare uguali le grossezze delle membra, e questo faranno i riempimenti posti a' luoghi convenevoli e necessari, come amori, odi, pianti, risa. giuochi. cose gravi, discordie, paci, bruttezze, bellezze, descrizioni di luoghi, di tempi, di persone, favole finte da sè e tolte dagli antichi, navigazioni, errori, mostri; improvvisi avvenimenti, morti, esequie, lamentazioni, ricognizioni, cose terribili e compassionevoli, nozze, nozze, nascimenti, vittorie, trionfi, singolari battaglie. giostre. torneamenti, cataloghi, ordinanze e altre simili cose, le quali per avventura son tante, che non picciola fatica si piglierebbe chi le volesse tutte raccontare ad una ad una. Perchè non è cosa nè sovra il cielo, nè sotto, nè nell'istesso profondo dell'abisso, che non sia tutta in mano e in arbitrio del giudicioso poeta; e che non possa con vari ornamenti abbellire tutto il corpo del suo componimento e ridurlo non pure a bella, ma ad amabile figura, dando con esse a tutte le parti la debita misura e il dicevole ornamento, con tale proporzione, che se ne veda riuscire un regolato e ben_composto corpo.

E questa disposizione non solo deve essere considerata nelle parti principali, che sono principio, mezzo, e fine, ma in qualunque particella di esse parti. E per questa cagione non solo dovrà aver considerazione il poeta a tutto il corpo, ma a qualunque parte di esso, sì che sia ciascuna messa con bell'ordine al suo luogo, con bella grazia, e con la debita proporzione al tutto, con quella bellezza e con quella vaghezza e con quella gravità e con quell'ornamento di parole e grazia che sarà a qualunque di essa

(1) V. nota al passo precedente.

propria e convenevole. Perocchè come altra bellezza ed altro colore ricerca il viso, e questo e quella ricerca in altra forma il collo, il petto e le braccia e le altre membra, così vari e diversi sono gli ornamenti delle parti del poema, della qual cosa non si può dare altra legge, che ammonire lo scrittore, che col fume del giudizio discerna quello che conviene alla formazione del corpo, intorno al quale egli si affatica; avvertendolo però che in una parte non si affatichi tanto che o ella faccia parere laide le altre, o la sua bellezza divenga deforme, per non si convenire con le altre parti. Ed è meglio che tutte siano mezzanamente formose, che due o tre siano tanto eccellenti, che la loro eccellenza e ad esse stesse ed all'altre sia cagione di deformità, vizio che pare che notasse il Sannazaro nell'Ariosto in qualche luogo. Ma egli si vede manifesto in Claudiano tra' latini ne' suoi panegirici, ne' quali si veggono alcune parti eccellenti e alcune meno che mezzanamente lodevoli. Non dico però questo perchè io non sappia che tra poeti eroici si trova il grande, l'umile e il mediocre, che sono tra lor dissimili; ma dicolo, perchè in qualunque sorte di dire si servi un medesimo tenore convenevole ad esso. E tutti questi modi di dire nel poema abbiano la loro dicevole giacitura ed il convenevole or

namento.

E perchè ho detto che il lume del giudizio è quello che deve essere in ciò duce, è da saper che questo giudizio si acquista in due modi, l'uno conversando e ragionando con uomini dotti e usati a comporre: chè ad un uomo che non sia di tardo e di perduto ingegno, più gioverà la conversazione di un giorno con un uomo scienziato e di buon discorso e esperto nel comporre che delle cose a ciò appartenenti ragioni, che non farà lo studio di un anno chè troppo grande è la forza della viva voce di colui al quale presti fede chi ha desiderio di far frutto in quella disciplina, nella quale vede colui eccellente da cui desidera d'imparare. Nella qual cosa è da avvertire, che non basta solo che fedelmente mostri colui che ragiona e fedelmente insegni, ma bisogna anco che chi ascolta si sappia acconciare ad imparare; lasciando da canto il piacere troppo a se stesso e la persuasione, la quale è il veleno mortale di coloro, che pensano tanto sapere, che non abbiano bisogno di maestro. Perchè que

Andreoli. -10

« ÖncekiDevam »