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GIORDANO BRUNO

(1548 - 1600)

La vigorosa protesta che leva il Bruno sulla fine del Cinquecento contro i nemici della poesia, la quale non può essere trastullo vano di letterati, ma solo sgorga impetuosa e divina dalla profondità di una robusta coscienza e di un vivo e meditante pensiero, fa in qualche modo riscontro a quella pronunciata dall'austero e ardente Savonarola sulla fine del secolo precedente contro l'estetismo degli umanisti, magnifico ma vuoto di valori spirituali e morali.

Naturalmente è da osservarsi in tale comune atteggiamento critico il profondo distacco che un secolo ha creato fra l'uomo vecchio e l'uomo nuovo nel contenuto del pensiero, della coscienza, della religiosità a cui pure tutt'e due fanno appello.

CONTRO L'ARISTOTELISMO, LE REGOLE E L'IMITAZIONE (1)

CICADA Son certi regolisti di poesia, che a gran pena passano per poeta Omero, riponendo Vergilio, Ovidio, Marziale, Esiodo, Lucrezio ed altri molti in numero de versificatori, esaminandoli per le regole de la poetica d'Aristotele.

TANSILLO Sappi certo, fratel mio, che questi son vere bestie: perchè non considerano quelle regole principalmente servir per pittura de l'omerica poesia o altra simile in particolare, e son per mostrar talvolta un poeta eroico tal qual fu Omero, e non per instituir altri, che

(1) Giordano Bruno, Degli eroici furori, Dialogo primo.

potrebbero essere con altre vene, arti e furori, eguali, simili e maggiori de diversi geni.

CIC. Si che, come Omero nel suo geno non fu poeta che pendesse da regole, ma è causa de le regole che servono a coloro che son più atti ad imitare che ad inventare, e son state raccolte da colui che non era poeta di sorte alcuna, ma che seppe raccogliere le regole di quell'una sorte, cioè dell'omerica poesia, in serviggio di qualcuno, che volesse doventar, non un altro poeta, ma un come Omero, non di propria musa, ma scimia de la musa altrui....

TANS. Conchiudi bene, che la poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son geni e specie de vere regole, quanti son geni e specie de veri poeti. CIC. Or come dunque saranno conosciuti li veramente poeti?

TANS.

Dal cantar de' versi; con questo, che cantando o vegnano a dilettare, o vegnano a giovare, o a giovare e dilettare insieme.

CIC. A chi dunque servono le regole d'Aristotele?

TANS. A chi non potesse, come Omero, Esiodo, Orfeo ed altri, poetare senza le regole d'Aristotele, e che, per non aver propria musa, volesse far a l'amore con quella d'Omero.

CIC. Dunque han torto certi pedantacci de' tempi nostri, che escludeno dal numero de' poeti alcuni o per che non apportino favole e metafore conformi, o per che non hanno principi de' libri e canti conformi a quei d'Omero e Vergilio, o per che non osservano la consuetudine di far l'invocazione, o per che intesseno una istoria o favola con l'altra, o per che finiscono li canti epilogando di quel ch'è detto, e proponendo per quel ch'è da dire, e per mille altre. maniere d'esamine, per censure e regole in virtù di quel testo. Onde par che vogliano conchiudere, ch'essi loro a un proposito, se li venisse de fantasia, sarebbono li veri poeti, ed arrivarebbono là, dove questi si forzano: e poi in fatto non son altro che vermi, che non san far cosa di buono, ma son nati solamente per rodere, insporcare e stercorar gli altrui studi e fatiche; e non possendosi render celebri per propria virtude ed ingegno, cercano di

mettersi avanti, o a dritto, o a torto, per altrui vizio ed

errore.

TANS.

Or, per tornar là donde l'affezione n'ha fatto alquanto a lungo digredire, dico, che sono e possono essere tante sorte de poeti, quante possono essere e sono maniere de sentimenti ed invenzioni umane.

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In luogo e forma di Parnaso ho'l core,
Dove per scampo mio convien ch' io monte;
Son mie muse i pensier, ch' a tutte l'ore
Mi fan presenti le bellezze conte;

Onde sovente versan gli occhi fore
Lacrime molte, ho l' eliconio fonte:
Per tai montagne, per tai ninfe ed acqui,
Come ha piaciuto al ciel, poeta nacqui.

Or non alcun de' reggi,

Non favorevol man d' imperatore,
Non sommo sacerdote e gran pastore

Mi dien tai grazie, onori e privileggi;
Ma di lauro m'infronde

Mio cor, li miei pensieri e le mie onde.

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FAUSTINO SUMMO

Se il Castelvetro, e con lui lo Scaligero, sono i grandi capitani, i generalissimi dell'aristotelismo, Faustino Summo rappresenta il gregario fedele: i primi guidano la grande impresa della guerra di conquista, l'ultimo fa parte della guarnigione che segue a presidiare la repubblica letteraria conquistata.

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I suoi Discorsi poetici sono dell'anno 1600: egli rappresenta così la fine di secolo, la miserabile fine del suo secolo grande. « Come argutamente osserva il Saintsbury e come ripete nella sua bell'opera il Trabalza (1) in una curiosa coincidenza di nome, di data e di intenti, [il Summo] rappresenta realmente una specie di summa aristotelica del secolo decimosesto. Egli non è aristotelico fino al punto dell' infallibilità, e la sua potrebbe chiamarsi una dotta ortodossia; egli cita con cura commenti e argomenti di quanti lo precedettero, dal Trissino al De Nores. Ma in lui l'ortodossia è costituita in corpo; è fuori dello stadio di formazione e di lotta: è sul punto di divenire il credo dell' Europa ».

Nelle seguenti pagine del Summo, non può sfuggire, inoltre, il carattere secentesco dello stile, non solo nell'eloquio, ma nel modo di ragionare e di discutere.

IL "PASTOR FIDO,, NELLA SENTENZA

DI UN MEDIOCRE MA TIPICO ARISTOTELICO (2)

Udite. Parlando Aristotile, nei libri della generazione. de gli animali, del mulo dimostra chiaramente, che nel mulo si oscurano e si rendono imperfetti quei principi

(1) La Critica letteraria dai primordi del Rinascimento, ecc.

(2) Due Discorsi di Faustino Summo Padovano. L'uno contra le Tragicomedie et moderne Pastorali, l'altro particolarmente contra il Pastor Fido dell'Ill.re Sig. Cavaliere Battista Guarini. Con una replica dell'istesso autore alla difesa del detto Pastor Fido publicata sotto nome di Orlando Pescetti. In Vicenza MDCI Pag. 31 segg., passim.

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