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chè o spiega lodi divine, e chiamasi innica o ditirambica; o narrazioni umane virtuose, eccedenti l'uso comune, e chiamasi eroica; o biasima o motteggia i vizii, e chiamasi satirica; o descrive passioni ed affetti, e chiamasi melica o lirica. E ciascuna di queste spezie ha certi suoi modi e versi particolari, essendo che, senza versi, già conchiudemmo che non si possa far poesia. Alcuni nondimeno dei nostri hanno queste spezie confuse insieme, facendone risultare un misto, che a molti è piaciuto, come per esempio la tragicommedia pastorale del Guarino, e il poema di Dante, che potrebbe chiamarsi eroisatirico, poichè il suo inferno non è altro che satira,e il paradiso è tutto narrazione eroica, mischiata d'innica; e il purgatorio è parte eroico, parte satirico .E noi ancora abbiamo, con la nostra Secchia Rapita, dato a divedere che si può fare un poema eroicomico. Di maniera che la poesia nostra, quanto al suo tutto, viene a risultare più assai copiosa, che non era l'antica. Che quantunque alcuni degli antichi inventassero, alle volte, spezie diverse dalle già dette, non furono però lodate nè accettate come le nostre; e Aristotile nella sua Poetica non ne fe' caso alcuno. Ma quanto alla comica e tragica, io tengo i nostri poeti per molto inferiori agli antichi, e credo in particolare che finora non sia stato ritrovato, nella nostra favella, verso a proposito nè per l'una nè per l'altra.

Commedie in versi non abbiamo se non quelle dell'Ariosto, che meritano di essere nominate. In prosa ne abbiamo veramente infinite, e molte ce ne sarebbono di perfette riguardando alla favola; ma perchè mancano di numero poetico, mancano insieme del nome di poesie; e torto si farebbe a' poeti veri, che usano il verso, anteponendo o paragonando loro quelli che scrivono in prosa le medesime cose.

Delle tragedie similmente ne abbiamo di molte fatte da valentuomini in altre professioni; ma in questa, o sia stata la loro poca fortuna, o la imperfezione della nostra lingua nelle cose gravi, non ci è stato finora alcuno che sia arrivato a segno di passare la mediocrità. Ma nelle pastorali all'incontro, dove si richiede dolcezza e languidezza di stile, i nostri poeti hanno scritto con eccellenza tale, che non gli agguagliano le più ornate e leggiadre composizioni degli antichi.

Nella satira alcuni moderni si sono veramente avanzati, come l'Ariosto e 'l Caporali; ma alcuni altri hanno passato in eccesso tale di maledicenza o disonestà, che le loro poesie sono state proibite, come perniciose ai buoni costumi.

Nella melica furono eccellentissimi i Greci e i Latini: ma certo non furono più eccellenti dei nostri, perciocchè questa spezie di poesia richiede lo stile ornato e pieno di concetti e di acutezze e di scherzi; in che la nostra lingua toscana mirabilmente fiorisce. Aggiugnesi che i poeti nostri hanno spogliate tutte le altre lingue straniere delle più belle frasi e dei più vaghi concetti, e n' hanno arricchite in maniera le rime loro, che al presente la lirica poesia italiana non è altro che una mirabile raccolta di tutte le bellezze poetiche che non pur sono sparse in diverse lingue, ma che possono in tempo alcuno essere imaginate da qualsivoglia gentile e spiritoso intelletto.

Rimane a dire dell'eroica, nella quale in tanti secoli 1 Greci non ebbero altri degno di fama grande, che Omero: nei cui poemi non si può veramente negare che, oltre la vaghezza e bontà dello stile e del verso, non vi sieno parimenti diverse altre bellezze, riguardando massimamente alla rozza età in che egli visse. Ma, per la maggior parte, sono pieni di scipitezze, di sorte che l'imitarle al presente sarebbe un farsi tener per leggiero come fece il Tasso che, nella sua seconda Gerusalemme, lasciò la prima favola per imitare Omero, e si rimase arenato.

I Latini ebbero di molti poeti eroici. Ma quei loro Lucani, e Stazi e Sili Italici furono uomini poco più che mediocri; sicchè la eccellenza della poesia latina eroica tutta si ristrigne in Virgilio.

Ma noi, lasciati alcuni altri di minor grido, abbiamo quei due sovrani lumi della lingua e dell' età nostra, 1 Ariosto e il Tasso, che l' invidia può bene, in questa fresca età, scuotere e travagliare, ma non farà già ella che nei secoli che verranno non sieno illustri e gloriosi sopra tutti gli antichi; quantunque gli antichi, non avendo per tanti secoli trovato competitori, si sieno andati avanzando ad un eccesso di fama tale, che il passare più oltre paia richieder ingegno sopraumano.

SE OMERO NELL’“ILIADE,, SIA QUEL SOVRANO POETA CHE I GRECI SI DANNO A CREDERE (1)

Omero, senza alcun dubbio, è il più celebre di quanti poeti siano mai stati al mondo. E veramente, se la nobiltà della locuzione e la bellezza de' versi suoi vogliamo considerare, credo ch' ei sia, in effetto, degnissimo d'ogni onore. Ma se alle parti, che più di gran lunga importano, riguardiamo, dubito che quella fortuna, ministra cieca che s' intromette quaggiù nelle cose mondane, non abbia avuto gran parte negli smoderati progressi della sua gloria. Io non li sono nemico, anzi lo stimo, lo riverisco e l'onoro; cambio però molto diverso da quello de' Greci suoi, che hanno chiamate tutte le altre nazioni barbare; e non ostante che tanti anni vivessero in soggezione de' nostri romani e che l'Italia tutta fosse piena di schiavi greci, essi non di meno di tanti illustri scrittori latini non vollero mai che d'alcuno si vedesse fatta menzione nelle memorie loro. Ma non vorrei che l'esser stati eglino intenti a vagheggiare se stessi e a magnificar solamente le cose proprie, quantunque minime, accecasse noi altri in guisa che le biche ne paressero montagne. Omero fu un povero vagabondo di padre incerto, che, portato da impeto naturale, componeva versi, quanto alla dicitura ed al numero (come ho detto) meravigliosi per quell'età; ma pel resto (per quanto a me paia), poco degni di lode. Nè mi muove che Aristotile e Plutarco e altri scrittori grandi ne spargono i loro volumi come di tanti fiori; perchè come un principe che porti anella con gioie false, potrà dare loro credito appresso il volgo e farle tenere per buone, ma dagli intendenti saranno però sempre conosciute per false; così l'autorità di Aristotile e di Plutarco, che nella lingua greca non ebbero versi eroici migliori di quelli di Omero per ornare gli scritti loro, potrà bene accreditargli presso gli idioti e farli tenere per divini e irreprensibili; ma non abbaglierà giammai il giudizio di chi non si lascia per leggerezza sollevare dall'aura e dall'applauso del volgo, mosso dal favore della fortuna e

(1) Vol. cit., libro nono, quesito XI.

dalla poco valevole e sospetta autorità degli scrittori greci appassionati o, se lece à dir, vaneggianti nelle cose lor proprie. Io che, come dagli altri miei scritti si può molto ben giudicare, ho sempre stimati ed onorati gli antichi, ma non mi sono affezionato giammai all'autorità di alcuno di loro più di quello che la ragione mi abbia persuaso, dopo avere, gli anni passati, nelle Rime del Pe trarca, príncipe dei lirici, segnato quello che da imitar non mi parve e, per far utile a chi poeteggia, trascurato il riguardo di sindacare un de' nostri, giudico di presente che, per lo stesso rispetto, non possa essere se non di giovamento a chi imita Omero, tenuto dalla comune per principe degli eroici, l'andar segnando, se non in tutti i poemi suoi (che sarebbe gran tela) nell' Iliade almeno, che è il più perfetto che egli facesse, quello che mi par da fuggire, e che hanno fuggito quei poeti moderni che per la strada della immortalità si vanno di continuo avanzando nella gloria del mondo; acciocchè veggano gli in gannati che gli ingegni dei nostri non cedono punto agli antichi, e conoscano al tocco del paragone che non tutto è oro quello che da lontano riluce. Ma perchè forse potrebbe tener sospesi gli animi dei lettori il libro che segnatamente scrisse Plutarco, autor grande e celebre, delle lodi di Omero se si lasciassero intatte le ragioni, comunque deboli, che egli adduce, prima di metter mano all'Iliade, non sarà, credo io, se non bene il rivedere i conti a Plutarco stesso, così in compendio, e dare una breve scorsa alle cose che ei va scegliendo e tirando con gli argani per dare a credere ai semplici che un cieco cantaluscio, per così dire, fosse non solamente perito di tutte le arti e di tutte le scienze umane e divine, ma ne fosse ancora inventore; fatica la più vana e leggiera di quante fossero mai da quell'uomo dotto intraprese.

.... Il loda perchè egli attribuisce a Dio provvidenza grande; nel che mi rimetto a Platone, che gli diede bando dalla sua Republica per le indegnità, che egli attribuisce a que' suoi ridicoli Dei.

Dice che Licurgo e Solone tolsero il modello delle leggi loro dalle sue poesie; ingiuria manifesta di quegli uomini virtuosi e prudenti, quasi che eglino facessero pasticci e guazzabugli delle cose umane e divine, come fa Omero, e lodassero o permettessero i vizii e la barbarie,

e il secondare i sensi, come fa egli in quelle sue taverne di scrocchi, che tali si possono chiamare quei suoi poemi, dove, a ogni quattro versi, si favella di mangiare e di bere.

.... Lodalo parimenti di gran perizia nelle cose militari per quelle sue ordinanze di fantocci in carretta che fra la mischia degli stradiotti vanno facendo la sassaiuola. E l'esalta, perchè finga che i meno degni facciano onore ai più degni, e i giovani cedano il luogo ai vecchi, e biasimi il volger la schiena al ferro, e lodi il voltargli il petto; e faccia trattare Ulisse con più rispetto con i grandi e potenti, che con i plebei. Ma si ricordò, per mio avviso, di lodarlo eziandio, perchè dicesse:

Induit, ac imis addit sua vincula plantis,

Fulmineumque 'atis humeris accomodat ensem,

e non gli facesse porre le scarpe al naso e la spada a un calcagno. E queste sono le eccellenze e le meraviglie di Omero, delle quali, come di tanti fiori, Plutarco, fattane una ghirlanda, l'offerisce alle Muse.

Ma consideriamo noi un poco quel suo famoso poema dell' Iliade, che l'ha fatto chiamare il Dio dei poeti, e vediamo, se ne dà il cuore, di rintracciare in esso i difetti d'altro peso, che già non fecero Zoilo d'Anfipoli e Protagora retore che gli opposero cose fanciullesche e leggiere. So che i grammatici, che non mirano fuor che al numero e alle parole, s'inorcheranno di primo tratto, ma a me basta che gli ingegni che non hanno giurato omaggio fuori che alla ragione, nè si lasciano come i fanciullini spaventare da nomi vani, leggano quello che io son per dire.

Aristotile, non avendo altro poema eroico migliore dell' Iliade da valersene per esempio nella sua Poetica, andò scegliendo alcuni oghi, che facevano a suo proposito, e lodando il meglio che si poteva; ma se egli avesse voluto con le sue proprie regole misurare ogni cosa, oh! quanto gli restava che dire, camminando con la sua stessa divisione delle parti dell' eroica poesia, che sono favola, costume, sentenza e favella. Îo concedo che, nelle ultime due, che sono le meno importanti, come dissi ancora da principio, Omero sia stato eccellente più per natura però che per arte, conforme al proverbio: Poe

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